Hanno condiviso le mie parole

domenica 15 aprile 2012

DI NOTTE


Di notte, la vedo accanto a me che dorme serena già da un paio di ore, e guardarla dormire mi rende fragile, come se volessi svegliarla per tornare a essere alla pari; quel respiro pesante e le lenzuola tenute fino agli occhi e la sensazione che lì dentro nessuno possa farle del male, altrimenti non dormirebbe così. Allora, quando la guardo, poi la tocco, anzi la sfioro solo con una carezza e lei, tutte le volte che lo faccio, risponde. Risponde con un indurimento muscolare nel punto in cui la tocco, oppure con un movimento della mano che stringe per un attimo la mia. Non sa di farlo; è un istinto. So che non lo ricorderebbe la mattina perchè lo fa da dentro il sonno. Potrebbe anche essere una risposta istintiva, un riflesso condizionato a qualsiasi stimolo, da parte di chiunque. Eppure sono sicuro che lo fa soltanto con me.

da La separazione dal maschio - Francesco Piccolo

FEMMINA



Ho paura di gridare... sì, è vero, te lo dico, ho paura di gridare il mio piacere, di sapere che possa essere così grande da perdermi, da sentirlo così forte da non poterne fare più a meno e di sapere che un uomo possa concedermelo.... ho paura che possano sentirmi, giudicarmi... sapere del mio godere senza vergogna... ho paura di ammettere che non potrò più farne a meno del piacere che viviamo.
o forse ho semplicemente paura di ammettere come finalmente  mi fai sentire di essere femmina....

sabato 14 aprile 2012

UOMO



“Mi sembra sia simile agli dei quell'uomo che di fronte a te siede e da vicino ti ascolta parlare dolcemente e ridere così da eccitare il desiderio, e ciò a me turba il cuore nel petto: infatti, quando appena ti vedo, allora non mi è più possibile parlare, ma la lingua si spezza, e sottile un fuoco scorre subito sotto la pelle, e nulla cogli occhi vedo, e rombano le orecchie, e freddo sudore si effonde, e un tremito mi prende tutta, e sono più verde dell'erba, e mi sembro poco lontana dall'esser morta…” (fr. 31 V. Saffo)

ANTEROS


Anteros è l'amore corrisposto. Fratello di Eros erano inseparabili; racconta la leggenda che un giorno Afrodite si lamentò con la Dea Temi del fatto che il piccolo Eros non crescesse,così la saggia Temi le rispose che Eros non sarebbe mai cresciuto finché non avesse avuto l'amore di un fratello. Afrodite si unì ad Ares e generò Anteros e da quel momento i due fratelli crebbero insieme,ma ogni qualvolta Anteros si allontanava da Eros, quest'ultimo ritornava fanciullo. Questo grazioso mito insegna che l'amore (Eros) per crescere ha bisogno di essere corrisposto (Anteros).
Himeros è la passione del momento, il desiderio fisico presente ed immediato che chiede di essere soddisfatto.
Photos è il desiderio verso cui tendiamo, ciò che sogniamo. Photos, come volto di una dimensione amorosa, nostalgica, irrangiungibile è quell'amore idealizzato che si esplica nel soffire e nel cercare l'anima gemella.
Riunificando i tre volti dell'amore, si può dire che Anteros e Himeros , vivono nel presente, mentre Photos, vive nel passato o nel futuro.
Se volessimo trasporre il tutto nel campo delle problematiche e dipendenze affettive potremmo dire che quest'ultime si nutrono della presenza di Photos

venerdì 13 aprile 2012

GUSCI

C'era la nebbia quella mattina ,il cielo grigio e cupo rispecchiava la sua anima si sentiva così vuota in certi momenti quasi fosse il guscio di una noce . Pulito per bene e messo nell'acqua per farne una barchetta come si faceva da bambini per giocare.
 Si ricordava quando insieme alla nonna facevano colare la c'era nel guscio e su quella cera un piammifero con la sua testa rossastra all'insù e poi la meravigliosa magia di infilarci delicatamente la vela fatta con un pezzetto di carta di giornale. E nella bacinella la gara soffiando a chi faceva arrivare prima quella barca in miniatura. Chi prima arriva mangia una carmella, diceva mia nonna.... e finiva sempre che fossi io a vincere.
Quanto amore ho provato per quella splendida donna che mi ha cresciuta ed oggi posso dire grazie a lei di avermi resa così come sono. Quanto mi manca la sua tranquillità il suo sorridermi, il fingere di non vedere i miei capricci e sapere che non riesco nemmeno ad andare a trovarla al cimitero per chiederle se vogliamo farla ancora una gara delle barchette. Fa così male vedere quella foto sul marmo freddo e vicina a mio nonno. Il loro amore era così forte che nonostante fosse rimasta vedova così giovane non aveva mai voluto rifarsi una vita troppo: era l'amore che li legava anche se mai ella me lo aveva fatto comprende, quasi fosse un arcano quello stesso amore.
Amore, già come quello che riempiva oggi il piccolo guscio di noce. Così questo piccolo guscio di noce si sentiva pieno solo quando ascoltava le sue parole, solo lui era capace di toccarle l'anima e sfamarla, il solo pensiero di lui la faceva sorridere. E aveva una paura folle di soffrire: sapeva che non l'avrebbe lasciata cadere ma era consapevole e triste nell'ammetere che non avrebbe mai potuto vivere la sua vita con lui.
L'unico pensiero era credere che se il destino aveva voluto tutto questo dovesse esserci un motivo, abituata alla sofferenza da tutta la vita.
 Ora anche se per poco quando lui le era accanto si sentiva felice, anche se quando non c'era il vuoto che sentiva era così grande da strapparle l'anima in settasette brandelli-
 E sapeva che entrambi sentivano quel vuoto che le loro anime erano sempre strappate ma unite nei loro sogni, pensieri attimi di quel sentimento così forte che era destinato a sopravvivere proprio perchè mai avrebbero potuto viverlo appieno.

giovedì 12 aprile 2012

FARFALLE

Credo di aver avuto non più di tredici anni quando mio zio mi regalò per il compleanno un libro: La meravigliosa vita delle farfalle. In copertina c'erano due mani di un uomo coperte di farfalle, immagine bellissima, surreale, emozionante, ...come se quella staticità fosse movimento continuo.
Mi disse: saprai riuscire a poter attrarre anche tu le farfalle sulle tue mani?
Passai l'intera estate straiato nei prati con le mani coperte da ogni cosa che fosse zuccherina, dal miele, al succo di frutta, dalla pesca spalmata sulla pelle a caramelle succhiate e scivolate sulle dita. Raccolsi in quel periodo una enorme conoscenza su quelli che possono essere gli insetti molesti, dalle zanzare alle mosche cavalline, dai tafani ai moscerini, dalle cimiciattole puzzolenti alle vespe. La mani alzate al cielo sembravano attrarre ogni sorta di insetti... tutti meno che le farfalle.
Alla fine dell'estate quando giunse il commiato da quelle bellissime vacanze, mio zio, battendomi la mano sulla spalla in segno di stima e di amicizia chiese: allora, piccolo uomo, siamo riusciti a far posare queste farfalle sulle tue mani?
Sconsolato e sconfitto dissi che nemmeno una farfalla si era posata, avvistate a centinaia.... ma volontarie che si posassero a succhiare miele... nessuna.
Quell'uomo che mi affascinava, che ammiravo ed amavo sorrise.
Non te la prendere, è la tua piccola lezione di vita e di conoscenza di un mondo che capirai solamente tra molti anni. Ricorda figlio mio che il difficile non è far posare una farfalla sul dorso della mano, semmai il difficile è resistere alla tentazione di non afferrarla per le ali e trattenerla contro la sua volontà. La terresti, è vero, ma ella ne morirebbe.

SII TU.... di blucats

Sii Tu la luce del mio buio
La stella nella mia notte solitaria
Sii guida quando brancolo e annaspo
Sii Maestro nel mio disorientamento
Sii Padrone del mio corpo ma soprattutto della mia mente.
….e io ti seguirò nelle profondità di questi legami.
Conduci i miei pensieri e sarò tua schiava perdutamente
Che la tua mente pieghi il mio corpo ben prima della tua mano
Che la frusta sia solo un segno
Sottile striscia rossa sopra il solco della tua dominazione.
Dove fallisco sii presente
Affinché impari a non ripetere lo stesso sbaglio.
Che i tuoi occhi con la sola forza dello sguardo
Facciano abbassare l’irriverenza dei miei
Che sia quella la forza che temo
Più del sibilo del tuo “gatto”
Plasma la mia irruenza per i tuoi desideri
Doma la mia ribellione col dominio della tua Persona
Affinché sia docile nel seguirti.
Affinché i miei piedi smettano di scivolare sul ghiaccio
Dove la curiosità e la bramosità di conoscere
Mi fanno cadere e confondere
Sii per me “IL” Padrone
E sarò per sempre la tua schiava.


CARLA

Mi hai telefonato dicendo solo una frase, breve e coincisa: "Domani alle 13 ristorante "Il Gatto Nero". Non metterti la biancheria sotto il vestito!". Volevo replicare a quello che mi era sembrato un ordine: non me ne hai dato il tempo, hai chiuso immediatamente. Ti ho maledetto, ma subito ho iniziato a pensare a quale vestito indosserò domani e a chiedermi se avrò il coraggio di non mettermi le mutandine! Come da istruzioni rispolvero un paio di tacchi a spillo e un reggicalze che avevo dimenticato nel cassetto da almeno cinque anni, mi vesto con cura lasciando in bella mostra reggiseno e mutandine sul letto. Mi osservo allo specchio: il tailleur nero sembra avere un tono molto diverso, lo spacco sulla gonna arriva ben oltre il bordo più scuro della calza.Indosso un filo di perle per incollarmi addosso un’aria gentile e rassicurante, mi guardo allo specchio e rimarco le linee scure delle mie labbra fino al punto del non ritorno. Le labbra carnose sembrano due ciambelle, “Sarò bella?” Ravvivo un ricciolo ribelle, mi fascio con le mani i fianchi e accentuo lo spacco della gonna fino alla carne bianca, morbida, profumata, sensuale e preda. Di fuori silenzio, più scuro e tombale di qualsiasi silenzio passato tra le mura sicure di casa. Mi guardo di nuovo spiando il mio culo che ancheggia sui tacchi impossibili e richiama gli ultimi uccelli affamati di notte che beccano gli avanzi di cibo rimasti per strada. Freddo. Il vento s’infila nella gonna e risale sfacciato lungo la riga delle calze, e come spilli accarezza la pelle facendomi pentire d’aver osato oltre il lecito di un inverno alle porte. Sono entrata puntualissima a "Il Gatto Nero", il luogo era molto intimo e caldo. Pochi tavoli, divisi da separè di legno. Mi sono guardata attorno ma ho visto subito che tu non c'eri! Il maitre mi ha vista è mi ha detto che c'era un tavolo prenotato e mi ha invitata a sedere.Ti ho aspettato, anche se odio sedermi al ristorante da sola. Ho controllato il trucco, i capelli. Non indossavo gli slip, proprio come tu mi avevi chiesto, ed era una sensazione veramente insolita. Sotto le cosce nude, sotto le natiche, percepivo la resistenza della paglia intrecciata della sedia. Dopo quindici minuti di attesa sei arrivato. Ti ho fissato con occhi di ghiaccio, volevo fulminarti per avermi fatta aspettare. Ti sei scusato per il ritardo, e mi hai sfiorato le labbra con un bacio e ti sei seduto accanto a me, porgendomi un piccolo mazzo di rose. Hai ordinato il pranzo per entrambi ma io ho smesso di mangiare quando la tua mano si è posata sulla mia gamba e hai iniziato ad accarezzarla appena sopra il ginocchio, poi quasi con noncuranza è risalita lungo la parte interna della coscia per controllare che avessi rispettato i tuoi ordini, se fossi nuda..... Avevo camminato per te tra la gente senza reggiseno e senza mutandine e adesso ero così eccitata che me ne stavo lì seduta rigida ed impacciata, immaginando con ansia la tua prossima mossa. Avevo in mente il sesso, nient'altro. Avevo voglia di fare l'amore subito..... Mangiare insieme e in pubblico, in quello stato, si è trasformato subito in un nuovo gioco erotico. Non so neanche cosa avessi nel piatto: ogni boccone che mi porgevi con le tue mani costituiva una tentazione irresistibile. Ho scoperto che gamberetti ed insalata sono il piu' potente afrodisiaco esistente (altro che tartufi ed ostriche!). Poi hai preso il bicchiere del vino ne hai messo un sorso nella tua bocca e mi hai invitato a risucchiartelo con la mia...in vita mia nulla di più eccitante! Ho mangiato dalle tue mani ed ho bevuto dalla tua bocca.....Ero in estasi per questo!!! Quando la tua mano si è intrufolata sotto la mia gonna, in mezzo alle cosce, non ho avuto il coraggio di protestare.... Mi sono lasciata toccare la fica umida mentre in bocca sentivo sciogliersi il gusto indimenticabile di uno scampo grigliato che mi avevi appena offerto. La tua mano iniziò a dolcemente a passare sopra le mia fica che si faceva ogni secondo sempre più bagnata, un caldo nettare inizio a fuoriuscire, sentivo le punta delle sue dita scivolare sempre più dolcemente lubrificate da quel magico olio. Le tue dita che allargano le mie grandi labbra e le riaccostano, le premono per millimetri che sembrano metri per poi ricominciare fino a che prendo respiro ed aspetto di nuovo. Poi, protetto dal separè, ti sei dato un gran da fare e mi hai allargato le grandi labbra, hai sfiorato le piccole, poi hai infilato due dita con un colpo deciso così profondamente nella fica.... così profondamente da farmi rabbrividire. Ad un certo punto temevo di bagnare la gonna e l'ho sollevata un pò, lasciando scoperte le calze con le giarrettiere di pizzo. Non avevo pudore. Ero accaldata e avevo una gran smania di aprirti i pantaloni per chinare la testa sul tuo cazzo duro, e succhiartelo. Hai sfilato le due dita, erano talmente bagnate di nettare che quasi gocciolavano, hai preso un gamberetto e te lo sei messo in bocca con le due dita bagnate, poi con un sorriso hai delicatamente inserito nuovamente le tue dita nella mia fica, e nei hai estratto altro miele. Hai preso un altro gamberetto e me lo hai offerto, appoggiandolo alle mie labbra. Quel gioco mi eccitava.... Io ho socchiuso gli occhi, aperto la bocca per prendere il gamberetto, ma un secondo prima lo avevi lasciato cadere e cosi ho succhiato tutto quel dolce miele dalle tue dita. Delizioso! La mia lingua scorreva lungo le tue dita. Mai avevo pensato di assaggiare il mio nettare, era dolce, sembrava veramente miele, ecco perche ne sei sempre stato cosi’ avido. Ecco perche’ ti piaceva leccare la mia fica per tempi infiniti, e portavi la mia mente e il mio corpo in paradiso. Ero cosi’ eccitata….La tua mano che esce dolcemente dalle mie labbra, e si rifugia nuovamente in quel caldo lago dentro la fica. Così ti ho pregato di pagare il conto e di andarcene, ma tu non avevi nessuna fretta e non eri neppure imbarazzato dalla situazione. Tant'è che quando è venuto il cameriere con la lista dei dessert non hai tolto la mano dalla mia fica e hai ordinato due creme caramel con la massima tranquillità, mentre la mia vulva, contratta da uno spasmo di apprensione, si è stretta attorno alle tue dita. Quando il cameriere si è allontanato ho preso la tua mano per attirarla ancora di più contro di me e, vibrando come una corda di violino sopra al tuo dito, ho goduto.... A questo punto ti sei alzato e mi hai presa per mano ed hai detto “seguimi” Mi hai accompagnata alla toilette, ti ho seguito senza emettere un gemito, senza protestare, ma perchè mi portavi nella toilette delle donne? Ho spalancato gli occhi ma non ti ho fermato. Poi il tuo cazzo mi è apparso davanti grosso e lucido, vibrante di impazienza e ogni esitazione è svanita. Ho sollevato la gonna ed ho aperto le gambe la mia fica era talmente bagnata che sentivo colare lungo le cosce il mio nettare. La tua lingua scivola, sotto il mio mento, passa sopra in seno, succhiando con forza il capezzolo, e mi fai emettere gemiti di piacere, passa sopra l’ombellico. E si arresta davanti a quella striscia rettangolare di dolce peluria bagnata come la rugiada bagna i campi in autunno. Sentii inconfondibile l’umidità della tua lingua incunearsi nella mia fica, tra le mie cosce fino a centrare senza un attimo di sbandamento il mio piacere per poi proseguire tra le mucose ansiose del mio ventre ormai completamente allargato e alla mercé della tua tenacia. Era la prima volta che godevo cosi’ intensamente e pregai Dio che non fosse l’ultima! Sentivo la tua bocca remissiva, fedele e piena di abnegazione continuare a baciarmi per minuti e minuti, succhiando quel liquido di passione che sgorgava copioso fino ad orlare le linee esterne della mia bocca. Sentivo la tua lingua che cercava di incunearsi sempre più a fondo nella mia fica, come se volesse chiavarmi, ed io che allargavo le gambe più che potevo. Le mie mani si appoggiarono alla tua nuca, e spinsero il tuo viso contro il mio pube, potevo sentire il tuo respiro passare tra i peli della fica. Poi l’hai fatta risalire lungo il solco bagnato, quei pochi millimetri sufficienti ad arrivare al clitoride, ed hai iniziato a leccarlo con maestria fino a farlo diventare duro come un cazzo in miniatura, e la tua lingua che non gli da tregua, i denti che lo mordicchiano dolcemente.........io che ansimo e godo, mordendomi le labbra per trattenere l’urlo che la mia gola vuol liberare! “Amore, non agitarti, non essere precipitosa” mi dici con un filo di voce, mi obblighi con voce ferma a trattenere il fiato, a convincermi che è solo questione di secondi, e un colpo bene assestato mi infilerà il suo cazzo dentro la mia fica, che tra meno di un niente si farà uragano, tempesta e ciclone per interminabili minuti. E mi prendi in piedi, all’istante, col tuo cazzo voglioso che spunta rigido tra i denti della lampo e la mia gonna arrotolata fino fianchi. Un attimo dopo eri dentro di me e nello stesso istante me lo hai spinto nelle profondità del mio ventre. Sono rimasta senza fiato, letteralmente. Deliravo di piacere e presa dall'ansia di godere nuovamente mi sono slacciata i bottoni e ti ho offerto i seni. La camicetta è scivolata lungo le mie spalle fino a terra. Non indossavo nient'altro e in un secondo sono rimasta in calze e giarrettiere tra le tue braccia. Poi ho sollevato una gamba e l'ho piegata dietro ai tuoi fianchi. Volevo sentirti piu' in fondo, volevo essere colmata. Tu mi hai messo la mano sotto il culo e mi ha sollevata con facilità. Rapida ho allacciato le caviglie dietro ai tuoi reni e ho aperto la bocca per farmi succhiare la lingua. Senza il minimo sforzo mi hai tenuta sollevata, impalata sul tuo uccello ardente e mi hai chiavata in piedi, con forza bruta. E come se mi avessi penetrata fino al cuore! Le tue mani che stringevano le mie natiche, le dita affondano nella mia carne e mi dondolano su e giu’. Il cazzo che come un pistone entra ed esce dentro la fica. Le piccole tette che si stringevano sul tuo torace e i capezzoli che si strusciavano con forza. Un tuo dito che lentamente sfiorava il buco del mio culetto, e ogni volta che lo tocca, sento contrarsi i miei muscoli involontariamente. Ansimavo sentendomi sopraffare dal piacere, sono venuta immediatamente. Mi sollevo appena, la schiena incurvata ed il mio volto teso, in attesa di quel dolore così dolce e perverso, pronto a riempirmi fin dentro le viscere e a logorare ogni muscolo fino a farmi gridare, fino a farti grugnire. Subito dopo ho sentito che anche tu ti eri svuotato dentro di me in un lungo, travolgente, orgasmo!!!!!! Ho asciugato il tuo sperma che mi colava tra le cosce. Poi mi sono inginocchiata davanti a te, come quasi in adorazione a quel cazzo ancora duro che mi aveva dato tanto piacere, e ho iniziato a succhiarlo, a leccartelo e con le mani ti accarezzavo dolcemente le palle. Ti ho sentito godere di nuovo, mentre le tue mani accarezzandomi le orecchie mi davano il ritmo di quel pompino. Ci siamo ricomposti, siamo usciti dal bagno. Ci siamo seduti al nostro tavolo e ti ho guardato: non riuscivo a credere che fosse tutto vero!!!!!! Ti ho appoggiato la mano sui pantaloni, e’ ho sentito che il tuo cazzo pulsava ancora duro e vivo la sotto. Guardandoti negli occhi ti ho detto: “adesso si va a casa mia, e si chiava a modo mio……….ti succhierò anche l’anima………questa volta non ne esci vivo……” .

SPUDORATEZZA

Il dolore e il piacere, la paura e l'eccitazione, quella speciale miscela di grazia e di spudoratezza che non può non alludere a qualcosa di eroticamente forte e sconvolgente. Indossavo la gonnellina nera, morbida, che ondeggiava ad ogni passo. Mi avvicinai alla reception dell'albergo, dove lui avevo prenotato la camera, avvertendo gli sguardi degli astanti incollati alle mie gambe. Mi sentivo imbarazzata edavevo l'impressione che tutti sapessero. In camera, come in trance, mi accinsi a prepararmi come lui mi aveva chiesto: indossai il perizoma nero, tirai su per le cosce le calze velate, le agganciai al reggicalze, tolsi il reggiseno ed indossai la camicetta bianca. Per un attimo temetti di essere ridicola, poi mi guardai allo specchio. Avevo solo pochi minuti per dispormi come lui mi aveva ordinato: al buio al centro della stanza, spalle alla porta, la gonna sollevata, cosce aperte... ed attesi. Paura ed eccitazione, stordimento ed euforia, voglia di scappare. I suoi passi, la porta che si apre. Lentamente lo sento avvicinarsi, il suo respiro sulla pelle, la sua voce roca, suadente che dice: "brava piccola". Arrivano all'improvviso tre colpi...tre sculacciate fortissime...voglia di ribellione, bruciore sulle natiche, panico. Poi... la sua mano che mi carezza e la sua voce che mi sussurra di ricompormi. Confusamente avverto le mutandine bagnate tra le cosce. Me ne vergogno. Scendiamo al ristorante, il viso caldo dall'imbarazzo.
A cena mi rilasso. Quasi dimentico di essere... la sua bambina. Me lo ricorda:"Vai alla toilette e togli le mutandine. Tornerai qui e me le porgerai". Come in trance, obbedisco. Gli porgo le mutandine cercando di non farmi notare dai presenti. Lui le prende, le annusa e con gesto elegante le infila nella tasca della giacca mentre le sue dita toccano la parte umida. I signori del tavolo accanto guardano con occhi da pesce lesso:vorrei sprofondare. Torniamo in camera. Ora i suoi modi son molto piu decisi, la voce dura. Mi dice di spogliarmi, mi benda. Mi spinge dolcemente verso il muro, mi impone di aprire le cosce e sollevarmi sulle punte dei piedi, appoggiata al muro con le mani, attendo i colpi di una punizione promessa...li prendo tutti con l'estasi del dolore e piacere, che dalla carne si irradia al cervello e ridiscende giu nelle viscere. Tremo. Gemo. Poi, sempre bendata mi stende sul letto, al centro. Inizia dalla caviglia destra, che viene legata non so dove. La sinistra. Cosce divaricate, non mi sono mai sentita cosi nuda ed esposta... ora i polsi. Completamente immobilizzata. Sensazione nuova e sconvolgente: panico, eccitazione, consapevolezza totale di essere oggetto a sua completa disposizione. Di nuovo i colpi, questa volta sulle cosce, sul ventre, sul seno, tra le cosce, dove la carne sensibile e morbida urla... d'un tratto avverto una dolcezza infinita, un piacere che mi fa sussultare: la sua lingua fruga nel mio sesso: dolce, morbida, lenta assapora i miei succhi: sono un lago. Non conoscevo quest'urto violento del piacere dopo il dolore. Sento l'onda che sta per travolgermi, i miei seni sussultano...si ferma di colpo. "No, non devi venire ora". Mi toglie la benda, mi slega, mi accarezza con movimenti lenti. "Sai che sei una bambina spudorata?". Il mio corpo è alla sua mercè...come gli pare e piace, in lungo e largo. Fargli l'amore. Farmi aprire da lui. Dilaniata nelle carni...persa nei suoi occhi. Mi piace farlo godere di me. Di me legata, aperta, segnata da lui. Gelosa gelosa gelosa gelosa gelosa… da mozzare il respiro. Insostenibili pensieri, frammenti di fantasie. Vorrei lui sentisse il mio male mentre mi stringe i capezzoli duri ed eretti.. ma forse lo sente, perchè sento anch'io le sue scariche di adrenalina, il coinvolgimento totale. Trattengo il fiato... Sono in ginocchio.. Sento male alle ginocchia. Le sue dita stringono il bottone pulsante e carezzano e giocano e si perdono dentro me. L'onda mi travolge, dolce e violenta. Poi... Lentamente mi carezza il volto, le mie labbra dischiuse accolgono le dita ... che lecco e succhio... Riapro gli occhi stordita e sfinita.Avvampo,il viso in fiamme. "Apri le gambe.. apri di più.. ancora". I sensi acuiti...le sue dita che mi frugano e io, spudorata, aperta... Il mio ventre si contrae in spasmi cosi intensi da sembrare dolorosi... Avverto qualcosa che mi riempie...la pienezza, la rigidità della gomma che mi apre... lama nel burro. Dolore e piacere si scontrano ed esplodono come schegge di cristallo conficcate nella carne. Odo il mio respiro ansimante che si spezza in mille gemiti.. la sua eccitazione roca provoca in me il fluire delle onde.... Le mie cosce aperte, le sue dita che scivolano dentro. Oh, essere riempita...dappertutto...bisogno incontrollabile. Mi inarco, mi apro di piu...sempre di più... sensazioni fluttuanti di cento mani, di mille erezioni, fruscii, ...piacere infinito...sensazione languida e sfinente. Sono persa nel tempo e nello spazio. Percezioni centuplicate ed ovattate. Vergogna, abbandono, gemiti... Lui usa il mio corpo...mi apre, mi allarga con le dita, mi tocca il clitoride ...lo sento entrare, lentamente, gli piace vederlo scorrere dentro di me...scomparire, piantarlo con violenza fino in fondo ed uscire piano,lucido dei miei umori... Lo sento uscire del tutto, sento la punta che vibra vicino al clitoride. Le sue mani mi allargano le natiche, lui usa il mio buchino, gli piace sentirlo che si allarga e poi che stringe, guardarlo mentre si dilata. Con lui mi sento sempre una troia...una puttanella senza pudore, a volte mi vergogno ma non riesco a resistergli e lui continua a ripetermi "Ti piace da morire vero?" Ed allora vorrei ritardare l'orgasmo per non apparire sconcia e indecentemente aperta ma un vortice di sensazioni prepotenti mi travolge mentre lui spinge, mi scava nella pelle, mi tocca e mi tortura il clitoride con le dita mentre entra ed esce, ed io non ce la faccio, vorrei ma non ce la faccio, lui...lui mi dice quanto sono eccitante, perchè godo quando lui lo decide e quando lui lo vuole...e quando si ferma un attimo per spegnere l'inizio dell'orgasmo, spinge di nuovo, violento, mi sfonda...mi fa venire e godere, senza ritegno. Mi fa tremare sulla punta del suo sesso e delle sue dita. Ed io mi arrendo sfinita...mi imbocca, mi fa mangiare e poi mi porta di nuovo sul letto. Lui usa il mio corpo per darmi piacere, tocca i miei sensi per il suo piacere, nelle posizioni più oscene, soddisfatto della mia vergogna. Allora si alza, va a prendersi un bicchiere di liquore, mi fa bere dalla sua bocca e torna lì, si siede sulla poltrona e mi guarda. Si alza e viene a prendermi in braccio, mi adagia piano nella vasca da bagno e mentre si riempie comincia a lavarmi poi mi asciuga mi porta sul letto...dove mi amerà con tutta la sua dolcezza. Non posso più farne a meno. Cerco particolari, cerco gesti che mi facciano capire se mi ama davvero o usa solo il mio corpo. Gli piace guardarmi, scossa dai brividi, stordita...mi bacia per ore, mi massaggia, mi calma, mi accarezza dolcemente poi piano piano sempre più forte, aumenta il ritmo...e ricomincia fino a vedermi mutare espressione, socchiudere gli occhi, ansimare e cercare i suoi sospiri con la lingua guizzante, le sue mani esperte giocano con il mio corpo.........

ANNA (gli occhi di lei)

Anna è arrivata ad orvieto praticamente da Londra, giusto il tempo di passare da casa per cambiare il bagaglio e lasciare il portafoglio con le sterline, tanto a Orvieto mica servono. in realtà il cambio del bagaglio è stato accompagnato da due giorni di lavoro frenetico, come sempre, e un bel febbrone che uno non sa mai se è per l'influenza o per lo stress e la stanchezza.
Comunque sia, a dispetto della febbre, Anna parte. Sa essere molto irrazionale 'sta ragazza, a volte mica la capisco.... in certi momenti ha un io bambino che le invade la sfera adulta e la fa sragionare, però che bello ritagliarsi delle sfere irrazionali in cui il fanciullino ti giuda verso l'esplorazione del mondo...
In realtà c'era qualcos'altro oltre alla passione per la musica che la portava ad Orvieto, una persona sconosciuta con cui Anna si sentiva in grande sintonia, una persona con cui aveva solo scambiato lunghe appassionate mail che spesso parlavano di altre donne, altri uomini, altre emozioni ed altri piaceri che non fossero i loro. Eppure la tentazione di dirgli “sono qui, voglio vederti” era forte. Non era nei patti, non era nelle previsioni, ma alla fine….perché no? Anna ricordava il vecchio adagio: meglio pentirsi di aver fatto che di non aver fatto, e quindi ancora una volta perché no?
Anna era restia, nell’era di internet era una che frequentava poco le chat, quasi per niente, non ne aveva tempo e non ne aveva voglia, le sembrava sempre tempo sprecato.
Per soddisfare la sua proverbiale ipertrofica femminilità se aveva voglia di rilassarsi meglio una manicure o un idromassaggio, la chat la annoiava. A giugno aveva messo quel messaggio su quel sito di pazzi, in realtà voleva essere una trappola, un tranello teso verso una storia dolorosa e finita, un insidioso dominio che Anna voleva padroneggiare ancora. In realtà le cose avevano preso un’altra piega: quelle tre parole in croce avevano invaso la sua casella di posta con un migliaio di mail, la maggior parte delle quali erano state solo lette una mezza volta e cestinate.
Quella di lui era arrivata dopo tanti mesi, carica di allusioni, ,carica di malcelata passione… un sedicente Massimo, 43enne, umbro, giornalista… il quadro era interessante, lo era ancor più il suo modo di scrivermi.
Una frase la colpì: Persone straordinarie, cercano e vogliono persone straordinarie, persone che sappiano essere sopra le righe, che siano angeli e demoni, che comprendano il momento, riescano sempre a cogliere l’attimo e trasformarlo da semplice frazione di un secondo in una dilatazione senza fine dello spazio e del tempo.
Lo spleen di Baudelaire… l’angoscia esistenziale e simbolica dell’angelo decaduto attratto dal cielo e dall’abisso… Anna si riconobbe in quelle parole e rispose, e poi rispose ancora e ancora, tra un viaggio e l’altro, spesso seduta alla sua scrivania invasa di carte…
Arrivò ad Orvieto nel primo pomeriggio, l'albergo prenotato vicino alla stazione per non starsi a trascinare bagagli in giro, la funicolare pronta a portarla sù in paese. la signorina della reception l'accoglie con un grande sorriso, nome, cognome, questa è la sua chiave, documenti...
Cazzo i documenti!!!!
Sono rimasti nel portafoglio delle sterline, passaporto, patente, carta d’identità…
Mhhhh, situazione complicata… provai a chiamare in ufficio per farmi mandare una copia dei miei documenti, ne conservo una scansione sul desktop perché non si sa mai… mi sentivo furiosamente imbecille.
Salita in camera la telefonata con Massimo, Anna gli racconta l’accaduto, e lui con una naturalezza e una serenità disarmante le dice di non preoccuparsi, se le avessero fatto storie si offriva lui di prenotare la camera al posto suo.
Anna sorrise e si rasserenò. Massimo non aveva solo la pretesa di essere un padrone, la fece sentire protetta. Pensando al suo caratterino al pepe in effetti a Anna capitava raramente di dare la possibilità ad un uomo di farla sentire protetta, di solito tutti si sentivano molto intimiditi dalla sua apparente durezza…
L’esperienza con Dario l’aveva provata, ferita fin quasi a farla morire, ma aveva avuto il vantaggio di trasformare la “micina coccolona” che era in un animale inquieto e guardingo, il morbido pelo trasformato in ispidi aculei, era diventata più dura e più cinica, aveva imparato a proteggersi, a non permettere a nessuno di ferirla.
Gabor non la faceva sentire troppo in guardia, anzi, l’idea di vederlo la riempiva di quell’entusiasmo frizzantino che ti cresce in bocca come le caramelle al limone che comprava nonno insieme alle sigarette.
“Ci vediamo in albergo da te più tardi”
hi hi hi
Dopo averlo aspettato per un po’ in albergo Anna decise di scendere nella hall, Massimo non sapeva neppure come si chiamava Anna, di chi avrebbe chiesto?
Mentre lei scendeva lui era già lì.
Anna lo guardò dietro gli occhiali, avvolta nella pelliccia chiara del cappotto. Aveva uno sguardo profondo ma al tempo stesso molto caldo,rassicurante.
Due parole, un gran feeling come vecchi amici che si ritrovano dopo tanto tempo, un caffè, ancora parole.
Anna sarebbe voluta rimanere a parlare ancora, ma aveva prenotato i biglietti per vari concerti, gli amici che già l’aspettavano…
“Ci vediamo domani per pranzo allora”
“Sì, ok”
Salendo in paese Anna ripensava a Massimo, al suo fare pacato e sicuro, al calore che le sue parole e i suoi gesti irradiavano…
L’indomani lui le raccontò di sé, delle tante conoscenze fatte in chat, delle persone che avevano incrociato il suo cammino, di sua moglie, ,della sua bambina… a Anna piaceva ascoltarlo, con quel suo modo di raccontarsi scevro da ogni superbia, lo sentiva padrone, maestro, Mèntore, amico, in un modo a nessun altro uomo uguale, un uomo vero.
Il vento  scompigliava i capelli ribelli di lei, che si intrecciavano a coprirle il viso, si fermavano sulle labbra e danzavano insieme al cappotto.
Massimo allungò una mano per scostarli, un gesto innocente e naturale, invero una scarica di adrenalina, un attimo di eternità sospeso tra terra e cielo. In quel momento si era fermato tutto, vita e morte, sole, vento, suono, memoria, ricordo, tutto.
Alzando una mano al viso Anna ricorda ancora quel gesto, come fosse l’hic et nunc di una comunione di anime.

SE

Se invece di parlarmi mi ascoltassi soltanto, mi sentissi respirare con fatica, mi sentissi sospirare, mi sentissi aumentare il ritmo del respiro. Se invece di immaginarmi sotto le tue mani,di volermi strappare quel reggiseno con i denti, di bramare di tirarmi giù le mutandine con la lingua... Se tu venissi qui e vedessi la voglia che mi sconvolge, la pelle umida di calore, le mani che tendono ...verso di te, le labbra che tremano, la lingua che vuole la tua pelle e il tuo respiro, il tuo sapore e Te… Se mi spogliassi davvero, mi togliessi tutto ciò che mi copre per coprirmi di te, coprirmi di carezze, di baci, di morsi, di indicibili violazioni… Se mi stringessi i fianchi, mi divorassi il seno fino a saziarti, mi portassi a quel limite tra dolore e piacere, mi sentissi implorarmi di smettere, mi sentissi pregare di continuare... Se mi lasciassi inondare di profumi, mi sfiorassi, mi stuzzicassi, mi tormentassi, mi toccassi, mi prendessi, mi sfinissi... Se mi lasciassi impazzire lentamente fino a non reggere, non reggere nel respiro che cede e si spezza, non reggere nella voce che si libera, non reggere fino a mordere... Se il mio clitoride chiedesse pietà e se tu giocassi ancora un po'… Se poi scendessi a baciarlo, a bere, a dissetarti di me, di me che sono un fiume in piena... Se ti sdraiassi qui, mi prendessi per i fianchi, mi prendessi così, dolcemente, da lasciarmi abbandonare su di te, mi sentissi avvolgerti completamente fino in fondo dentro di me... Se mi guardassi negli occhi, mi sentissi gocciolare sulle tue gambe, mi vedessi diventare sempre più bella, mi ascoltassi rivelarti il mio piacere fino a morderti la spalla, fino a un lungo e profondo e interminabile respiro, fino a...
Se tutto questo fosse adesso, che succederebbe?

ANNA (gli occhi di lui)

Hai esperienza? Questo mi hai chiesto.
Già esperienza. E’ ciò che esige chi ha il desiderio di affidarsi ad un master, per vivere emozioni e sensazioni che sembrano sopite e che hanno voglia di emergere. Ho esperienza diretta, non escludo nulla nel gioco con le mie slave per far comprendere a loro il significato dell’appartenza, della dominazione.
E’ difficile, molto difficile con una semplice lettera riuscire ad invogliare, far comprendere come è una persona, cosa sa offrire, come si pone davanti alla sua futura slave, farsi scegliere tra mille che si propongono, che vantano misure, doti e prestazioni.
Dico solo che essere master oggi sembra essere diventata una moda. Internet è un proliferare di master e padroni e sembra che tutti noi abbiamo tantissimo da offrire. Ognuno esclusivo e che pretende l’esclusiva. Ma io chiedo spesso in chat, quando capita di poterne parlare….ma prima dell’avvento di Internet, come riuscivate ad essere master? Riuscivate a trovare persone, slave, capaci di affidarsi alla vostra dominazione? Questa è esperienza, saper sentire i desideri di una donna, suscitarli, provocarli, innestarli dolcemente dentro di lei, permettere alla slave di scoprirli, di desiderarli. Poi magari ti accorgi che ci sono una marea di persone che giocano a perdere il tempo, come se il SM sia solo un gioco, un passatempo per vincere la noia, per cercare qualcosa di eccitante che animi la mente e lo spirito.
Lo stesso accade con le slave…ma questo è un altro discorso e credo che non ti appartenga. Sei tu che in questo gioco, in questo percorso che vuoi percorrere, sceglierai, sceglierai la persona cui affidarti. Lo farai per la sua esperienza, per averti saputa colpire, per le cose che dice e per quelle che non vuole dire, come se il mascherare ed il nascondere ciò che avverrà, sia al tempo stesso piacere per la mente. Non credo che una email basti per presentarsi, credo che il rapporto tra master e slave sia così intimo, sottile, fatto di grande fiducia, desiderio soprattutto che solo il tempo può consolidare e far crescere.
A volte a colpirti è una frase, a volte l’aver saputo scalfire ciò che è intorno ad ognuno di noi….e dire.. sì a questo vorrei rispondere, vorrei conoscerlo meglio.
In una chat si ha più possibilità di entrare in contatto. In fondo si è tutti li, in una sorta di mostra, ognuno con il suo nick, pronto ad offrirsi, pronto a conquistare. Io rifiuto sempre le stanze affollate delle chat. Non per paura di concorrenza e non perché sia troppo timido per sopportare la tenzone. No, tutt’altro. E che credo che occorra soprattutto stabilire un legame, avere la possibilità di parlare. E quando dico parlare mi riferisco non alle parole vuote, le solite, ma alla capacità di saper ascoltare soprattutto, sentire l’altro, sentirne le emozioni… come se fosse davanti a te, come se improvvisamente la scintilla, il contatto avvenga.
Non amo mai vantarmi della mia esperienza e non ne parlo. Potrei dirti ho conosciuto molte slave, loro difficilmente potranno dimenticare ciò che sono stato per le proprie esperienza. Loro sanno quanto hanno fatto per me e quanto sono state felici di viverlo. Già, ma credo che questo lo dicano tutti, indistintamente, quasi sfiorando il vanto che sa di bugiardo.
Non conosco un master, vero o presunto che non sia ben felice di farlo. Ma non credo che tu stia cercando questo.
Persone straordinarie, cercano e vogliono persone straordinarie, persone che sappiano essere sopra le righe, che siano angeli e demoni, che comprendano il momento, riescano sempre a cogliere l’attimo e trasformarlo da semplice frazione di un secondo in una dilatazione senza fine dello spazio e del tempo. Non ho fretta, non ho mai fretta con le mie slave. Credo che sia questa la cosa che più viene apprezzata. Saper aspettare, saper guidare, saper condurre senza ricorrere alla fretta, senza dover dire lo voglio subito.
So che il percorso è difficile, so che il percorso richiede passi misurati ma so anche che ciò che si raccoglie lungo il percorso è di inimitabile valore: il piacere. Offrire e raccogliere piacere, viverlo come se l’uno fosse nella pelle dell’altro, come se il sangue dell’uno scorrere nel sangue dell’altro. Scrivere e rispondere è fatica. Lo so. Sono centinaia le offerte. Ma dico solo “fidati”.
Chiedo solo una risposta, solo se sono riuscito a farti comprendere come sono, come potrei essere, cosa potrei offrire.
Vorrei che per te fosse una curiosità da appagare, un desiderio da costruire, scegliendo uno tra mille, perché l’istinto te lo ha suggerito.
La risposta arrivò, insperata un paio di giorni più tardi.
Iniziò così la mia storia non Anna.
Ci sono storie che attraversano la nostra vita e che ti restano attaccate alla pelle come un tatuaggio. Ci sono storie che ti coinvolgono e che hanno un sapore particolare.
Non puoi dire che siano uniche, che siano state indimenticabili. Un aggettivo che probabilmente da solo non riesce a racchiuderne il significato che sembra zoppo, incompleto.
Sono storie che ami narrare a te stesso in quello scorrere la carrellata dei ricordi, forse proprio perché incomplete, forse proprio perché diverse dalle solite.
Una storia di sesso ad esempio ha i suoi lati indimenticabili. Certo, li ricordi alla perfezione con le sfumature, con i toni del colore rosso accesso che sanno di passione. Una storia di sesso la vivi sulla pelle, te ne accorgi dai segni che lascia sul tuo corpo, non segni visibili che possono scomparire con il tempo; segni che solo i tuoi occhi e la tua memoria sanno vedere così a lungo. Il modo di lei di baciare il tuo corpo, di accarezzarlo, come lei lo aveva stretto, cercato, voluto in quell’amplesso che avete condiviso.
Ci sono storie che hanno dentro di se emozioni particolari, diverse da quelle che può darti il sesso, vissuto, consumato e goduto. E’ l’erotismo, la capacità erotica di una donna che te le fa rendere tali.
Erotismo. Una parola che adoro. La capacità di trascinare la mente di una donna attraverso l’erotismo, attraverso piccoli segnali che nulla hanno a che fare con il sesso diretto, spicciolo, quello consumato e vissuto da ogni comune mortale.
Non è facile trovare una donna che sappia cosa sia l’erotismo e tanto più è difficile una donna che l’erotismo lo sappia vivere; ma ciò che più è difficile, raro, è il riuscire a trovare una donna che ti chieda erotismo, che ti chieda di essere travolta dall’erotismo, che sia questa particolare emozione a cavare da dentro se stessa gli angoli più intimi della sua sessualità, della sua femminilità, del suo essere sensuale.
Anna è tutto ciò.
Anna mi ha chiesto di essere il suo Maestro di erotismo, di accompagnarla a scoprire se stessa, negli angoli nascosti della femminilità, nel suo desiderio di essere ella stessa oggetto che emana erotismo.
Un incontro che dire casuale sembrerebbe irriverente. Un annuncio, semplice, diverso dagli altri, messo li in mezzo a tutti quelli che chiedevano prestazioni, misure, fuoco e vento di passione. Anomalo, stonato forse. Mi fa venire in mente il Manzoni quando parla di Don Abbondio: vaso di coccio costretto a viaggiare in mezzo a tanti altri di ferro.
Quattro righe appena che sembravano stridere con quella che era la bacheca degli annunci. E’ un po’ come trovarsi ad una mostra di Caravaggio e scoprire appoggiato in un angolo un quadro di un pittore contemporaneo, ma di inestimabile valore. Lo guardi e ti chiedi: cosa ci fa lì in mezzo. E la tua curiosità viene attratta proprio da quel particolare, dal quel quadro che stona lì in mezzo, ma che ha il suo valore. Lo fissi e perdi l’interesse per quelle opere d’arte che sono pur così preziose, come se tutto all’improvviso passasse in secondo piano.
Anna non chiedeva misure, non offriva il suo corpo, non cercava chi sapesse domarla come una puledra bizzosa. Chiedeva erotismo e per farlo usava parole particolari, parole che potevano essere lette solo da chi sa ascoltare il battere del cuore di una donna, solo da chi fosse stato come lei, solo da chi sapeva cosa lei cercasse nel suo intimo.
E’ iniziata così la storia attraverso la corrispondenza fredda e cruda di un’email. Strano vero? Si, lo è, ma forse proprio per questo risultò così intrigante. Adoro scrivere ed adoro leggere. Le parole scritte hanno un significato diverso dalle parole che si dicono comunemente, ogni giorno, nel dialogo qualunque, in momenti più particolari. Le parole scritte sono come soppesate, misurate, possono essere rilette…. E quello che è più straordinario è possibile leggere negli spazi vuoti che restano tra una riga e l’altra. Leggere tra le righe, dire e non dire, lasciare che l’altro capisca, che l’altro si disseti delle tue parole e che risponda, allungando un gioco fatto di non sapersi, di non conoscersi, di mutismo vocale, di attrazione per scoprire chi si cela dietro a quelle parole, immaginare il suo viso, la sua pelle, il colore dei suoi capelli, le forme del suo corpo….
Attraverso quelle storie che io raccontavo a lei, raccontavo me stesso, la mia vita, le mie situazioni vissute. Raccontavo il mio erotismo, corteggiandola proprio nel campo che ella aveva scelto, proprio in quel terreno così fertile che lei aveva scelto.
Non immaginavo di poterla conoscere. Non era nell’essere della nostra storia. Era una sorta di tacito accordo tra noi. Scriversi, tentarsi, eccitarsi, incamminarsi insieme nell’eros e non sapere mai chi possiamo essere. Forse la mia vicina di casa, forse la donna che incontro ad un convegno, forse la compagna di un mio conoscente.
Senza corpo, ma solo l’anima. L’anima che trasudava di erotismo.
Ma chi si cimenta in imprese ardue e difficili ha sempre dalla sua il fato. Il destino ama giocare con gli uomini, mischia a dovere le carte e sa distribuirle con perizia meticolosa.
A volte so benissimo di essere un fortunato, mi accorgo di esserlo. La vita mi riserva, pardon dovrei dire il destino, cose che ad altri non dona. O forse è il mio desiderio di osare, di voler vivere anche la più piccola sfumatura della vita che mi viene servita su un piatto d’argento. Non lo so questo e forse non c’è nemmeno la voglia e l’interesse di saperlo dal momento che tutto è legato all’essere o al non essere.
Il destino ha premiato il mio osare, il mio non essere diffidente e lasciare che tutto scorra come un fiume placido e tranquillo.
La sua email mi sorprese e non poco.
Sarò ad Orvieto per Umbria Jazz. Una pazzia?
Si, Anna, è una pazzia. Una pazzia che desideravo, che coltivavo, che speravo come cosa più gradita.
Risponderle con il mio numero di cellulare fu un obbligo. No fu piacere, piacere puro di conoscere questa donna che desiderava erotismo e che viveva per questa emozione.
E siccome le storie “particolari” non possono avere uno svolgimento normale, che le fa assomigliare a tutte le altre…
La chiamai per sapere se era arrivata in albergo. Il suo messaggio sul cellulare avvertiva che sarebbe stata ad Orvieto nel pomeriggio.
Sentire la sua voce fu come dare corpo a quella sensualità che noi due desideravamo e che scoprivamo così bene attraverso la scrittura. A volte ti fai un’idea della voce che potrebbe avere una persona. Tanto per pensarla, insomma. Ti chiedi che voce avrà? Inflessione dialettale, morbida come velluto, sensuale, argentina e squillante, affrettata, pacata? Non me lo ero mai domandato, non perché non avevo la curiosità di scoprirlo, ma solo perché io stesso non sapevo dare una voce all’erotismo. Era un po’ come restare sospesi tra cielo e terra. Questo per me era la voce di Anna.
Non interessava sapere come sarebbe stata la sua voce, ma come sarebbe stata la voce dell’erotismo, la voce che Eros aveva scelto per incarnarsi nell’anima di una donna.
Era rimasta senza documenti. Già proprio così. Senza documenti e con la segretaria dell’albergo che aspettava per confermare la sua prenotazione.
Mi sono offerto di prendere la camera per lei a mio nome, dando le mie generalità. Adesso chi legge dovrebbe immediatamente dire: Santo Piffero che “straculo” che hai. Gioco fatto no? La camera è tua, lei è lì, sai che lei è erotismo puro…. Insomma dai chi non avrebbe scommesso su quello che la notte avrebbe portato? Facile no?
Non si tratta di leggere tra le righe, si tratta solo di dire: chiedi e basta. Ma non tutti gli uomini sono uguali o forse io non ho voluto pensare a questo.
Le storie particolari si trascinano in modo particolare, hanno picchi particolari, momenti particolari. Le storie particolari non vanno consumate in fretta, non possono essere usate solo per sfamarsi di passione.
Ricordavo le parole che altre donne mi hanno detto: osa sempre con le donne. Elisa mi aveva detto questo l’ultima volta.
Era andata all’appuntamento con un tizio. Un caffè preso nel bar non distante da casa sua. Un uomo interessante che faceva trasparire il desiderio che aveva per lei. Il tempo del caffè, quattro e delle solite chiacchiere per conoscersi, per sapere chi non siamo e cosa non vogliamo e poi l’essere riaccompagnata a casa con l’auto di lui. In auto lei dice: Oddio mi si sono sfilate le calze, come sempre, ogni volta un disastro. Lui, che sa osare, le chiede se ha collant. No indosso autoreggenti. Lui per tutta risposta posa la sua mano piano sulle sue gambe. Lei avverte il calore della sua mano. Sono quei momenti in cui senti che sta per accadere tutto. Frazioni di secondo che raccontano la passione il desiderio. Scambi mentali veloci come archi riflessi. Tu fai quello, lei fa questo.
La sua mano la accarezza, sale piano fino a sentire il confine tra calza e pelle, gioca con il bordo dell’intimo, sale ancora fino a sfiorare i suoi slip, accarezzando il suo corpo. Sente il suo calore, il desiderio di lei, la passione che lo chiama, la passione che lo invita a non indugiare. Istanti, frazioni di secondi, attimi che poi ti sembrano lungi una vita ma che sono racchiusi nello spazio infinitesimo dello sbattere delle ciglia.
Lui cerca un posto per fermarsi. Elisa sente la passione di quell’uomo salire velocemente, legge nei gesti l’attrazione, il desiderio di averla, di prendersela. L’eccitazione dell’uomo diventa la sua stessa eccitazione.
Sono nel mezzo del traffico della città, le auto suonano, rombano, tutti hanno fretta di tornare a casa, di lasciare la colonna e gustarsi il riposo della propria casa. Loro due non hanno questa fretta, hanno un’esigenza diversa. Trovare un angolo, uno spazio dove fermarsi e consumare la passione che li ha infiammati.
Il pomeriggio invernale aiuta con l’oscurità, è complice di quella passione che vogliono consumare, intrigati dal desiderio di congiungersi, di sentire pelle su pelle, piacere su piacere.
Si fermano e lui si butta sopra di lei. Nemmeno Elisa sa come ha fatto a spogliarlo, a slacciare cintura e pantaloni di lui, a sollevare la sua gonna, a far scendere i suoi slip in un’altra infinitesima frazione di secondo. Lui è sopra di lei, si muove, la desidera, la sente bagnata ed eccitata, pronta a consumare quella passione di fuoco. Ma è lei che gestisce il gioco. E’ lei che sentendo il piacere dell’uomo arrivare decide di goderselo tra le sue labbra, di sentire quella passione scoppiare nella sua bocca, di cibarsi della passione che zampilla dal sesso del suo compagno occasionale, divorare quello che sarà il piacere sollecitato così impeccabilmente.
Tutto è avvenuto in meno di dieci minuti. Una frazione di tempo che per i due amanti è sembrata un’eternità.
Strane cose sa fare la passione, strane cose sa fare la passione a chi sa osare.
Osare. Ricordavo le parole di Elisa.
Anna è scesa dalla sua stanza. La segretaria della reception l’ha avvista che c’era una visita. Strano dover prenotare una camera, chiederla a tuo nome per una persona che nemmeno si conosce e poi doverla aspettare nella hall.
La porta dell’ascensore si è aperta lentamente come se si schiudesse piano il Paradiso davanti ai miei occhi. Ed eccola lì, Anna. Bella da mozzare il fiato. I capelli ribelli, il corpo morbido come era morbida la sua voce, il suo camminare flessuoso, senza fretta, come se fosse una pantera che studia la sua preda. Io immobile a guardarla in quei pochi passi che mi separavano dall’ascensore. Gli occhi guardano e che sembrano assenti, scrutano e non vedono, le narici captano profumi, il cervello analizza emozioni.
Tutto in una frazione di secondo, nello spazio del battere delle ciglia, racchiudendo tutto in un microcosmo.
La sua scollatura è invitante. Profonda, sensuale, come la persona stessa.
Ecco l’erotismo che mi avanza dinanzi, ecco l’eros che si è vestito di donna.
Un caffè, tanto per conoscerci, per parlare di noi, per raccontarci quello che non ci eravamo mai detti per email. La nostra vita sfiorata nei racconti, a volte appena accennata, come se il nasconderla o il solo evitarla non avesse fatto parte dell’eros che volevamo, di quell’eros che avevamo chiesto e promesso.
Osare. Imperativo, parola d’ordine. Le parole di Elisa erano una tentazione. Salire con lei? Chiederle di farlo, tentarla? Le storie particolari hanno sviluppi altrettanto particolari, inusuali, diversi. Sai benissimo che non c’è bisogno di studiarsi, sapersi, non serve ne la spada nel fioretto. Non serve affondare il colpo. Basta lasciare scorrere il fiume dell’erotismo. Se è, sarà. Altrimenti non serve.
Lei andava ai concerti per il piacere della musica, io sarei andato ai concerti per lavoro, ma non era mia intenzione incontrarla in quelle occasioni. Non perché fossi deluso da lei, non perché non mi piacesse quella donna. Solo perché sarebbe stato diverso, banale, scontato, forse non sarebbe nemmeno stata la continuazione dell’erotismo che noi due desideravamo. Se è, sarà.
Ci siamo rivisti il giorno dopo.
Una gita a ad un paese vicino, invece di restare ad Orvieto, dove la musica creava attrazione continua. Il viaggio verso la cittadina permetteva di approfondire il discorso. L’erotismo, il leggere tra le righe, il desiderio. Scoprirsi piano, come se fosse un gioco della seduzione. Anna non poteva immaginare nemmeno quanto io potessi desiderarla, volerla, bramarla. Sentire il contatto della sua pelle, accarezzarla dolcemente, trasmetterle il piacere, farlo scivolare piano sulla pelle.
Quando un uomo pensa al piacere che una donna può dare, pensa immediatamente al sesso. La penetrazione come sfogo della passione. Non desideravo questo, non volevo tutto ciò. Non era possederla, era “sentirla”. Sentire fremere la sua pelle, sentire la sua voce che si perdeva nella mia bocca, era poter scoprire il candore della sua pelle, assaggiare il sapore del suo corpo, il calore della sua anima. Ma era questo l’erotismo. Avere accanto una donna che è splendida, desiderabile, desiderata e saper aspettare. Sapere che accadrà, che potrà accadere ma essere capaci di aspettare, di attendere, di rinviare ogni azione.
Desideravo quella donna e lei non poteva immaginare nemmeno quanto.
Era bello desiderarla e non fare nulla di eccessivo per osare, per farle capire quanto io la volessi, quanto il suo erotismo era scatenante per me. Le sue labbra erano stupende: carnose e volitive, disegnate senza fretta da chi l’aveva creata donna, come se per quel disegno di sogno fosse stato scelto un esperto pittore.
Le sfiorai piano il viso per scostare dalla sua bocca i capelli che erano rimasti imprigionati tra le sue labbra. Un gesto voluto, cercato.
Il destino ti da una mano, te la da se sei capace di vivere una storia non comune, non certo ordinaria e comunque difficile da consumare nella sua essenza.
Era stato il vento a mettere nella sua bocca i capelli, ad intrecciarli dispettoso con il suo lucida labbra. Un gesto semplice per molti, banale, che forse non dice nulla a chi non leggere tra le righe.
Spostai piano i capelli mentre le parlavo di cose di cose banali. Ma i miei occhi dicevano molto di più. Le trasmettevano il mio desiderio di baciarla, la mia voglia di posare le mie labbra sulle sue, di carezzarle in un tenero bacio, di sentire come sarebbe stato delizioso il poterlo fare, il cercare la sua lingua, imprigionarla con la mia, succhiarla lentamente, quasi fosse un oggetto di indicibile piacere.
Schermaglie amorose che si consumano all’interno della bocca, umori che saltano da una bocca all’altra, sapori che si mescolano ed infiammano il sangue. Senza fretta, senza dover correre, senza essere bruciati dal desiderio ma sentirselo crescere piano dentro di noi, accorgersi di esso dai fremiti, dalle emozioni che diventano univoche. Un gesto delicato, leggero, ma che nascondeva tutta la voglia il desiderio di essere per lei quel Maestro di erotismo e di piacere che lei aveva chiesto a suo tempo. Il mio gesto era per trasmettere a lei i miei pensieri.
Come per dirle “ora accarezzerò piano il tuo viso, lo sentirò sciogliersi sotto la mia mano, sentirò il piacere che provoca la mia carezza, il dipingerlo piano e regalare a lui l’emozione”.
Il dorso della mia mano che torna indietro per continuare quella carezza senza fine e sentire il suo sguardo che mi scruta, che trasmette il desiderio, l’erotismo, la carica erotica che è nascosta dentro di lei. Una carezza che volevo non avesse mai avuto fine per sentirla come si sarebbe donata ed affidata a quel piacere, come l’avrei attirata piano a me per baciarla, per sentire il suo corpo che avrebbe voluto appiccicarsi al mio, penetrarlo per fondersi con lui. Per sentire il suo ventre schiacciato contro il mio, per farle sentire la mia eccitazione che cresceva, causata e provocata da lei.
Amarla li, in quella piazza, dimentichi di tutto, ignari degli sguardi, degli occhi di chi passava. Adagiarla sul cofano dell’auto e baciarla, spogliarla, prenderla, possederla. Una carezza di pochi secondi, un gesto fugace che ha dettato al mio eros mille parole, una mistura profumata di emozioni, di passione.
Pensare a lei, pensarla tra le mie braccia, desiderare di scoprire il suo seno, sentirlo offerto alle mie labbra, come se ella stessa lo desiderasse. Sentire le sue mani che lo offrivano alle mie labbra, come se i suoi capezzoli fossero cosparsi di miele e lei chiedesse di cibarmi di quel sapore dolcissimo. Senza fretta, senza correre, solo il piacere che esce dal suo corpo e rientra attraverso il cervello.
Fermarmi a succhiare il suo seno, a giocare con i suoi capezzoli, circoscrivere le dolci punte con la mia lingua, salire su di esse e scendere ancora alla loro base per poi sentirli premere tra le mie labbra, sentirli indurirsi nel piacere. Morderli piano e sollevarli con le mie mani, come coppa di ambrosia da succhiare. Sentire i suo capezzoli bagnati dalla mia saliva scorrere tra le mie dita, stuzzicarli piano per sentirli crescere ancora, tirarli a me, come per trasportare tutto il suo corpo verso il mio, incollarlo in una presa che è suggellata dall’erotismo.
Risalire piano sul suo collo, sentirne il profumo, coprirlo di baci, la mia lingua che lo cerca, che striscia piano come per tessere una ragnatela di passione. Arrivare di nuovo sulla sua bocca e sentire come ora lei la spalanca vorace sulla mia, come ora la sua lingua si fa più audace, più volitiva, come lei ora voglia trasmettere il piacere che le cresce dentro.
E scendere di nuovo per arrivare al suo ventre per scoprirne le fattezze, le pieghe inebrianti, per ascoltare il rumore che la mia lingua fa nello scivolare tra le sue labbra. Aprirle piano, divaricarle con la mia lingua, sentire la sua eccitazione che si spegne sulle mie labbra, che si deposita sulla mia lingua. Raccogliere la sua eccitazione, il suo sapore e dire a se stessi… si, eccolo, non poteva essere diverso il sapore del suo Eros. Sentire come lei avrebbe reclinato il corpo all’indietro per offrire meglio il suo ventre alla mia bocca, per essere scavata piano dalla mia lingua, per sentire come la mia bocca avrebbe fatto divaricare le sue labbra per succhiarne il nettare prezioso.
Aprire il suo fiore per leggere nella passione l’armonia che è pronto a suonare il suo clitoride. Bellissimo, prepotente e volitivo, capace di essere tentato dalla bocca esperta e capace di riversare il piacere più grande. E sapere come io lo avrei baciato, come sarei corso fino alla sua punta, come io lo avrei accarezzato con la mia lingua, come mi sarei tuffato ancora alla sua base per sentirlo gonfio e fremente. Come per i capezzoli, con la stessa attenzione e con lo stesso piacere.
Sentirselo tra le labbra, tentarlo con la lingua e sentire contemporaneamente il sapore delizioso. Sentire il suo sesso sciogliersi nel piacere, sentire come piano colerebbe sotto i mie baci, come il piacere allagherebbe piano il suo sesso, colando lento fino alle sue gambe.
Accorgersi di questo ed abbandonare per un solo istante le sue labbra per raccogliere quel piacere, quel succo prezioso che è sfuggito inavvertitamente alla mia bocca. Sentire le sue mani che spingono la mia testa, quasi a soffocarmi, quasi a farmi respirare attraverso il suo sesso, come per chiedere ancora, come per sperare che il piacere non abbia mai fine. Baciarla così, senza mai smettere, a sentire i suoi sussulti di piacere, a sentire il suo volersi donare alla mia bocca.
Tre secondi appena per pensare e vivere tutto questo, per immaginare come io le avrei voluto dare il piacere, come io lo avrei voluto cercare dentro di Anna.
Passeggiavamo insieme alla scoperta di monumenti e chiese e sentivo il suo eros, forte prorompente, come lo avevo sempre pensato e creduto.
Appena tre secondi per vivere davanti a me tutte queste emozioni, parole e sensazioni, inconfessabili a lei.
Lei non è una donna qualunque. Lei sa essere preda, ma preferisce cacciare, scegliere. Se avanzassi verso li lei finirei sua preda. Ricordo l’impressione che mi aveva fatto uscendo dall’ascensore: una pantera che sembra scegliersi la sua preda. Non è questo ciò che desidera e vuole da me. Lei si è affidata al mio erotismo, lo vuole, lo desidera. Se è, sarà.
Posso chiedermi le piaccio? Le vado a genio? Si, credo di si, ma lei sa sgusciare e svicolare, disimpegnarsi con semplici azioni di dialogo, ha l’intelligenza per farlo, per esserlo così, con naturalezza.
Parliamo di architettura, di arte, faccio da Cicerone, racconto, parlo. La guardo, la osservo senza farmi accorgere, quasi se lei fosse una sorta di indifferente presenza.
Madonna quanto mi piace, quanto mi attrae, quanto vorrei sentire per un attimo il sapore delle sue labbra. E passo a raccontarle di architravi, di volte a botte, di ciborio e transetti di altari.
La strada sale e si fa sentire, giriamo per vicoli e piazzette che si aprono improvvise, vorrei tenerla per mano, sentire la sua mano, sentirne il calore. Parliamo di lei, anche di lei, le sue storie, la sua vita a fiotti, frammentata tra mille mie parole. Vorrei stordirla di parole e vorrei che lei mi azzittisse con un bacio.
E’ bello vederla sorridere mentre ammicca a quella notte sulla spiaggia avvolti da una coperta. Il “fanciullino” ha fatto scintille, trasuda erotismo e il suo racconto invece di infastidirmi mi appassiona, un senso di complicità. In fondo è questo che lei chiedeva. Che io fossi Maestro e Complice, che fossi per lei una sorta di diario che non solo sa ascoltare ma parla pure. Un ruolo che mi piace: essere il diario segreto di una donna, con la possibilità di ascoltare e saper pure parlare.
E’ bello sapere che lei si scioglie nelle parole, che lei racconta pezzi della sua vita. Riuscirà a farlo allo stesso modo mentre mi terrà tra le sue braccia dopo aver fatto l’amore tutta la notte?
Riuscirà a cullarmi con la sua voce prima di addormentarci sfiniti l’uno sull’altra? Ricordo le frasi che lei scriveva nelle sue lettere elettroniche. Una volta mi parlò di una sensazione, capelli che sono bagnati e sanno ancora di mare, il sapore del miele che si appiccica addosso. No, aspetta. E’ riduttivo accennare il ricordo. Il ricordo va gustato fino in fondo, non può solo essere accarezzato.
Ti capita mai di provare quelle emozioni forti e violente che arrivano ad
ondate come il mare mosso che si infrange sugli scogli in modo talvolta
inaspettato, fino a bagnarti i vestiti e i pensieri, fino a farti risalire
in moto coi capelli gocciolanti acqua e sale, con la pelle che si copre di
brividi? a me capita, sempre più raramente ma ancora succede. le tue parole
mi scivolano addosso attaccate come miele, gocciolando giù dai capelli, a
bagnare la schiena fino ai glutei, come una carezza lieve e tenace.
Elisa forse aveva ragione. Osare. Amo gli uomini che sanno osare, diceva spesso nelle nostre conversazioni. Due si incontrano, no? Perché lo fanno secondo te? Mi chiedeva. Probabilmente perché si stanno cercando, rispondevo a tono. E quindi? Che facciamo stiamo li a guardarci? A studiarci? Voglio sentire il desiderio dell’uomo, voglio che me lo faccia sentire. A volte le situazioni ti portano a non poter più dire NO. Il conto te lo presentano alla fine. Parli, gli lasci accarezzare la tua mano, si avvicina a te, sfiora le tue labbra, senti il suo desiderio, tangibile, vero, reale…. Che fai ti tiri indietro? Gli dici, no guarda che non sono il tipo? Forse aveva ragione Elisa, con tutta la sua spudoratezza.
Ma ci sono uomini e uomini. E ci sono donne e donne.
Non parlo della disponibilità. Non ne voglio parlare. Parlo dell’erotismo e della sensualità che trasudano, che riescono ad emanare. Possono essere perverse, sottili, intriganti. Ognuna ha il suo ritmo, un po’ come cavalli di razza. Ti devi adeguare al ritmo, devi per forza seguirlo quel ritmo se non vuoi andare fuori tempo. Il ritmo, sentirlo dentro le tue vene, scorrere lento, scorrere veloce, quasi a prosciugarle quelle stesse vene.
Ricordi quando eri un ragazzetto e facevi il DJ. E già allora ti invidiavano il ritmo. Sapevi miscelare e sapevi aspettare il tempo giusto. Ricordi quella volta che hai scommesso con Luca Rulli? Diceva è impossibile mixare “sti du pezzi”. Era bravo Luca, molto, ma non aveva modestia. Se diceva no, non è possibile, non dava un giudizio dettava un dogma. Rimase di sasso quando gli feci sentire il mixage e lo stratagemma che avevo ideato. Un contare in spagnolo durante il disco. A contare ero io, in una sorta di cantilena che ripeteva uno, dos, tres….. al momento del mixage si è accorto a che serviva quella cantilena. Venne da me in cabina per fare i complimenti. Io al posto suo avrei dimostrato entusiasmo ed euforia. Glielo avrei detto: sei un Grande. Ma lui non aveva modestia. Non si scompose, solo un mezzo sorriso per chiedermi come facevo la voce che contava in spagnolo.
La modestia. Forse per questo io continua a fare serate e lui sta seduto in un banco a fare dentiere.
Il ritmo era importante, saperlo scegliere. Ed i dischi credo che siano come le donne. Ognuno il suo ritmo, ognuno le sue battute. Per suonarlo, devi avere la voglia di suonarlo e soprattutto la capacità di farlo. Altrimenti metti un disco e basta.
Ed è come con le donne. Devi saper sentire il loro ritmo, devia vere la voglia di sentirlo il ritmo della loro sensualità, devi avere la capacità di sentirlo il loro erotismo. Non una scopata, non una strascopata. Non fare sesso, ma fare amore. Amore con la A maiuscola, amore che è passione, sensualità ed erotismo.
Tu puoi scopare mille volte una donna e per lei l’ultima non sarà mai come la prima. Rimpiangerà il vigore, la passione che ci hai messo perché scatenate dalla novità. Tu non lo sentiresti, ma lei lo avvertirebbe e lo pretenderebbe sempre.
Ma se lo fai con l’erotismo… ogni volta sarà diversa dalla precedente. Perché è costruire una magia, leggerla intorno a lei donna. Accarezzare un corpo. Che ci vuole. La mano passa leggera…. No è un arte. L’erotismo lo richiede. Non è solo la carezza, è lo sguardo, le parole, il desiderio che passa in quello stretto momento che dura una semplice carezza.
L’orgasmo di un uomo, sai quanto dura? Sette, otto secondi al massimo. L’orgasmo è dato dall’eiaculazione. Se esce è piacere, se non esce non c’è piacere. E quello di una donna? Infinito. Può godere mille volte in una giornata, essere eccitata di continuo, godere e ricominciare, godere e ricominciare, come se fosse stata la prima volta, come se fosse il primo orgasmo della sua vita. Se riesci a sentire questo, se riesci a capire che il piacere non è solo prenderselo, ma soprattutto donarlo, sei ricco. Non sai il piacere che si prova sotto la pelle a vedere il suo viso mentre gode. Osservarlo mentre la bocca si dilata, si spalanca piano nel segno del piacere, mentre la sua lingua bagna piano le labbra, per rendere l’immaginazione più viva. E’ il donare piacere che ti permette di godere con lei. E’ accarezzare il suo piacere che te lo fa vivere.
Anna è diversa. Anna è abituata al comando, a sentirsi rispettata. Non che ne abbia avuto disagio, soggezione o ne sia rimasto condizionato. No, voglio solamente dire che occorre usare testa.. per far perdere la testa.
Anna con cercava la scopata con me. Se avesse voluto c’erano a fare la fila tra i suoi amici. Anna continuava quel gioco sottile e piacevole che avevamo iniziato con l’email. Raccontarsi, ascoltarsi, appassionarsi e spingersi sempre più avanti. L’avrei persa. I sogni aiutano a vivere la realtà. Se lo dice quel puffo di Marzullo e tutti gli danno ragione… si vede che un pizzico di verità ci sarà. Segui il suo ritmo mi dicevo ed intanto mi sforzavo di non prenderla tra le mie braccia e baciarla, sentirla che era stretta a me, che respirava attraverso la mia bocca.
Lei sta partendo per andare a Roma per il suo solito convegno di studi internazionali. Mi chiamerà per farmi sapere quando ci incontreremo al casello dell’autostrada per un breve saluto. Ci siamo sentiti qualche volta dopo quei giorni di Orvieto. Ci siamo detti delle cose belle che forse per molti non hanno valore o che forse ne potrebbero rivestire molto per certuni.
Le ultime righe le dedico a te, Anna. Mi hai detto; mi piacerebbe leggere di noi, di quell’incontro, di ciò che hai pensato. Nero su bianco.
Ti ho risposto in modo immediato. Oggi stesso avrai il racconto.
Spero che le emozioni che ti ho narrato servano a farti capire quanto io ti desideri, quanto ho voglia di te, quanto il piacere di te, donna che conosce l’erotismo, mi possa essere entrato nel sangue.
E’ una fortuna che tu legga lo scritto lontano, aldilà quindi di ogni ipotetica tentazione carnale, o se vogliamo erotica, visto che è l’erotismo che stiamo cercando di carezzare tutti i due insieme.
Forse basterà mandarmi un sms, dopo aver letto con calma il racconto. Può essere corto, breve, ponderato. Un semplice sms.
Io, se fossi donna saprei cosa scrivere a quell’uomo. E tu?

ELEANOR di Eleanor Lejune

Le prime ore del mattino, Eleanor le trascorre nello studio di Jean-David. Di là, il suo sguardo spazia sul giardino di rose che circonda la villa. Quando la brezza estiva passa tra gli alberi, penetrando dalla porta aperta, un sottile, intenso profumo di rose si spande nella stanza. Si sorprende a pensare che la luce degli specchi e dei damaschi le piace più che la luce del sole e delle acque; la poesia di quelle stanze, destinate ad un’ignota vita, la commuove più che la poesia del bosco coi suoi decrepiti ippocastani e le elci malinconiche. Spesso sdraiata per lunghe ore sopra l’immenso divano dorato, la testa reclinata sul guanciale a ricami, i piedi poggiati sulla seta dei cuscini, si smarrisce di sogno in sogno. La brunita levigatezza dei tessuti ha per lei misteriose voluttà, i delicati cammei, che ingombrano i tavolini, inestimabili ed arcane significazioni; ognuno di essi non può che occupare quel posto, ognuno di essi è necessario, come la lama di sole che, dalla porta socchiusa dell’atrio, dilaga nella prima stanza e spinge riflessi nella seconda, riempiendola di una semiluce d’ipogeo. Le sete e le stoffe lamellate d’oro acquistano una smorta vita e tutti i colori incupiti ricordano l’ora indecisa fra tramonto e notte, nella quale soltanto il bianco e le tinte chiarissime mantengono un rilievo. Nella semioscurità, gli specchi vuoti la riproducono all’infinito, spingendola per una fila senza fine di grandi sale verso il salone fatato, al quale le utopie della sua fantasia cercano inutilmente una porta aperta. Ha le gote accese, l'abito le lascia scoperto il seno e le lunghe gambe ed Ella s'incanta, come un poeta, dinanzi all'aurora del suo corpo. Una sottile seduzione, un profumo di giovane donna esala da quella struttura tenera, ma dai contorni scattanti e le finezze audaci. Sorride nella penombra cogli occhi socchiusi, e quella penombra, che la ingrandisce, le rende un sogno per un altro. Indistinte fantasticherie le vagano per la mente. Il ronzio ostinato delle api che attraversa l’erba lunga, non rasa, sembra rendere il silenzio ancora più opprimente.
La casa, alla vigilia di quella nuova esperienza, pare moltiplicare i suoi silenzi. Eleanor pensa, risalendo il corso della propria vita, ai prossimi giorni limpidi d’affascinanti e terribili incertezze. Quel sì che ha pronunciato con voce vibrante, il cuore grosso d’orgoglio, quasi che tutto il mondo fosse ad applaudire i1 suo eroico coraggio di fanciulla, lo ha mille volte meditato nel silenzio della propria camera, di notte, quando Jean-David, dopo averla penetrata a lungo, dorme e le tenebre si diradano sulla soglia di un mondo lontano; e deve riconoscere che le è sfuggito nell’inconscia scelta di un momento supremo. Sta rischiando il suo matrimonio in un gioco sconosciuto, ma tanto più attraente che la posta non le sembra eccessiva. Soffre, comunque, le prime febbri del dubbio in un tumulto d’affetti e di ragionamenti. Tutte le energie della sua volontà e delle proprie passioni lottano intorno a questo sì, che il buon senso scandisce con la sferza della propria sottile ironia, mentre ella segue in se stessa le vicende di quella battaglia, coll'ansia smemorata dello spettatore, che si perde in una troppo acuta riflessione.
E’ sola. Non la disturba nessun eco, nessuna voce la distoglie dai suoi pensieri. E’ sola con se stessa, col proprio proposito, col sentimento angoscioso della sua grandezza e l'affanno compresso di vere, indeterminate, e forse invincibili, difficoltà. Si accorge che, pure fortificandosi nella sua decisione, non riesce a comprendere quale sarà il suo futuro; il cuore le batte sotto le strette della paura, mentre il pensiero corre innanzi a indeterminate visioni. Si esalta ancora, prende la sua resa e la considera come l’estremo atto d’amore che deve a Jean-David. Trema in tutto il suo essere, insicura del prossimo mutamento. Non solo ha paura di ciò che accadrà, ma ha sospetto anche di non esserne all’altezza. Tuttavia si sente matura: un nucleo nutrito di carne fresca, di sangue pulsante, di possenti turgori. Quando si leva dal divano sembra un fiore che drizzi la piccola anima sopra un duplice stelo e offra i profumi della sua corolla ad ignote labbra, perché sulle sue labbra trovino succhi lungamente desiderati.
Con il caldo, l’attesa si fa di secondo in secondo più intollerabile, in un ozio che la lascia senza forze. Cedendo alla debolezza del corpo, le pare di liberarsene e di slanciarsi verso distanze immense, amiche sconfinate delle sue fantasticherie. Il pensiero corre al marito. Certe sue tendenze verso sogni orgiastici, appena riconoscibili all'inizio, nelle ultime settimane si sono manifestate con insistenza ed Eleanor deve confessarsi d’averle incoraggiate, abbastanza attratta, come molte donne, dall’ambiguità della propria natura. Presa dal fascino delle argomentazioni maschili, dall’orgoglio di mostrarsi evoluta e dall’amore che la lega a Jean-David, capace di assorbire la totalità dei suoi sentimenti e dei suoi sensi, ha accondisceso. Si sorprende a pensare che la sua vita di fanciulla, viziata dalla tenerezza del marito, si è sempre svolta nell’insignificanza delle abitudini domestiche, senza alcun alimento sostanzioso per lo spirito e nessuna prova corroborante per il carattere. Di natura è fedele. La sua armonia con Jean-David è così riuscita che non concepisce neppure di potersi interessare ad un altro uomo. Non che manchino i corteggiatori: la sua bellezza poco comune, la sua giovinezza, resa ancora più impudica dall’età del marito, il corpo spesso messo in evidenza dalle vesti corte o trasparenti, attirano su di lei il desiderio di quasi tutti gli uomini che incontra. E’ fiera di ciò, ma l'idea di arrendersi all'uno o all'altro di questi pretendenti le sembra irreale e illogica.
Con angoscia prende coscienza che ben presto aprirà il suo grembo, le sue terga e la sua bocca ad un pene sconosciuto.  Il pensiero la terrorizza e al contempo l’affascina. Ed è vero che lei dovrà accettare, acconsentire nel vero senso della parola, perché nulla le sarà inflitto a forza, nulla a cui non abbia in precedenza acconsentito. Può e potrà sempre rifiutarsi, niente la tiene in schiavitù, fuorché il suo amore
Come prima esperienza Jean-David ha scelto un suo lontano amico. Eleanor non lo conosce e si chiede come, in realtà, sarà quest'uomo? In tutto il tempo in cui Jean-David ha definito il programma dei loro piaceri, non si è preoccupata di richiamare alla mente un viso o un corpo. Si sforza, ora tardivamente, di ricostruirli, di immaginare quale aspetto avrà lo sconosciuto e se entrando in lei e uscendo ed entrando di nuovo, duro, lungo, godrà del fondo della sua vagina stretta, umida, calda, muscolosa, attiva, ma soprattutto se riuscirà a procurarle un piacere senza eguali. Un lento rossore le colora le guance. Sul velo nero formato dai suoi occhi chiusi, Eleanor non riesce subito a disegnare i tratti e l'espressione che cerca di immaginare. Davanti a lei, all’inizio, danzano soltanto facce conosciute. Eleanor le mette insieme, le scompone, le ricompone, sino ad immaginare l’amante perfetto. Il fascino speciale di quel momento è nel suo completo abbandono. Il suo spirito è aperto a quello dello sconosciuto, da cui spera di trarre nuova linfa per la sua anima ed il proprio corpo. Uno specchio le rimanda la luce morente del sole che proietta delle ombre sul suo viso. Curvandosi come dita, le scende giù per una guancia e per il collo. Quella stessa luce fredda le accende gli occhi neri, facendoli sembrare incredibilmente grandi. Il vento agita i suoi lunghi capelli, trasformandoli in un'ala di corvo sempre in movimento. Un rumore di passi sulla pietra, lo scricchiolio di una porta, è come un segnale atteso. Pensa che ha giusto il tempo di fare una doccia e di prepararsi. La toilette le richiede un certo impegno. Non sa come vestirsi. In modo audace o semplice? Deve farsi trovare nuda? Questo pensiero la diverte e, al tempo stesso, la inorridisce. Decide per un tailleur classico, un reggicalze e l’assenza di reggiseno e mutandine. Quest’ultime non per civetteria, ma solo per un fatto estetico. Desidera che la gonna le aderisca alla carne come una seconda pelle. Verso sera, sul sentiero del giardino sente i passi dei due uomini. Eleanor - e il cuore pare sospendere i suoi battiti per l'eccitazione e l'inquietudine - scende svelta ad accogliere i visitatori.
L'incontro con Alain avviene nel modo più educatamente cortese. Una contentezza, una visibile pienezza appare in quelle spalle forti, in tutto quel viso abbronzato dai capelli vigorosamente piantati, nel timbro profondo di una voce che fa risuonare le volte della sala. Mentre scambiano brevi convenevoli con frasi deliberatamente vuote e singolarmente inespressive, Jean-David ammira Eleanor che in un secondo ha popolato la sala e la villa con la sua radiosa e assorbente bellezza. E’ incantevole. Un profilo puro. Una testa incorniciata da splendidi capelli nero notte, sopracciglia sottili, rialzate ad arco, pupille stranamente violacee, profonde, tra le ciglia lunghissime. La bocca perfetta ha labbra ardenti. Il corpo è snello e pur pieno e morbido sotto l’aderenza dell'abito nero. Le gambe escono dalla sottana corta all'altezza del ginocchio, inguainate di seta nera, lucente. Il seno, la cui nudità s’indovina più che intravedere, tende la camicetta. Jean-David sa che, stranamente, ella apprezza più un’ovazione alle sue cosce slanciate che non gli sguardi che gli amici le lanciano alla vista dei suoi seni emisferici. E all’orgoglio delle gambe unisce quello della sua bocca sensuale e calma, dal rilievo imbronciato. Jean-David ama quella bocca, quelle labbra sempre piene di sangue rosato, e non può fare a meno di pensare che qualsiasi idea di proporzione, di linea, cui è solito collegare i comuni concetti di bellezza, deve essere bandito, non appena cerca di definire il fulgore senza pari del viso di Eleanor, che riesce a trasformare la purezza assoluta ed innocente della pelle ed i tratti mobilissimi da ragazzina, da sbarazzina, in una bellezza importante e lontana, molto aristocratica.
Eleanor da perfetta padrona di casa fa accomodare i due uomini nello studio di Jean-David, su un soffice divano. Nel porgere un bicchiere di cognac, per un attimo china leggermente il capo e il dolce profumo dei suoi capelli sale alle narici di Alain; la superba loro bellezza sfiora quasi le sue labbra. Mentre si allontana, l’uomo ha l’impressione di udire il fruscio del tessuto della stretta gonna contro il vello del sesso.
Eleanor va a sedersi su una poltrona che fronteggia i due uomini. Essi possono così intravedere, nella losanga del reggicalze e delle pieghe dell'inguine il rilievo del pube in un gioco cangiante di colori: nero, ocra e rosa. Eleanor non dubita che i due uomini siano rimasti più scossi dal rigonfio delle sue labbra che dalle sue gambe, per quanto pienamente e sensualmente le mostri. Alain loda la sua bellezza affermando che solo alla musica si può chiedere gli elementi di paragone per il suo volto. Solo certe sonorità dai contorni rari e profondamente ambigui, certi fraseggi incantatori, possono cercare di assimilare una bellezza davanti alla quale, fin dal principio, nessuno può rendere giudizio. Per quanti tentativi fa Eleanor di capire i rapporti, da lei fino a quel giorno totalmente insospettati, che possono esistere tra Jean-David e Alain, questi le rimangono indecifrabili. La conversazione prende un andamento via via più rapido e più profondo. Alain le dona con la sua sorprendente cultura, ma anche il suo esteso sapere, una vivacità che stupisce Eleanor. Alle vedute più penetranti e più originali, s'unisce in lui l'assenza, apparente e comunque difficile a sondarsi, dei più diffusi pregiudizi morali e sociali. E tuttavia, ad ogni attimo viene a restituirgli un pudore evidente la sua fantastica bellezza. Lo spettacolo del suo corpo magro, lungo, tutto muscoli, asciutto, bello, più bello del suo viso, conferma a Eleanor la realtà di una prospettiva cui ella non ha mai pensato e alla quale non osa ancora credere. Si sforza di immaginarlo nudo: senza dubbio più magro, più dolce di forme, più trasparente di pelle, più elastico e soffice al tocco, ma anche più esitante nei gesti, lo sguardo meno sicuro, simile insomma agli altri uomini. Adesso invece tutto è più singolare: la figura come intagliata, la purezza del suo colorito e, più ancora, la grande presenza di spirito e l'interesse per gli ospiti, l'implicita sensibilità, la sicurezza rivelata dal suo viso espressivo, lo rendono simile ad un Dio irraggiungibile. Nessun dei suoi gesti sembra superfluo, sbagliato; tutti hanno una loro precisa funzione, una concisione elegante come il suo linguaggio. Sentendosi osservato l’uomo si volta verso di lei e i loro sguardi s’incrociano ripetutamente. Come per allontanare un pensiero irritante, Eleanor scuote la testa. La massa dei suoi capelli fluttua, disegnando un turbine dalla sonorità dei riflessi ramati, nel quale lo sguardo dell’uomo si perde in una precarietà così sublime da ricordare una corda d’arpa vibrante su una nota dolcissima, sempre pronta a spezzarsi. La fissa solo per alcuni attimi, per voltarsi subito dall'altra parte. Toccata, Eleanor si lascia andare in una torpida, sconfinata lontananza, come se non fosse più nella stanza, come se tutto si dissolva in un'oscurità senza contorni sino a quando i rumori della natura ed il conversare dei due uomini si assottigliano a divenire quasi irreali. Abbandona indietro il capo, socchiudendo le ciglia, rilasciando le braccia e le mani, come chi illanguidisce, con la mente persa in fantasticherie. Cerca di immaginare le sensazioni che la lingua di Alain le procurerà quando le loro bocche si avvicineranno, quando i corpi, meravigliando di compenetrarsi, faranno sgorgare dalle loro profondità i deliziosi succhi del piacere, materializzando la gioia della comunione delle anime. La fantasia accende sotto la sua pelle una morbida energia fremente, che s’ irradia verso la parte alta delle sue cosce per risalire lungo il ventre fino al seno, di cui indurisce soavemente i capezzoli. Le pare di non potersi muovere, come nella prima oppressione del sonno, e nonostante ciò un crescendo inarrestabile di vita la soverchia. Nell’eccitazione di tutti i sensi torna a fissarlo, affascinata. E come per incanto si ritrova innamorata di quegli occhi grigi, di quel sorriso smagliante, di quelle fossette da bambino che rilevano la virilità degli altri tratti più di quanto non la contraddicano. Lo sguardo di Eleanor segue la muscolatura atletica che si indovina sotto la giacca di taglio perfetto, le palpebre che, in certi momenti, soffocano bagliori conturbanti, la bocca che dissimula appetiti misteriosi e senza dubbio insaziabili, la linea del collo, sino giù ove la sporgenza del sesso tende leggermente i pantaloni di flanella. Disperatamente desidera che anche lui, a sua volta, la osservi, ma, forse, la sua femminilità è troppo innocente e pura per esigere il suo sguardo. Si dice che non può sedere nella dolce intimità di quel salotto, con le gambe esposte, esercitando il suo fascino e pretendere di non concedersi. Arrossisce, ed avverte che il suo rossore ha un effetto immediato su i due uomini.
E’ un rossore fuggevole che accompagna un pensiero felice ed è bello ritrovarlo negli sguardi incantati di Alain e di Jean-David. È uno sfavillante lampeggiare dello spirito, perché la sua verginità impudica appare nella luce più pura. Ella avverte che sentono la forza di tensione della sua anima, i progressi fatti, e sanno che Ella cadrà nelle loro braccia come colta da impulso naturale. Sono affascinati. Gli occhi della donna, quando si crede inosservata, hanno espressioni scintillanti, divorati da un misterioso fuoco interiore, a stento soffocato, e sulla sua bocca, di mirabile disegno, dai toni opachi, si sparge il fascino delle grazie orientali. E’ umana e divina ad un tempo. Umana per il tepore delle sue linee nervose, per il profilo dei suoi seni, puro e regolare, che si sollevano e si abbassano nel ritmo calmo del suo respiro, per le sue fini proporzioni, per i capelli neri come l’ebano, luminosi nel buio della stanza. Divina per la magia seduttrice che si intuisce contenuta nelle sue fibre sottili, e per le sue pupille, porte celesti di un paradiso lungamente sognato. La gonna, leggermente rialzata, mostra le gambe stupende, inguainate nelle calze fluenti e sottili da sembrare viva pelle. Poterle soltanto toccare, intiepidite dalla contiguità con quella carne cui aderiscono senza la minima increspatura. Ah, se lei vi acconsentisse. Se lo tollerasse. Se lo volesse. Il turgore dei loro sessi è ora evidente. Incantata Eleanor resta, in mezzo a quei discorsi rischiosi e liberi, alta, inaccessibile, pura. E per quanta passione impieghi a svelare, senza imbarazzo, se stessa agli occhi dei due uomini, il suo segreto io si mostra sempre più impenetrabile. Sente che i due uomini sono vigili su di lei, allo scopo di effettuare un reciproco riconoscimento di quell’acuto piacere che la sua presenza provoca.  Percepisce i loro sguardi tenaci verso i meandri del proprio sesso. Deve cominciare a concedersi, ma non sa come fare. Getta uno sguardo a Jean-David in cerca d’aiuto, ma lui si limita a sorridere. Non può decifrare le sue intenzioni. Allora, audacemente, fa in modo che la gonna le arrivi quasi all’inguine. Le gambe così scoperte sembrano più lunghe, scolpite d’ombre e di rilievi, dai giochi di luce che i raggi di luna creano nella stanza. Gli sguardi degli uomini si cercano e si trovano. Riconoscono infine, con un rapimento che non osano confessarsi, con un’occhiata ambigua, il desiderio che li pervade. Le più complicate sottigliezze del gioco sono tentate con suprema noncuranza e indovinate senza sforzo al primo segnale. La segreta alleanza è ora perfetta.
Intanto la luna, lentamente declinando, inonda direttamente la sala con i suoi raggi quasi orizzontali, incoronando i capelli neri di Eleanor di un'aureola argentata, e per lo spazio di un secondo le dà l'onnipotente rilievo che il controluceconferisce ai personaggi di una scena animata non meno che a quelli delle incisioni dell’artista.

EMILIENNE di C. Des Orbes

Al momento di descrivere auesti avvenimenti singolari, mi chiedo ancora se ho chiaramente indicato ciò che si era venuto a creare, tutto ciò che potrebbe attenuare agli occhi del mondo la mia indelicatezza e rendermi meno responsabile. Senza dubbio avevo aperto il cammino. Quelle stesse che io avevo spinto, oggi spingevano me, ciascuna secondo il suo temperamento, verso scopi pericolosi. Un circolo di fuoco, fatto dalla loro passione e della mia, non mi lasciava più che lo stretto sbocco voluto dalle due. Fuggire? Il desiderio mi avrebbe fatto tornare subito. Prolungare il presente stato di cose? Era doloroso, ridicolo, impossibile. Rompere violentemente questo menage di Saffo? Significava prevalere per un attimo per vedere poi la coppia ricostituirsi contro me. Confessare tutto ad Emilienne? Adilée poteva fare una contro-confessione che avrebbe consolidato la sua posizione. Fare credere a Emilienne, contro i miei sentimenti, che Adilée era un'intrigante? Adilée avrebbe subito manifestato il suo disinteresse sbattendo l'uscio, ed io mi sarei ritrovato nauseato vicino ad una donna divenuta fredda (sempre che non finisse per seguire l'altra). In realtà le due donne erano padrone del giuoco e qualsiasi inconveniente io vedessi, qualsiasi minaccia a più o meno lunga scadenza o qualsiasi rottura con la morale della società, dovevo giocare la sola carta che mi era concessa.
Domenica 18 aprile, nel Bois de Boulogne, Emilienne mi disse:
- Ti farò divertire. Adilée ha un piccolo debole per te. Sicuramente, ha bisogno di un sostegno, che non saprei essere io. Lasciando Pierre, ha bisogno di un uomo.
- Per tenere la candela, immagino.
- Oh! lo tollererei da te molto di più di quanto non sopporterei da Pierre!
- Se tu mi vuoi come collaboratore, credo sia leale avvertirti che è un gioco pericoloso.
- Claude, Claude, su di un punto importante per i1 nostro equilibrio, mi piacerebbe essere capita da te! Sai bene quello che hai fatto di me: una donna lacerata tra te, indispensabile, ed una amica che mi è necessaria e pretende essere la sola, o...
- Osa dunque dirlo!
- O di noi due.
- Che cosa mi tocca sentire!
- E' che lei sa essere categorica. Mi disse ieri che non ha più la forza di mentire a Pierre né di mentirmi. D'altra parte lei non ha risorse economiche, è necessario dunque trovare una soluzione.
- Che mi pare piuttosto scabrosa.
- Ascolta, Claude, sono io la più interessata. Ti dò Adilée: non è un bel regalo? Ti dò a lei; è il più gran regalo che potrei farle.
- Ma, facendolo, tu conservi tutti e due.
- E' necessario.
- E se ti dicessi che non so ancora cosa farmene della tua Adilée?
- Avrò tentato almeno l'ultima possibilità di rimanere tua moglie. Soffro molto, Claude, di questa situazione nella quale mi hai messo. Ma infine, di fronte alla donna che hai gettato nelle mie braccia io non posso fare altro che obbedire.
Il lunedì seguente, la mia spiegazione con Adilée non fu meno severa. Quando le elencai il menù della discussione coniugale:
- Io mi chiedo veramente, - disse lei - dove Emilienne abbia potuto pescare un'idea simile. Il fatto è che bisogna uscire da questa situazione. Ma averti chiesto così, che tu divenga il mio amante, mi fa cadere dalle nuvole.
- Ti meravigli un po' troppo di quello che 1e tue parole hanno provocato.
- Andiamo! Tutt'al più ho detto a tua moglie ridendo che sarebbe simpatico vederti arrivare.
Mi guardò di sottecchi. Mi sembrò che l'ultimatum dolciastro di mia moglie si consolidava con un tacito ultimatum della mia amante. M'informai sul successivo appuntamento: fu fissato per giovedì 22 aprile, alle quattro, nello studio di Cerche-Midi. Seppi che Emilienne, contrariamente ad un mio espresso desiderio vi era già stata ammessa. Adilée credette bene farmi intendere che, quel giorno, dopo l'arrivo di mia moglie, avrebbe messo la chiave sotto il tappetino.
La mia prima intenzione fu quella di non accettare quell'invito dispotico ed infatti, alle tre e mezza, quel giovedì, mi trovavo in pantofole a Montmartre, mentre Emilienne, andava a trovare Adilée « da qualche parte a Parigi ». Ma quando misurai tutto ciò che era in giuoco, quando evocai i nudi e gli amplessi di quei due corpi che rischiavo di non rivedere più, quando intravvidi lo spettro della loro fuga e della mia esclusione, mi vestii, saltai su un tassi e con voce secca indicai all'autista il numero di Cherche-Midi. Erano le quattro e venticinque. Salii con passo silenzioso le scale nella penombra. La chiave era sotto il tappeto. M'infilai nell'anticamera e raggiunsi la porta aperta dello studio. Nessuno in vista (il letto era in un angolo a destra, nascosto da un battente) ma, vicino a me, la poltrona e la sedia testimoniavano l'esistenza di una doppia e profonda intimità. Gli indumenti giacevano con l'ordine in cui le due donne si erano svestite, tanto bene che si poteva indovinare chi per prima si era tolto il vestito, chi sulla camicetta dell'altra aveva gettato il reggiseno; le calze, penzolanti dai braccioli della poltrona, sul pavimento, le scarpe sparse ai quattro angoli della camera, e sul comodino un mucchio di braccialetti, collane e pettinini, che rivelavano la stessa fretta. Feci un passo prudente in modo da permettermi di vedere nel grande specchio in mezzo al letto, la stretta del corpo a corpo.
Sui cuscini messi alla meno peggio per l'incalzare di posizioni elaborate, c'era un quadrettato di carni brune e bionde di membra apparentemente allacciate in modo paradossale. Adilée aveva comunque dovuto sentire fresco poiché aveva indossato, senza abbottonare, il reggiseno di Emilienne, quello del primo giorno, che nella sua trasparenza, di tulle nero, lasciava intravedere gli ocri oscuri della spalla algerina. Capelli spettinati senza cura, mani chiare stringenti i fianchi scuri finivano di sconcertare l'artista. La sorpresa del 9 marzo mi era valsa uno spettacolo di grande bellezza: era voluttà pura. Osservai l'immagine movimentata allo specchio prima di guardare direttamente quei due corpi. I serpenti Laocoontini poi si separarono. Vidi nettamente Adilée piantare nella narice di Emilienne la lunga punta bruna di uno dei suoi seni induriti e tesi, punta che mia moglie inghiottì, aspirò golosamente, mentre più in basso la sua mano lasciva preparava il posto. Poi, di colpo, la bocca della bionda scese tutti gli scalini del corpo della bruna e, senza sosta, si precipitò sul triangolo, triangolo che tanto bene da adesso avrebbe rappresentato il nostro. In Adilée era un tappeto ampio e magnifico, che ricopriva il ventre fino a raggiungere l'ombelico e si apriva in un crespato decrescente sull'inguine delle coscie. Già tutta la parte bassa del viso di Emilienne si perdeva come il muso di una capra nelle alte erbe. Al di sopra del suo naso schiacciato sul monticello, non si vedevano più che i suoi occhi focosi e roteanti assorti nel triplice regalo dell'odorato, del gusto e della vista. Adilée con la testa completamente riversa, apriva le mani come se la manna del piacere vi ci dovesse cadere. Era più di quanto la mia esasperazione potesse sopportare. Fu più forte di me e saltai fuori. Adilée mi vide e si tolse dal bacio di Emilienne che, stupefatta a sua volta, seguiva con una specie di religioso fervore l'avanzo del priapo sfrenato.
Non v'era più posto per parole: il fatto è che tutti e tre quando m'intrufolai nel letto, restammo rigorosamente muti. Emilienne non sembrava osservare che il mio viso; Adilée, al contrario, aveva occhi soltanto per la lasciva divinità. Ma i loro seni ugualmente offerti fremevano; tutte e due, mi strizzarono l'occhio per forzare la mia preferenza. Senza volontà di scelta, io sentii che, sotto pena di squalificarmi non potevo non scegliere.
Fu Emilienne che io strinsi con tutte le mie forze nelle mie braccia, ma possedetti Adilée. Mia moglie si mise in bocca tutte le dita della sua mano sinistra e le morse, non senza che un grido rauco uscisse dalla sua gola, mentre Adilée la tirava dai capelli per obbligarla a vedere. Caddi riverso; il peggio era stato consumato.
Sulla mia vittoria, Adilée ebbe ancora il sangue freddo, di baciare le labbra della sua amica, poi s'appoggiò, scossa dai singhiozzi sulla gola gemente, chiedendo perdono e pietà. Fui preso da un sonno sereno su cui sentivo planare l'ombra formidabile del mio crimine. Infine, mi vestii e stancamente uscii, non senza annunziare loro che le aspettavo alle nove per cenare da Lipp. 
Arrivarono ricomposte e stranamente allegre. Emilienne aveva gli occhi ancora rossi, ma scintillanti.
- Ah! Credevo di morire, dichiarò, ma mi sento più a mio agio.
Le feci sedere di fronte a me sulla panca. Adilée prese la mano sinistra di mia moglie e, a costo di mangiare colla sua sola mano sinistra, la tenne stretta fino alla fine del pranzo. Si parlò di tutto e di niente, ma alla frutta, anche del difficile merito di essere anormale.
Dopo il caffè, verso le undici, la Bretone andò a lavarsi le mani, e l'Algerina mi disse:
- Sai potresti bene farla contenta davanti a me, la prossima volta. Al punto in cui ci troviamo...
E così fu, quella notte stessa (perché Adilée venne a prendere lo champagne ai Brouillards). Loro si svestirono di nuovo, ognuna per conto suo, con la sicurezza dell'abitudine. Fu Adilée stessa che spingendomi verso Emilienne, mi additò la femminilità di mia moglie. Quando io obbedii lei si accontentò di chiudere gli occhi.
Io abbracciai le due vite abbandonate e caddi in un lungo torpore. Ci ritrovammo all'alba, d'accordo e tranquilli, come se mai nelle nostre vite avessimo fatto niente di più naturale. Col tè del mattino, che Adilée ci servì sulla « toilette » di Emilienne, un solo bacio, al momento dell'addio, unì le nostre tre bocche.