Hanno condiviso le mie parole

venerdì 29 agosto 2014

DI PIU'


 Se il vento avesse sbattuto le finestre della mia anima con furia, non mi sarei così alterata come nell’ascolto delle tue parole. Un tocco lieve, ma d’effetto come tu solo sai fare. La sensazione che quel pensiero fosse assolutamente corretto e sensato e l’irritazione di togliere una maschera mai supposta. Girando fra i ciotoli che affaticano i passi, tra i baracconi del luna park, dopo aver visitato le attrazioni, scelte con cura ed eleganza, nel velare il timore con  giusto scopo, ecco il labirinto. Mi resta questo… solo questo. Entrarci sapendo che un mondo di specchi deformanti avrebbe straziato il mio corpo, cambiandone linee ed intenzioni, è comunque un sollievo, dopo le emozioni subite. Non più buio e risate improvvise o corse pazze e altezze vertiginose. No, la mia immagine, un po’ diversa con la quale rallegrarsi, ammiccare. Poi l’uscita. Sapendo che non c’è. E tu, invece, restando in disparte, dietro o a fianco, dopo aver ascoltato i discorsi, appiccicaticci di zucchero filato e di liquirizia, tu, con lieve tocco sulla spalla, mi hai indicato una nuova attrazione. Strano… non l’avevo vista… Forse è perché ora, girata a rovescio, alle spalle le musiche mescolate dei baracconi e le luci e le voci ancora addosso, ne intravedo l’aspetto. Ma… io arrivo da lì… vorrei poter dire… eppure non lo faccio. Ascolto molto irritata… non vedi che vengo proprio da là? Mi scappa. No ti sbagli… E io mi arrabbio di più. So bene quello che dico, come sempre. Si. No. …non è vero, hai ragione… Quasi vomito tutto quello che segue. Troppo dolciume ingurgitato. E tu paziente e calmo. Mi prendi per mano, mi porti fino alla soglia, mi indichi il tutto. Il tutto… esiste il tutto. Poi mi lasci guardare, restando vicino, mi piace sentirti lì con me. Mi lasci parlare, ancora escono pezzetti di cose ingurgitate per tenere buono il senso del gusto. Sono molto perplessa. Chi sei? Come ti permetti di restarmi appoggiato sulla spalla e sussurrarmi pensieri che non ti appartengono. Mi volto e sei lì, specchio delle mie brame, ad indicarmi la più bella. No, non ci credo… nel mio reame niente specchi. Tappeti al mio passare, inchini, giullari per il mio divertimento, dolci e caramelle.
Specchi no. Non posso rischiare di testimoniare l’ingrassare quotidiano della mia presunzione.
Con calma mi lasci andare avanti, mi accompagni e avvisi del mio incedere, i riflettori mi seguono. Ogni gesto e parola sono amplificati, e tu ne sorridi. Ti piaccio così, mi porto addosso lo sfarzo del comparire, la sua camminata sicura. Questo lo riconosci in me. Cos’altro? Mi tocchi le labbra, assapori lo zucchero ancora appoggiato, la mia bocca sa sentire il piacere. Mi guardi, e scruti negli occhi, più di quel che faccio con te. Mi indichi la luce che vedi. La conosco, mi solleva e  dà tremori da tanto tempo. Accarezzi il mio corpo, lo svolgi come dono scelto con cura, avviluppato in carta dorata, ma non ancora usato. Un bel fiocco a racchiudere il tutto. Il tutto . Ancora questo pensiero. Tu devi essere come sei, e di più. Ma io ho tutto. Un piccolo schiaffo sul culetto, esposto allo scherno. Si, lo conosco. Sei sicura? Si. Un secondo più forte. Ma chi sei, ma come ti permetti? Io ho già il mio tutto, ordinato catalogato, quasi perfetto nella sua quotidiana follia. Un terzo, più forte, anche questo conosco, qui posso ritornare bambina, quasi quasi piangere, ma non ancora. Un quarto… toglie il fiato. Lo sento diverso. Mi strappi ai dolciumi e ai capricci, mi ribello. Mai fatto, mai, pregustando il conflitto. Ma cosa mi prende? Ti sfido… si mi piace, e nella sfida riprendo di me tutto ciò che sono. Il quinto… fa male. Un male diverso, un male che cerco da tempo. L’onda che avvolge e lascia bagnati. No. Non puoi, e io posso rivoltarmi. La mia forza messa alla prova. Il sesto. Lo assaporo come il primo passaggio di aria nel corpo di un nascente. Dolore puro, ed estasi. Mi fermo, attendo. Sai gestire l’attesa, la tua, ed io la mia. Mi contorco e sfuggo. Mi riprendi e mi costringi. Il settimo. E forte, mi attraversa. La carne brucia. Ma sei pazzo?, Io sono pazza. Mi piace. Non è possibile, io detesto il dolore, dopo tutti i discorsi fatti davanti ad un pubblico ossequioso. La mente è importante, la fantasia possibile, non tutto realizzabile. L’ottavo. Ti odio, ti detesto, mi stai picchiando senza ragione. No, eccola, qui nei brividi e nell’attesa. Mi piace, per questo lo fai. Il nono. Mi resteranno i segni….non voglio i segni, io sono bella e come tale devo restare. Sapete io poso, mi ritraggono nella mia magnificenza. Delirio e laghi montani lasciati sulle tue ginocchia. Il decimo. Farai la brava?…Si, si, si, si, si, si…
Farò la brava, e mi volti, mi premi e mi usi. Troia… sei proprio una troia…
Ti piace, mi piace. Mi spingi e togli il fiato, la gola si infuria. Ora vieni qui, calma, è tutto finito. Qui dove? Qui dove è la tempesta. I lampi e le scariche mi percorrono ancora…Tu li conosci. Io anche. Mi hai nutrito, adorato ed amato. Lo so. E tu sai il perché. Vuoi la mia furia, il mio amore, la mia risata di scherno, le unghie piantate addosso, vuoi me. Vuoi che io ti segni, con me stessa, sei mio, tutto mio mi dici. Ti amo. Lo so. Grazia, ma dove sei? La dolcissima , tenerissima Grazia, il calore e il conforto, la luce, la creazione di stimoli, la provocazione, il potere su ogni sguardo, il cibo per ogni fame. Grazia la troia, che si compiace di porgersi sempre di più, del non potersi sedere, dello sguardo puntato negli occhi mentre usa le mani. Quelle belle mani che sanno farsi sentire. Che ha voglia di calpestarti, di lacerare il silenzio con ogni rumore. Che ha voglia per se.
Hai tirato il lembo del fiocco, più luce e più sfarzo. Mi gira la testa… sono confusa…
Grazia….? Si, si, si, si, si, si, si, si,si… Domani, nel toccare la sedia, ancora mi sentirò di fuoco, e di acqua. E tu nel riposare la sera, sentirai le mie unghie, nei segni appoggiati a dormire. I miei segni su di te. La luce? La luce li attraversa nel buio. Lo farò, molto, tutto, di più.

HO SPENTO LA LUCE


Ho spento la luce. Cercandola a tastoni dove so.
La testa sul cuscino, il corpo raccolto su un fianco, non contratto. Una mano sotto al volto, come a sostenerlo, l’altra che si muove. Sto ascoltando. Le dita scorrono sulla benda, la toccano delicatamente nella prima sensazione. Sto cercando a strati. Il senso del tatto, del tessuto sulla pelle, il confine esplorato dell’inizio e della fine. La pelle è calda, morbida e pulsante, la fascia avvolge e crea differenza, quasi impercettibile, come il camminare su un tappeto di velluto rosso…Non so perché ho in mente il rosso, io indosso il nero; nero notte, nero buio, nero non vedere. Ma il rosso è il percorso privilegiato. Le dita si spostano sull’arco sopraccigliare, lo seguono, passano allo zigomo, lo modellano, ritornano al globo dell’occhio, lo circondano. Sto cercando a strati. In mente ho le statue di marmo, la voglia di toccare che attira gli occhi di disapprovazione nei musei, il sorriso da bambina del bisogno di quel gesto. In mente ho la creta, il tocco umido a modellarne fattezze, la voce che spiega quanto è importante capirne il punto di  calore, prima del quale la materia è indomabile, dopo il quale “impazzisce”, al centro del quale, è docile e plasmabile. La mano si appoggia sul volto, gemella dell’altra, come a contenerlo. E arrivano gli odori; più ampi, più intensi. Sto cercando a strati. Ho in mente ora che così bendata, tutto sarà da chiedere; posso fumare?… E aspettare i dettagli.
O muovere le mani a tastoni cercando. Posso muovermi?...E dove? Due pensieri ora: ho insegnato a lungo ad un ragazzo cieco ad usare la sua nuova vista: A creare nuova memoria dove i vecchi dati scomparivano piano piano. Il suo volto e il suo corpo devastato da una frattura netta, tra il vivere di prima e l’adesso. Un corpo ed un viso immortalati in immagini di angelo, alte come una parete, appese ad un muro, da non vedere mai. Una vita cambiata da una moto. Amava riprodurre volti in creta, teste spinte indietro, occhi, bocche aperte in urli, o esigenza di respirare. Insieme prendevamo possesso della materia, insieme ascoltavamo la mia voce e la sua, insieme cercavamo la luce nella sua stanza chiusa. Una lunga esplorazione degli oggetti, delle cose intorno a lui, del mio viso; e poi la dichiarazione del… sto vedendo questo. L’ho lasciato bruscamente prima di diventare strumento, spatola , fil di ferro…
E la mia nonna, cieca per tutta la mia conoscenza di lei. Una bambina a cui insegnare mani, che toccano, assaggiano, sentono. I suoi occhi azzurri sempre attenti, il suo muoversi ai suoni alla perfezione, il suo portamento elegante e nobile, la forza della vita. Cucinava con le mani, comperava con le mani, si muoveva con le mani. Ascoltava con le mani, parlava con le mani. No…ora ce n’è un terzo, pensiero. Le mie mani ora. La rabbia di un momento in quel piccolo arco immobile che non risponde più; il dito frantumato e leso, ossa e legamenti, in un gesto di violenza sorda e senza fiato. Le mie mani erano belle. Le mie mani sono belle. Ma quando stringo per contenere resta una piccola luce in fondo al pugno; scapperebbe una  mosca prigioniera, l’acqua che mi illudo di conservare lì. Il volto fra le mani, appoggiato sul cuscino, la benda sugli occhi. E’ notte e gli occhi sono chiusi. Li riapro per vedere, il nulla nero. Stanno aperti gli occhi bendati? Stanno chiusi come in un lungo sonno?.La bella addormentata nel bosco, per cento anni a venire. Le ciglia bisticciano con il tessuto, cerco a strati. Spalanco i miei occhi grandi, occhi d’oro nel nero. Il percorso privilegiato è rosso. Mascherina, quella per dormire; domani la cerco, per capire bene l’anatomia del buio. Questa benda sarà perfetta, immagino le mie mani a rifinirla. Lo sarà? Ho paura. Cerco a strati la paura.

COLAZIONE DA TIFFANY

Una sera, più che sera notte, in una di quelle notti nelle quali mille diavoli percorrono fibre e pensieri, vestita di pelle e spacchi e intenzioni, andavo nel locale cubano che avevo cominciato a frequentare nei miei giri di perlustrazione della città. All'ingresso, sulla soglia una sosta per osservare i presenti, non so se per essere osservata, forse in un’istintiva azione da Predatrice...più tardi descritta così: sei entrata, ti sei fermata a gambe larghe, hai guardato tutti, poi sei andata nel tuo ufficio. L'ufficio così definito era lo sgabello del bar, dove avevo scelto di sedermi, nel naturale intento di far sporgere più tenacemente la gamba dal suo emergere nella poca luce. Un saluto all'amico barista che lui sottolineava con un baciamano, qualcosa da bere sorseggiato con calma. Avevo notato fra gli altri una specie di vichingo biondo, il contrario del mio tipo di uomo, l'ideale per le mie sfide agli opposti. Lui, aveva certamente notato me, ed era venuto, dopo poco a sedersi sullo sgabello a fianco, con un banalissimo "è libero qui?"Sì certo era libero, non essendoci nessuno seduto sopra. Quanto è ampia l'umana percezione dell'uso della parola. Non reagivo a nessun’altra domanda e poco dopo il Personaggio tornava al suo posto, raggiungendo i suoi amici, due. L'offerta successiva del bere, rifiutata da me con un "sto già bevendo, grazie", era seguita da  un invito a sedermi con lui e amici. Accettavo, mi ero stufata di fare la ragazza sullo sgabello. La conversazione era davvero sublime, andava dal concetto di noia del sesso e della normalità, all'esigenza di cerebralità, espressa in  modo sfacciatamente provocatorio e quasi ridicolo, e io non pronunciavo sillaba; ero evidentemente annoiata. Era prossima l'ora della chiusura, sottolineata da un "vedo che non riesco a prenderti mentalmente" cui non rispondevo.
I preparativi del personale per chiudere, forse mi scuotevano un po' dal torpore, o forse era solo tecnica raffinata di Caccia, e come se, con grande eleganza e senso della notte io non fossi lì, aprivo per la prima volta la bocca per dire " io non vado a casa".
In tre secondi una macchina rossa sportiva di cui non so assolutamente il tipo, non amo differenziare le automobili se non per il loro colore, era davanti all'ingresso del locale, ed io mi ci sedevo mollemente. Nessuna esitazione del Personaggio sul percorso e la destinazione, gli uomini spesso nella loro foga di sfoggiar piumaggi, diventano romanticamente tutti uguali. Da Predatrice a Preda, seguivo sorridendo la visione della collina che si avvicinava.
Un parco aperto anche di notte, in alto sopra Torino, una panchina sulla quale proseguire lo steso tipo di conversazione. Nulla da fare, tema sbiadito e inconsistente, stesso disco rotto. Il Personaggio, in difficoltà, ricorreva allora ad altri modi, più consueti, che sgorgavano in un "mi fai vedere un centimetro più su le gambe?" "Oh! No", rispondevo io con un fare voluttuoso e delicato. "Ma ti farò vedere una cosa diversa". E sollevando il già bel alto punto di congiunzione dei lembi della pelle aperti sulla coscia e abbassando la linea della mutandina, mostravo il mio tattoo, appena sopra l'inguine destro. Un punto interrogativo disegnato sul volto, come il mio cane quando non sa che dire o fare, sottolineavano il non comprendere. Cerebralità, cosparse le piume della coda a ruota, con poco accorgimento. "Slave" "Schiava". Ed ecco il mio momento. Adoro insinuare in un mondo atono e informe, un concetto così sfuggente. Il Personaggio prendeva luce, il cervellino rumoreggiava di meccanismi usati poco. Raccontavo come una favola, di cose mai sentite, di visioni, di dialoghi, di figurine e album, di posti e parole scritte, di concetti e percezioni. Sembrava che io stendessi i panni miei alla luna della notte ad asciugare, di fronte a chi perplesso non aveva mai lavato cencio.
"Possiamo provare?" Il Personaggio mi porgeva il telefono con intenzione di simulare una conversazione scritta o verbale sul tema. La sua Preda, aveva superato il suo immaginario.
"No, non è proprio il caso" rispondevo io, la Preda accucciata in un angolo per niente angusto.
Le sinapsi, percorse da impulsi frenetici, erano grumi di lucciole nel prossimo mattino: il Personaggio stava diventando un essere pensante, a modo suo certo...ognuno reagisce a modo suo.
"Ti propongo una cosa. Sai recitare?"
"Ci posso provare" Sinceramente fievole la voce usciva maliziosa. La Preda lustrava il suo lignaggio.
" Tra tre ore, ci troviamo nel mio ufficio; tu ti presenti per un offerta di lavoro, io ti giudicherò. Non ci siamo mai visti prima ne parlati. Ci stai?"
"Si" Un sì fuori, una sonora risata dentro: si scende sul terreno di Sfida
Presi gli accordi per luogo ed ora, scanditi gli abbigliamenti doverosi, il Personaggio mi riportava alla macchina, giù nella città.
Erano le sette del mattino, essenziale una doccia lungamente rinfrescante. Poi...la scelta dell'abito era già stata fatta  nel percorso del ritorno. Veloce è la mente del cavallo lanciato nella corsa, ogni filo d'erba calpestato con perizia, le sorprese, selvaggiamente considerate, l'importante è correre. Quindi, intimo nero, reggicalze e balza delle calze a quadretti bianchi e neri, sotto un vestitino bianco e nero e il suo giacchino bianco e nero. Una partita a scacchi. Tacchi a spillo.
Colazione da Tiffany. La calma in machina, seguire le indicazioni, posteggiare, entrare. Il film inizia, il ciack sentito in lontananza, Brividi da panico da palcoscenico, un caldo bestiale ancora estivo nelle calze di seta pura.
"Buongiorno" Il Personaggio, giacca e cravatta e colorito rosso, tradiva tremito ed emozione. Io, la Preda avvolta dal mantello di cappuccetto rosso, entravo in quell’ufficio. Seduta, posata la borsa a fianco, accavallate le gambe, comoda e tranquilla, anche se non del tutto, le calze rette dal bianco e nero molto in evidenza, complici le lunghezze poco accorte, attendevo il Giudizio. Il Personaggio, si dimenava sulla sua sedia, fingendo nella finzione così poco finta, di usare un pc portatile. La sua emozione era tangibile, il suo ruolo precario. Adoro  lo scorrere dei pesi su fili di bilanciere, fili di seta e palline di piombo a soffocare respiri.
"Lei sa di cosa si tratta?" "No, non so nulla"
"Noi cerchiamo una persona che si occupi di rendere piacevoli le cene ad alcuni nostri clienti, a cui teniamo in particolar modo, con la sua maestria, capacità, e, nel caso, di andare anche oltre"
Io la Giudicata, mi sentivo già meglio, il ruolo era perfetto per me. Le calze si accavallavano alle calze, in un moto lento ed elegante. Difficile star seduta comodamente senza scoprire vezzi, delizioso farlo apposta. Una Preda con molti vantaggi, lui, il Personaggio, sudava e sudava, muoveva le mani a vuoto, cercando di restare ben fermo in un gioco di cui era il creatore.
"Lei ha esperienza?" "No nessuna" Avevo pensato, perchè non essere sincera nella finzione?
"Cosa le fa pensare di poter essere all'altezza? Di poter maneggiare facilmente gli uomini?".  Un attimo di silenzio, come quella volta a scuola, quando un velo bianco si era posato su tutto il mio sapere, poi era uscita la voce, sicura e discorsiva.
"Le chiederò una cosa" stavo dicendo. "Lei come si sente?" La mia domanda. Un attimo di rossore in più, poi un violaceo intenso sul volto del Personaggio. "Mi sento nervoso" anche lui era sincero.
"Mi sento agitato" le parole sussurravano parole.
"Mi sento eccitato" io sorridevo ampiamente...
"Bene" diceva il Personaggio alla Giudicata "Ritengo che lei possa fare al caso nostro, naturalmente mi riservo di avvisarla in merito nei prossimi giorni". E poi il cambio di scena nella scena: ritorna la visione del terreno su cui è imbandita la Sfida.
"Ora, passiamo ad un tono più confidenziale, che interessa me" diceva il Personaggio, sfoderando il suo Maschio roteare.
Ero molto più rilassata, questa parte era ancora più perfetta. La Giudicata era stata promossa, passavamo alla Donna da possedere.
"Tu", il tu confidenziale rimarcava la Caccia in Corso, "mi piaci personalmente, e voglio vedere come sei fatta. Spogliati". Un attimo di silenzio e pausa, non per pensare, da Preda, ma per fare respirare gli odori giusti.
"Non sono venuta qua per un posto da spogliarellista", mi alzavo lentamente, tolto il giacchino e poggiato con noncuranza a lato, mi avvicinavo a lui. Oltrepassato il limite di ruolo, la scrivania, mi fermavo a fianco al Personaggio, mi voltavo, spalle al suo volgersi a me, e....attendevo.
Quanto ci mette una mente sveglia a svegliarsi davvero? Qualche attimo imbarazzante. Aveva capito. Le sue mani alla lunga cerniera del mio vestito, lo scorrere fino in fondo. Le mie mani a scostarlo dalle spalle e lasciarlo scivolare a terra. Un grido soffocato. Troppo grande è la visione del bello scaraventato in faccia. Avevo tutto il tempo di sollevare lentamente i piedi, uscire dal mucchietto di vestito a terra, andare con calma estrema al tavolo e davanti a lui, sedermici sopra a gambe larghe, scostare le mutandine prenderlo per la criniera bionda e portare con forza il suo viso tra le mie cosce. Il Personaggio, poco accorto della perdita di penne incalzante, dei movimenti ipnotici di una Preda sinceramente divertita, di un terreno di Caccia troppo stretto ormai, di una scacchiera su cui una partita era chiusa da mosse folli su mosse poco scaltre... soccombeva in ritmiche precoci liquidità, dopo tre secondi di immersione. Le calze di seta, non hanno l'elasticità del nylon, non assecondano ritmi e movimento, si acconciano di mille piegoline d'ombra, impulsi neri nella luce del mattino.
"Io non telefono mai a nessuna dopo" ultimi soffi di vita del Personaggio.
"Nemmeno io" mai supposti aliti di Preda, Giudicata, Predatrice di rabbie e di notti, promossa Donna da se stessa su una scacchiera senza gioco.
Il telefono squillava innumerevoli volte…

IL COMPLEANNO

Questa sera mi ha invitato a cena, ha detto che si sarebbe liberato da un impegno per festeggiare insieme il mio compleanno e ne sono felice. Mentre finisco di prepararmi il telefono suona e lui e mi dice che ci sarà anche qualcun altro con noi, che non ha potuto avvertirmi prima, un imprevisto al quale non è stato possibile sottrarsi. Saremo in tre alla cena ma era l'unico modo possibile per vedersi. Bisbiglio un " va bene " e lo saluto un po’ dispiaciuta. Avrei voluto trascorrere la serata con lui, cosa c'entra un estraneo e chi è? Venti minuti dopo sono in macchina al suo fianco, chiedo spiegazioni ma glissa velocemente scusandosi e dicendomi che si farà perdonare. Arriviamo sul  posto, un ristorante fuori città ricavato da un antico casale, l’ ambiente semplice e caldo, l'atmosfera  accogliente e addolcita dalla musica e la sua presenza, contribuiscono subito a farmi rilassare. " Vieni, ti presentò Daniel " ci avviciniamo al tavolo dove un uomo  ci attende , prontamente si alza e con un ampio sorriso ci stringe la mano e si presenta. " Però... niente male" penso... poi subito mi siedo vicino al mio uomo. La conversazione è piacevole e  poco dopo sembriamo vecchi amici. Un vino soave mi inebria e accarezza i sensi, ma non meno della piacevole maestria con la quale questi due delizie mi intrattengono. Il tempo scorre veloce la cena è finita già da un po' ma nessuno dei tre sembra voler decidersi ad alzarsi. Il primo a  farlo è Daniel, che ringraziando per la serata si accomiata baciandomi sulla guancia e mentre lo fa mi stringe a sé avvolgendomi con il suo profumo. Gli sorrido e mi stringo a Enea. Rimaniamo soli, mi  sfiora le labbra in un bacio e  fa un cenno al cameriere che arriva porgendogli una chiave. " Dormiremo qui stanotte ho prenotato una stanza al piano superiore "lo guardo stupita, non avrei potuto chiedere di meglio. Mi alzo e lo seguo sorridente. Pochi scalini e il mondo si richiude dietro di noi. Sento le sue braccia avvolgermi da dietro, provo a voltarmi  ma me lo impedisce. " Non ti muovere, rimani così " e mi dice di lasciarlo fare. Sento qualcosa scivolarmi sugli  occhi è una benda. " No " ma prima che le mie mani la raggiungano è già allacciata. Mi stringe i polsi tra le sue mani e mi bacia il collo " Stai buona rimani così, lasciami fare " non fiato. Sono confusa non vorrei, ma vorrei, odio le situazioni in cui non posso controllare tutto e quello che ora  sento stringere saldamente ai miei polsi uniti dietro alla schiena, è la certezza del mio divenire inerme, prima di tutto psicologicamente. I battiti del mio cuore accellerano vertiginosamente sento le guance avvamparmi per quel misto di paura ed eccitazione che mi invade e per il calore che sento salirmi dal basso ventre
Silenzio... solo i suoi passi nella stanza. Sento la sua presenza intorno a me. Lo sento avvicinarsi ed allontanarsi. Mi sfiora con la sua lingua mi  succhia le labbra e si ritrae prima che io possa rispondere a quel bacio. Vi sembrano ore  che sono ferma in questa posizione. " Ok... adesso basta, slegami e prendimi ‘’continuo a pensare, ma non dico nulla. Sono come ipnotizzata da lui, da questa situazione in cui per la prima volta non sono " costretta " a pensare, ad agire a muovermi o volere. Ancora passi.. a rompere questo silenzio assordante, si avvicina, e sento le sue  mani addosso, finalmente... Mi accarezza il viso, mi bacia di morde,mi stringe mentre le sue mani danzano febbrili sul mio corpo facendosi strada tra i vestiti leggeri e  insinuandosi nella mia carne. Comincio a gemere sono eccitata, vorrei solo poterlo toccare, essere libera di ricambiare le sue attenzioni ma continuo a non dire nulla. Nulla. Mi slaccia la camicia, mi accarezza i seni, il bordo del reggiseno, lo abbassa,prende i capezzoli  sembrano esplodere, tra le labbra e  comincia a succhiarli. Sento i miei umori aumentare "slegami voglio toccarti "ma suo secco rifiuto non tarda ad arrivare " no " all'improvviso mi alza la gonna e mi accarezza. Gemo... lo voglio. Prende il mio clitoride tra le dita, lo sfiora, il stringe. Lo voglio... sento la sua lingua entrare a farsi strada tra le  labbra umide, si nutre della mia  carne voracemente , rincorrendo quegli   umori che ora colano tra le mie gambe. No " gli dico "ti prego slegami'' lui continua poi quando sto per cedere al piacere, di colpo si ferma e si scosta da me. " Non si muovere torno subito " non ti muovere... dove potrei andare mezza nuda, legata e bendata? Passo solo qualche minuto ma l'attesa sembra infinita. Lo sento avvicinarsi. Passi intorno a me. " Perché te ne sei andato, adesso basta, ’slegami' gli dico indispettita. Un bacio, lungo, la lingua come risucchiata in un vortice, le labbra morse, sono stordita, ma... questo non è il suo profumo. Svolto il viso come per scorgerlo, lo chiamo per nome, silenzio... ho paura, ora ho paura. Che strano scherzo é questo? " Enea... dove sei?'' " Sono qui, sono qui '' mi avvolge le sue braccia e mi stringe in un abbraccio , il calore del suo corpo e di quel gesto rassicurante frena la paura e avanza l'eccitazione. Mi rilasso, adoro stare tra il suo abbraccio, indietreggio un pò per premere il corpo ancora di più contro il suo ma in quel stesso momento, sento una mano raggiungermi tra le gambe,le sue braccia ancora strette intorno a me. Non siamo soli. " Chi c'è qui?, Shhh... mi zittisce,  sto per dire ancora qualcosa ma prontamente vi fa tacere, mano sulla bocca e mille dolci ,rassicuranti, determinate, eccitanti parole mi avvolgono insieme a   questa crescente voglia di follia  in contrasto con la razionalità. Mi lascio fare,ancora una lingua a leccarmi, due mani a stringermi i capezzoli,carezze, morsi,il mio corpo a dividere i loro,i miei solchi riempiti entrambi dalle loro lingue,perdo l'ultimo barlume d’emozioni contrastanti per fondermi nel piacere,ma all'improvviso si staccano da me. Mi sento sospingere dolcemente in avanti.''Vieni'' mi dice Enea e mi aiuta a sedermi a cavalcioni su Daniel,Gemo.., lo chiamo..''Enea...' 'Sono qui' e mentre lo dice lo sento affondarmi profondamente nelle viscere, sento la mia carne cedere e il cervello esplodermi. Riempita.. mi stanno scopando allo stesso ritmo, non capisco più nulla e suoni e parole prive di senso escono dalla mia bocca .Mi sento stringere ai fianchi, spingere, tirare,accarezzare, strizzare, leccare, sento i colpi alternarsi lenti e veloci per poi riarmonizzarsi in un ritmo moderato e costante. Ad ogni colpo sento come trafiggere il sottile lembo di pelle che divide questi due uomini dentro di me.Godo..tremendamente ,il mio corpo freme, trema, geme, gode. Mi sciolgono la benda,mi fanno alzare,vedo Daniel alzarsi in piedi,  attirarmi a sé stringendo il suo sesso tra le mani, mi sento sospingere per inginocchiarmi e lo accolgo nella mia bocca. Una mano sulla mia schiena , Enea riconquista il suo posto e ricomincia a muoversi, e nuovamente non capisco più nulla,guardo gli occhi di Daniel iniettati di piacere e sento Enea alternarsi tra i miei solchi, mi sta facendo impazzire. Pochi minuti e sento il sesso di Daniel contrarsi , mi ritraggo, la sua mano mi sostiene il mento, la mia bocca è aperta, la mia lingua lo cerca , pronta a raccogliere il suo piacere. Eccolo, il suo getto caldo mi riempie la bocca,mi accarezza le labbra e mi scivola in gola. Geme,la mia mente si infiamma, non c'è nulla di più eccitante che sentir godere un uomo. Enea accelera i suoi movimenti,mi scopa sempre più profondamente e mentre lo sento esplodere in me anche il mio piacere si confonde con il suo. Un altro lungo, intenso, devastante orgasmo che mi lascia senza forze. Godo per ciò che desideravo senza sapere, godo dei miei limiti cancellati,godo  della nostra complicità, godo di lui e per lui ,godo di questo meraviglioso regalo di compleanno che ancora una volta Lui mi ha donato.

UN UOMO (dicembre 2004)

Un Uomo che mostra sensibilità sarà un Master sensibile a te
Un Uomo che mostra umiltà sarà un Master che ti porterà rispetto
Un Uomo che non ha paura di piangere sara’ un master che capisce le tue lacrime
Un Uomo quieto sarà un Master che sentirà ogni tuo piccolo sussurro
Un Uomo che conosce la paura sara’ un Master che non ti lascera’ sola ad affrontare le tue paure
Un Uomo che sa ascoltare un bambino sara’ un Master che cerchera’ sempre di capire le tue parole
Un Uomo che si impone sara’ un Master che non ti schiaccera’ sotto il Suo peso
Un Uomo che si controlla facilmente sara’ un Master con l’abilita’ di controllarti allo stesso modo
Un Uomo che non deve provare il Suo punto sara’ un Master con molti punti importanti da dividere
Un Uomo che non fa domande sara’ un Master che fara’ tesoro di ogni cosa che gli darai
Un Uomo che non ti corre dietro sara’ un Master da cui mai dovrai scappare
Un Uomo che e’ calmo sara’ un Master che puo’ calmare I tuoi uragani
Un Uomo che ha camminato il sentiero della Pace sara’ un Master capace di guidarti lungo quell strada
Un Uomo che non urla sara’ un Master che non ti assordera’ mai
Un Uomo con una mente aperta sara’ un Master che non smettera’ mai d’imparare
Un Uomo che non smette d’imparare sara’ un Master che non smettera’ mai di crescere
Un Uomo che cerca sempre di essere al meglio per te sara’ l’unico Uomo davvero degno di essere chiamato Master

LE CAVIGLIERE

Le cavigliere s’intravedono appena, il vestito lungo fino ai piedi le lascia appena intuire ad ogni passo, a piedi nudi attraverso la piazzetta stretta dalle tue braccia.
Il locale d’angolo brilla alle luci delle torce, il brusio della gente aumenta mentre ci avviciniamo, so che osservi le mie reazioni, ho accettato la tua sfida e sono divertita.
Dentro, al bancone, seduta sullo sgabello, lascio che ordini anche per me mentre accavallo le gambe guardandomi in giro.
Il piede nudo dondola piano al suono della musica. Le cavigliere sono pesanti, d’argento brunito, massicce ed ora le indosso, agli occhi di tutti, ma solo per te.
La tua mano mi avvicina il bicchiere alla bocca, ne assaggio un sorso, ti sorrido, scendo dallo sgabello, ti bacio e lascio colare il liquido tra le tue labbra e senza guardarti inizio a ballare, lì, vicino, quasi sfiorandoti col vestito. Sei divertito gli occhi ti brillano. So che stai per chiedermelo. Un cenno impercettibile e quasi senza muovere le labbra lo sussurri…
Le mani sui fianchi e aggancio l’elastico, muovendomi li faccio scendere piano, giù, sempre più giù, fino a che in un soffio gli slip cadono ai miei piedi.
Ti chini, mi sollevi prima un piede e poi l’altro, li chiudi nella mano e li fai scivolare nella tasca della giacca.
Mi prendi una mano e andiamo a sedere.
Con le dita mi sfiori le gambe, sento la stoffa salire e il tuo tocco sulla pelle, siamo vicinissimi, sento il profumo della tua pelle e la mano che sale ancora. Bevo, quasi senza respirare. Continui a carezzarmi, come fossimo soli, è quasi buio, solo le candele illuminano la stanza.
E bevo ancora e chiudo gli occhi con un sospiro e tu smetti e mi passi le dita sulle labbra e sorridi e io ti guardo e improvvisamente mi alzo, ti prendo per mano e ti porto fuori.
C’è un portone, accanto, aperto, entro quasi tirandoti.
Mi appoggio al muro, le tue mani sul viso, i tuoi sussurri nelle orecchie, il tuo corpo contro il mio, ti aggancio con una gamba per averti ancora più addosso, mi sollevi i capelli baciandomi il collo, la lampadina dell’androne spande la sua luce fioca su di noi.
Mi fai girare, le mani appoggiate in alto, la tua mano apre la cerniera del vestito, mi accarezzi la schiena e fai scorrere la lingua, sento le gambe tremare, mi sollevi il vestito, le mani sui fianchi mi attirano a te, sono chinata in avanti e tu ti appoggi a me, il viso nei capelli, il tuo respiro caldo.
Ti rialzi e ti allontani, sento che mi guardi per attimi che sembrano infiniti e poi sei ancora vicino, le tue mani mi guidano verso di te, ti appoggi appena e ti sento entrare in me, piano, piano, sempre di più e sei dentro, in fondo, i respiri profondi e non ci muoviamo quasi, così come piace a me.

TORMENTO E DESIDERIO

Scendiamo dalle auto quando ci vediamo, io non mi muovo, ti aspetto appoggiata alla mia, tu ti avvicini lentamente, non parliamo, non ci salutiamo, ci fissiamo negli occhi con insistenza, quasi con paura di distrarsi...Mi sei addosso, mi passi un braccio attorno alla vita e mi tiri verso di te stringendo il mio bacino contro il tuo, fermi per un istante, ci muoviamo appena per godere dell'aderenza e del calore dei corpi, sentiamo il nostro desiderio, la voglia di appiccicarsi, aderirsi, penetrarsi. Sempre fissandomi e stringendomi avvicini la tua bocca alla mia...solo pochi leggerissimi baci con la punta delle labbra tutto attorno alle mie, da un angolo all'altro, poi d'un tratto spalanchi le tue fauci e forzi le mie con una lingua prepotente che cerca avida la mia, cerca salive da mischiare, cerca calore intimo, cerca gli angoli più remoti per frugarti come se mi stessi scopando, con lentezza, con passione, per godermi. Poi mi lasci con la bocca ancora socchiusa, ansimante, mi pieghi la testa di lato e ti metti in bocca un intero orecchio, riempiendolo di un intenso calore, di un senso di lieve umido, guizzandoci fin dentro con la punta della lingua, poi scendi a succhiare il lobo e subito con la lingua a lasciare un velo umido lungo il tendine del collo, sentendo le vene che pulsano, il mio respiro corto, fino a mordere delicatamente la spalla, riempiendomi di brividi che mi vanno dritti nel cervello come scariche elettriche......poi di nuovo in bocca, con la lingua ad assaporare il morbido caldo umido della mia, a violarmi a tratti con violenza appassionata, a tratti più lento, profondo, intenso. Intanto cerchi le mie natiche da prendere a mani aperte facendo aderire sempre più il mio bacino al tuo, facendomi sentire il tuo sesso che si indurisce, sali sulla schiena quasi graffiandola e poi stringendo il mio seno al tuo petto fino a togliermi il fiato, quasi alzandomi da terra. Mi stacchi di colpo...senza toccarmi fissi i miei occhi, la mia bocca protesa. Mi stringi di nuovo riempiendomi la bocca, risucchiando la mia saliva, inondandomi della tua. Un attimo........ci stacchiamo di nuovo, sappiamo tutti e due che un attimo ancora e potresti sbattermi sul cofano dell'auto, spogliarmi, penetrarmi....non possiamo.......non qui......non in mezzo alla strada......andiamo, corriamo.... Il viaggio in auto è un tormento, desidero stringerti toccarti, sentirti.......e tu lo stesso, sono sudaticcia, il mio sesso pulsante, il respiro di cui non riusciamo a riprendere un controllo completo. Ogni tanto mi prendi una mano e ne succhi le dita, lecchi il palmo affondandoci il viso, bagni il polso leccandolo lentamente e sali fino all'interno del gomito che mordicchi leggero.....non puoi di più, guidando...... Finalmente arriviamo! Davanti a me c'è un bellissimo castello medievale adibito ad albergo, l'atmosfera è da favola; in reception mi sembra di essere in un film, hai presente la classica coppia clandestina che si vede lontano un miglio, eccitati, imbarazzati dalla loro stessa eccitazione, che cercano di essere disinvolti, non riuscendo in alcun modo a nascondere la fretta di salire in camera.......... La camera è di sapore antico, ma nelle nostre menti sovraeccitate diviene un luogo intriso di profumi peccaminosi, avvolti in chiarore che penetra non troppo intenso dalla grande finestra socchiusa. Sul tavolo mi hai fatto trovare un grande mazzo di fiori che spande odori freschi e dolciastri, appesantiti dal calore che ci avvolge. Mi stringi di nuovo a te, con impeto, quasi con violenza, in piedi in mezzo alla stanza, stavolta esplorando ogni angolo del mio corpo senza remore, baciandomi a perdifiato, bagnandomi, riempiendomi. Infili le mani in tutti i pertugi che riesci a trovare nei miei abiti. Con una mi alzi da dietro la gonna e godi finalmente della pienezza dei miei glutei nudi da spremere, da accarezzare, con l'altra sali sulla schiena da sotto la camicia, mi stropicci disordinatamente i muscoli attorno alla spina dorsale ... Esserti accanto al momento del risveglio, per godere di ogni tua stilla di profumo di pelle ed intimità che si è accumulata in una notte sotto il lenzuolo, per accarezzarti, stringerti, che ancora sei in un languore di dormiveglia eccitato.....

FARFALLE di Aline

"Ho le farfalle nello stomaco lo sai?" SMS. Mi sento morire tra poco devo uscire... Qualche minuto e la ia vita cambierà. Quante volte avevo rimandato non le contavo più.. Perchè?Lo so perchè non sarebbe stato più uguale dopo. Niente più giochi... niente più cazzeggi solo una realtà. Eppure lo volevo. Lo desideravo. Ma avevo paura. Sapeva leggere così bene dentro di me. Voleva solo consapevolezza dell'altro non sapeva che farsene. ed aveva aspettato, atteso i miei tempi. Ed ora ero qui che volavo verso la mia nuova vita. I fiumi di parole tra di noimi inondavano la mente. Il suo guidarmi nei miei orgasmi. Quella voce calda e sensuale eppure così decisa. Senza volto senza consistenza almeno finoad ora eppure così presente. Dolce ed amorevole quando ero piccola e fragile. Spudorato e volgare quando ne avevo bisogno. Guidava le mie fantasie in terreni che non volevo vedere. Ci sbirciavo timida e mi piaceva e lo lasciavo continuare e lui mi portava lungo sentieri perversi fuori dalla morale. La sua dolce puttana sono sempre stata. "E allora quali sono le tue paure?" Vi chiederete. Retaggi di morale. Queste sono. Ora non sarò più la sua dolce puttana delle fantasie ma la sua dolce puttana reale.. Sarò un giocattolo tra le sue mani.. prezioso... come mi dice sempre Tutto il mondo che ho solo sbirciato, fantasticato, sarà lì tra le mie mani, sul mio corpo. Il mio corpo lasciazto alle nostre fantasie. Gambe aperte e fica colante... Il mio corpo regalato ad altri. Che godrà di essere una puttana senza rimorsi. Questo mi spaventa. Mi spaventa la coscienza che verrà a farmi compagnia ogni tanto a ricordarmi l'etica e la morale. La strada corre, ormai ci sono. La porta della camera d'albergo che conosco benissimo, qualche secondo per ricominciare a respirare... Occhi ciusi ha detto.. Busso.. Le mani appoggiate sullo stipite per sorreggermi... le gambe cedono. Tremo.. Pochi secondi senza respirare. Sento la porta... così mi vedi... "la mia dolce puttana.." La sua voce nelle mie oreccie riconosciuta dal mio sesso...
"Come stanno le farfalle?"
"Danzano impazzite"
"E le palline?" e palline? e chi le aveva ricordate che fossero dentro di me.
"Le farfalle le sovrastano..."
Sorride lo sento lo vedo con gli occhi dellimmaginazione.
"Riuscirai a tenere gli occhi chiusi?"
"...Si.."un sussurro. Ho voglia di aprirli e di lasciarli così insieme, per rimandare la mia ormai realtà. Sento il tuo corpo... le tue mani che mi accarezzano. Mi accompagnano dentro.. Le sue parole si perdono nel mare di sensazioni chemi travolgono. Le sue labbra a strapparmi un bacio e le sue dita sui miei capezzoli sopra la maglietta. Sento i rumori. Delle bende adesive sui miei occhi. Per fuggire le tentazioni. Ha ragione avrei cercato di guardare prima o poi. Le ciglia che sfiorano l'adesivo mentre apro gli occhi sotto le bende. Che strano mondo opaco.. Mi spoglia... I vestiti scivolano uno dopo l'altro e le sue mani su di me che esplorano. Curiose vogliose.. mi piace.. Annuso il suo odore. cerco la sua pelle le sue labbra. Le mie mani che sfiorano il suo volto cerco di immaginarlo. La mia paura svanita ora ho voglia solo di lui. Le sue dita dentro a giocare con le palline a farmi godere. Mi guida verso il letto nel mio buio.
"Gambe aperte. non chiuderle mia dolce puttana.." Può una puttana avere vergogna? No! Le mie cosce spalancate a qualsiasi cosa sarà. Dolore acuto forte e le mie gambe strette.. Forzare il mio istinto ed aprirle di nuovo... e ancora dolore.. cerco di individuare la fonte non capisco, ma le gambe sono di nuovo aperte. E' soddisfatto lo sento. Sa quanto fa male e sa che le riaprirò per lui. Rumori movimenti e il suo sesso è nela mia bocca. La mia lingua lo coccola lo lecca e lui reagisce monta si inturgidisce aumenta. Ed è in fondo premuto forzato. I conati che salgono. La sua soddisfazione. La sua cagna che soffoca con il suo sesso. Spinge di nuovo fino allo spasmo e di nuovo mi lasia respirare e poi ancora violento in me. Mi abbandona.. la bocca a cercare ancora,  ma lui è tra le mie gambe. Mi penetra. Oddio le palline. Cerco il cordoncino per tenerlo... Mi toglie le mani "Lascialo mia puttana ce ne occuperemo dopo..." Il suo cazzo scivola dentro come se non ci fossero. Lo sento sbatterci contro e le vibrazioni espandersi in me ed è subito orgasmo. I suoi movimenti non smettono . mi scopa con desiderio e violenza. Le palline sono impazzite e anche io. Non pensavo potessero coesistere insieme... eppure mi sta scopando e sono dentro di me... e sembra che non esistano... sono così aperta... così puttana... Rallenta dopo ilo mio orgasmo... ma non esce da me.
"Ti prego fatti vedere...." Sento la sua esitazione.. Non l'avrei visto oggi. Me lo aveva detto. Ma sentole sue dita a tirar via gli adesivi dagli occhi. Due splendidi occhi azzurri nei miei. E' strano come la mia mente si sia rifiutata di farsi un'immagine di lui. Ci ho fantasticato ore ed ore ma mai mi sono visualizzato i suo volto il suo corpo... ed ora è lì davanti ai miei occhi in mezzo alle mie gambe dentro di me... sono felice..
Ricomincia a scoparmi con gli occhi fissi nei miei. Sono eccitata godo.... Le sue mani a cercare dietro di se... Elastici... la fonte del mio dolore ecco cos'erano. Lo guardo tenderli e far partire il colpo sui miei capezzoli. Dolore.. fa malissimo.. ma non smettere ti prego... Tutte le altre sensazioni divengono più forti con il dolore. Lo sa e mi scopa più violentemente mentre continua a infliggermi dolore. E' orgasmo violento... Sorride... Brava sembra dire...
"Puoi vedere quando ti colpisco ora.. assaporare l'attesa essere consapevole.. donarmi il tuo dolore.."
Tende l'elastico e mi fissa. L'istinto mi fa irrigidire. Lui attende che i miei muscoli si rilassino e poi lo lascia sui miei capezzoli e ancora ... ancora. Guardo l'elastico continuare a tendersi e aspetto ogni colpo cosciente. Questo vole da me e questo avrà dalla sua puttana. Esce da me e si stende al mio fianco. Fai quello che vuoi sembra dire... fammi vedere. Ho voglia della sua pelle, di sentire il suo odore, di sentirla sotto la lingua e sono lì a leccare. I capezzoli nella mia bocca si irrigidiscono e le mie mani ad esploraro e poi sul suo sesso a farlo diventare turgido di nuovo. Ed io sopra di lui ora... a scoparlo a goderne. I nostri occhi sempre uno nell'altro. Mi guarda cavalcarlo... usarlo .. guarda la mia eccitazione salire, diventare il mio solo pensiero, lasciarmi andare al piacere. Le palline che sbattono tra loro quando entra completamente in me, è sublime, il mio godere no smette. Affannata accassciata sul tuo corpo. Il respiro a millimetri dalla tua bocca.
"Lecca la faccia al tuo padrone cagnetta..."
Come una cagnolina ubbidiente e riconoscente la mia lingua a fargli le feste. La mia saliva lungo tuta la faccia. Il suo sorriso... la mia felicità.
E il mio leccare più insistente e i miei capezzoli nella sua bocca. Strizzati tra le dita, il dolore farsi piacere irrinunciabile, leccati dalla lingua. Piacere... e poi di nuovo mordere .. succhiare, dolore e piacere uno dopo l'altro senza continuità. E loro che diventano duri sensibili come mai prima d'ora... E poi ti allontani.. Il miele... nelle tue mani... Lo guardo colare su di me.. denso.. dolce... Il contatto frddo sui capezzoli così eccitante... Fili ambrati sulla mia pelle e la lingua fuori a chiedere, il liquido posarsi su di lei.... Dolce... dolcissimo nella mia bocca... Lo ingoio e chiedo di nuovo... un gioco eccitante.. perfetto... I fili che scendono piano... eccitazione pura...La dolcezza che si spande in me... La sua boca sul mio seno a cercare la dolceza.. assaporarla.. Leccare pulire... ed è orgasmo.... I miei occhi socchiusi e la mia fica colante.. splendido...E poi di nuovo i suoi denti a fare male ed io a chiedere di non smettere..
"Piccola cagna.."
"Non mi basta mai.. Sei contento della tua cagnetta padrone?" Ho bisogno di sapere che non ti ho dleuso, che ero quello che pensavi, che volevi. Ho paura della tua risposta.. di sentire che finisce qui.. E tu mi guardi..
"Lo sai che non sarà più come prima se vuoi...devi solo dirmelo.. atrimenti io mi vesto e me ne vado" no ti prego... "Vuoi essere mia? Sarò il tuo unico padrone.. Voglio saperlo ora." ..paura...Niente sarà più come prima lo sapevo.. ma ora... devo decidere ora... non domani non la prossima settimana.. ora... Tutta la mia vita non sarà più mia, tutti i miei giochi non saranno più miei ma suoi.. solo suoi...
".. Si..."... Tua...
"Lo sai che farai tutto per me...?" Lo so lo sapevo già da prima... Mi avevi già detto tutto... ma ora è così reale... So che vorrai farmi usare... me lo hai descritto milioni di volte mentre mi guidavi nei miei orgasmi... Mi guarderai usare guarderai che mi piace che ne gorò...per te.. con te...
Nella mia testa immagini di uomini che mi usano... cazzi che mi scopano.... I tuoi occhi che ne godono.... La tua dolce puttana... "Si lo voglio, ....si"
"Padrone voglio donarti la mia verginità...., il mio culo che non ho donato a nessuno.... "
"Aline abbiamo tempo... sei mia ora....non sarà oggi l'ultima volta che ci vediamo...non cambierà nulla se non sarà oggi..."
"No padrone non cambierà...". E so che sarà quando lui
Aline il nome che hai scelto per me... mi piace mi è sempre piaciuto.

SONO LA TUA PELLE

“Sai bene che la prossima volta non avrò alcuna pietà”.
La tua voce risuona come dolce musica alle mie orecchie. Pensi forse che io vorrei averne di pietà? Non sarei la Donna che hai creato.
Hai bendato i miei occhi… hai legato il mio corpo… hai goduto del mio stesso piacere e sai bene che non mi è bastato. Pensi forse che sia la pietà che voglio da te?
Ti amo quando mi dici che la prossima volta non ti tratterrai, ho amato l’emozione che ho sentito nella tua voce quando mi hai detto “te lo voglio sentire urlare che sei la mia Puttana, non mi basterà che tu lo dica… dovrai urlarlo come se fosse l’anima stessa a parlare”
E lo farò, puoi esserne certo. Mi conosci e sai che non mi fermerò… non adesso… non più… ogni tuo desiderio mi scorre nel sangue, mi esplode nel cervello fino a diventare il mio stesse essere. E’ essere una sola cosa, quante volte ne abbiamo parlato? Una sola anima io e te, sentirti dentro e non sapere dove inizio io e finisci tu.
E lo sai quanto vorrò sentirti urlare io Davide? Sai quanto vorrò sentirti urlare il piacere che prenderai dal mio corpo? Conosci quanto desiderio io possa ancora avere di te?
Ho goduto di te questa mattina. Ho goduto nel ricordare la tua carne dentro la mia, richiamando alla memoria ogni attimo come fosse parte di un tesoro prezioso.
Ho goduto del miele che hai gustato sui miei seni, della tua lingua che danzava sui miei capezzoli e delle tue mani che scorrevano lente sul mio corpo. Ho goduto del mio vedertelo fare, del mio lasciartelo fare… era sentirmi piano, ritrovarmi piano… ho goduto del piacere che mi hai donato e di quel tuo dirmi “Era da troppo tempo che volevo farlo…”. Desideri che finalmente prendono forma e nell’attimo stesso in cui si realizzano ne fanno nascere di nuovi.
Legata, in tuo potere, ho goduto della mia bocca violata, presa con forza e tenerezza insieme. Ho goduto del dolce nettare che hai lasciato in essa, gustandolo nel ricordo con lo stesso amore e la stessa intensità con cui l’ho assaporato mentre le tue mani obbligavano il mio capo sul tuo sesso. Ho goduto del mio sentirmi così, usata e violata… di questo mio aprirmi per il tuo Piacere. Ho goduto della mie gambe aperte, delle mie braccia imprigionate dalle corde, del mio sentirti possente e caldo in fondo alla gola… del mio dirti “scopami”, del mio essere Aperta e presa come tu hai voluto prendermi: con il desiderio, con le parole, con il tuo sesso e con le tue dita. Quelle dita che non hanno risparmiato niente, che hanno preso tutto… avide e voraci forse ancor più della tua bocca.
Ho goduto del tuo ricordo e avrei voluto che fossi accanto a me e non all’altro capo del telefono. Avrei voluto lasciarti vedere i miei occhi che ancora chiedevano, insoddisfatti per queste mie mani che non bastavano... un gioco di bimba che non placava la sete che avevo nell’anima. Ho goduto davanti allo specchio, guardando le mie dita entrare ed uscire dal mio sesso. Lente, come tu avevi chiesto. Così ti scrivo.. con il tuo piacere che bagna le mie cosce, con il mio sesso che ancora sa di te… E ancora non mi è bastato Davide, non può bastarmi e lo sai.
Ho goduto di te dannandomi l’anima al ricordo di quella porta che per quanto offerta non hai voluto violare. Lo chiederò di nuovo Davide, saprò chiederlo usando le parole. Lo voglio Davide, voglio tutto di te.
Mi hai resa un Donna si, ma sapevamo bene che una notte non sarebbe bastata. Non ci fermeremo e conosci la mia consapevolezza nel dirlo. E’ la promessa nascosta nella tua voce e nel profondo dei tuoi occhi: nessuna pietà.
So bene che non ti fermerai. Tu mi farai morire lo so… tu mi farai urlare... Prenderai il mio corpo e tirerai fuori l'Anima. La porterai in superficie, la porterai sulla pelle… la mia Anima sarà la mia pelle... e tu mi farai urlare, la farai urlare….
Nella notte in cui mi hai reso Donna mi hai marchiata con il fuoco… troppo candida la mia pelle per la tua cera che avevi scelto per quel nostro incontro. Porto ancora i segni di quelle venti gocce blu… piccole promesse di ciò che deve ancora accadere.
Credi non possa essere la mia promessa e che a tempo debito non la manterrò? No Davide, è una promessa. Ed è la speranza che tu un giorno tu lo faccia: dentro la tua anima e sulla mia pelle.
…Tu sei la mia anima… e io sono la tua pelle…

LUNEDI

E' tardi..non so di preciso che ore sono...ma sento la profondità della notte che mi avvolge, ho voglia di scriverti, e così sono qui, a letto, orecchie pressate dalle cuffie, musica alta e penetrante, sigaretta tra le dita della mano sinistra e nell'altra lo strumento che mi farà compagnia tra e parole che si tenderanno sulla carta. Ebbene si, carta e penna, niente monitor, niente luce fredda, niente schermo bianco, ma moltitudini di quadretti perfetti nei quali incastonare le mie parole. Domattina penserò a trasportare le mie emozioni in digitale, ma ora sento il bisogno dell'odore della carta e di una superficie su  cui appoggiare le idee. Ci sono milioni di cose che vorrei dirti, vorrei dirle in fretta... tutte d’ un fiatoda restare senz'aria nei polmoni sentirli vuoti schiacciati, sentire il gusto amaro dell’assenza per poi aspirare prepotentemente la vita nella mia bocca alla fine dei pensieri. Mille cose girano per la testa, mille sferette di metallo... mi sento come una piccola formichina persa nel fitto dell'immensa boscaglia di pensieri, guardo verso l'alto, seguo con lo sguardo i fili d'erba puntare verso il cielo, so che tutti mi condurranno al sole, all'aria fresca e pura, sta a me decidere quale scegliere... quale percorrere, quale filo d'erba sarà la mia strada per cambire prospettiva nella boscaglia. So già che scriverò parole e parole senza sapere dove andare.. ma lo accetto.. accetto che le cose escano senza dare peso senza misurare ogni piccola virgola. Mi chiedo perchè questa simbiosi tra noi, mi chiedo perchè ti sento così in profondità... sento le tue parole appoggiarsi nei meandri più remoti dell'anima... eppure allo stesso tempo ti sento distante..intoccabile, come se fosse un peccato, quasi un divieto avvicinarmi a te... come se quel volerti come "Mio Padrone" mi tenesse a debita distanza. Se ripenso a certe tue parole arrossisco come una bimba... se ripenso alle azioni fatte per sentirti dentro, per farti sentire almeno un po' della mia essenza arrossisco... sono vulnerabile, esposta... nuda... è così che mi sento..è così che mi leggo nelle tue parole.. la tua piccola troia bisognosa di comprensione e rimproveri, di attenzioni e cattiverie, di piacere e dolore. E' in questa scomoda e travolgente posizione che sento chiara la tua capacità di accogliere ogni mio gesto come se fosse unico, con grazia e pazienza, il tuo capire i miei silenzi, accettare le mie brevi risposte, consapevole che dietro a quelle parole misurate c'è un fiume di consonanti e di vocali, di accenti gettati al vento, di sillabe impazzite e impazienti di essere pronunciate. In tutto questo delirio di parole, in tutta questa mia sbalorditiva capacità di essere sempre e comunque confusa, mi chiedo cosa si cela dietro il tuo accettare... il tuo desiderare senza pretendere... quando la mia paura del dolore diventerà puro dolore?  "Vivi senza pensare a quel che sarà la tua vita domani" sarebbe... un sogno... sarebbe assaporare ogni molecola di ossigeno come se fosse il dono più prezioso... apprezzare ogni piccolo gemito., ogni piccolo suono di voce senza il volerlo per se ...senza voler a tutti i costi custodire, trattenere, afferrare le emozioni, ma viverle..., ma aimè la mente pretende e come se pretende, pretende ora e domani, pretende le risposte a domande ancora non poste o ancora non travate. Come vedi, come al solito mi arrampico su fili d'erba che non mi portano mai alla conclusione, non arrivo mai alla finire un discorso senza il dubbio di aver trasmesso tutto quello che penso, sento solo che una piccola parte delle parole fin'ora trattenute e sigillate sottovuoto nella mente sono uscite... quasi in preda ad una convulsione ad una contrazione, quasi fosse un orgasmo di parole calde e bagnate. La penna ha fatto il suo compito, come una piccola cagna che da piacere al suo Padrone, senza sapere dove la condurrà,e cosa ne farà il suo Pardrone di quel piacere, della sua anima. Le parole che non ho detto, sono fatte di lettere che si susseguono come spinte da un vento troppo gelido, lettere che si avvicinano per il freddo, che si scaldano tra loro che si tengono compagnia che si annusano per non dimenticarsi e potersi riconoscere, che si avvinghiano per consuamarsi. Lettere che assieme creano parole dolci, morbide, tenere, che profumano come il fluido della passione, della purezza, del candore. Nell'ingenua voglia di unione quelle stesse lettere si temono e scappano per paura di creare parole inaudite, parole violente, parole che non chiedono perdono, che si infilano come lame nella pelle che la lacerano facendo sanguinare l'anima e la mente. Parole marchiate che lasciano cicatrici profonde, parole che non ho
mai detto, lettere che non so unire... il tuo nome... dolore e passione... crudeltà e tenerezza. Non so dire il tuo nome, non lo so pronunciare... come da bambina, quando temevo che pronunciare le parole potesse cambiare lo scorrere del tempo, potesse modificare il mio piccolo mondo di sogni e di giochi, come se dire "è solo illusione" mi facesse stare meglio, mi facesse sentire protetta e nuda al tempo stesso in un mare di parole che non temo più. Ora gli occhi si fanno lucidi... chiedono riposto... la mente continuerà a produrre milioni di piccole scosse che risvegliano pensieri archiviati, la musica a farmi compagnia e i miei sogni ricorrenti a trascinarmi sul bordo della realtà, al confine con l'illusione, a mangiare piccoli pezzi di cielo per sentire nell'anima il formicolio dell'azzurro...

SCRIVIMI SULLA PELLE


Ti ho trovato per caso, ma nulla è meno casuale del caso.
Io amo i giochi di parole, tu con le parole ami giocare, attrarre, respingere, confondere e avvolgere, ci cammini sopra come un funambolo senza la rete, le depositi qua e là perché qualcuno le raccolga.
Sono andata a cercarmele le tue parole, ho imparato a riconoscerti subito, a saltare le mille righe che non eri tu guidata dall’istinto, per ritrovarti e non riuscire a scivolare più via.
Scrivimi sulla pelle, il desiderio antico che risorge dalle ceneri, l’istante che ha guidato la mia mano per generare questo filo tenue che ci lega, creature senza luogo e senza tempo. Tremula luce io che irradio i miei bagliori solitari, tu che ti lecchi le ferite di un’illusione infranta come un’onda che una roccia ha raccolto su di sè per poi ributtarla in mezzo al mare. Ed è infinito e magico il tempo dell’attesa, fasci di luce su una pagina scura e se hai sbagliato non lo saprai mai. Arriva la risposta e la scandaglio in cerca di una traccia, punti di sospensione e dita che scorrono sulla tastiera.
Io ti conosco già, sei l’uomo delle stelle, contraddittorio senza ambiguità, sei il libro che vorresti non finisse mai, lo specchio che rimanda l’immagine di una me capovolta. Se io fossi un uomo…vorrei essere come te. Non credo di avere mai detto una frase simile ad un uomo, ne ho dette tante, vere o fasulle, spietate o generose, infantili o profonde. Ne ho dette tante inutili, me le ricordo appena ma questa mi ha colpita perché nemmeno io me l’aspettavo. Se io fossi un uomo…vorrei essere come te. Ingarbugliata. Adoro la scrittura, adoro l’uomo dominante, connubio da restare senza fiato, da strapparsi pelle e capelli senza venirne a capo. Vorrei sapere tutto, non chiedo quasi niente. Vorrei sparire ma ti aleggio attorno come una lucciola a tratti intrappolata sotto un bicchiere. Danzano le parole ma io riesco ad afferrarle. Almeno credo, scavarti dentro è un compito difficile, offri di te solo la parte pura, ombre e voragini le tieni in disparte. La carta da giocare quando nel gioco decidi di rivelare te stesso.
Ricordo che volevo provocarti, tu mi hai risposto che non serve la violenza. No, non hai detto che non ti piace, hai detto che non serve. La sfumatura in questo caso è un taglio netto, la scure che divide bianco e nero, l’appartenenza ad un mondo o al suo esatto contrario. Rimuginavo, mi arrovellavo, non serve perché sei andato oltre, l’hai divorata, esorcizzata, ripudiata, te ne sei fatto scudo e vessillo e ora puoi permetterti di sorvolarla come un gabbiano sfiora l’orlo dell’acqua? Non ho risposte, non le voglio avere. Penso a te come a una finestra su cui passano immagini che cambiano forma e colore, penso a te come a una nuvola che non segue i percorsi del vento. L’universo si restringe senza di te, resta qua mio piccolo sogno, se fossi tua vorrei che mi scrivessi addosso, se tu fossi mio ti scriverei addosso.
Un giorno ti vedrò, l’ho immaginato senza crederci, o forse ci ho creduto senza immaginarlo. Gli incontri a volte non sono necessari, a volte rincorrono l’urgenza oppure si frantumano sulla paura.
Io non ho paura. E prima o poi ti incontro. Hai riso, mi si spezza la voce, dall’altra parte del telefono ti ho risposto con il silenzio. Ho camminato fino a raggiungere la riva del mare, ti ho fatto ascoltare il fruscio delle onde e tu continuavi a sorridere. Ehi ti trema la voce, sussurri tu e io mi sento sciocca.
Mi sono immersa in altro, i gesti quotidiani e spesso inconsapevoli per non farsi travolgere. Nella città più dolce, nella città più antica, forse sarà fortuna od incoscienza ma resta una memoria da dividere in due, la data impressa sul quaderno nero e un battito nel cuore irregolare. Volevo il segno e tu me l’hai lasciato, sottile alone che disegna l’ombra dove la carne fa più male. Mi hai scritto sulla pelle con il pennarello blu. Io non riuscivo a leggere, tu hai inventato un linguaggio nuovo, me lo hai tradotto e io l’ho interpretato. So che non ti dimentico, so che rimani dentro. Un movimento interno, una scheggia che circola ancora.
L’insieme è interrotto, rimangono echi, due occhi che ti scrutano, lampi di foschia e l’afa opprimente della città bellissima, sedili sporchi alla stazione. Forse quando stai per lasciarti comunichi più con i silenzi che con le parole. Si altera il desiderio, mi piace un uomo e solo quello, chiunque altro dovrà assomigliarli o cercherò di adattarlo come farei con un vestito che non è più di moda. Se susciti emozioni resti per sempre, ma anche questa è un’illusione da luna park. Forse i ricordi sbiadiscono, ti resta la forma di un occhio, la sigaretta schiacciata, il sudore sul palmo della mano. E non è poco. Mi resti tu, tu che sei l’uomo delle stelle, tu a cui non serve la violenza ma che ci voli sopra, tu che sai che il pensiero arriva prima se ti fai capire, tu che davvero ascolti. Ed è tantissimo.Tu che mi hai scritto sulla pelle, e non lo saprai mai quanta fatica per doverle cancellare, le tue parole incise con il pennarello blu.

L'INIZIO



Era la prima volta. La prima volta “così”.
Arrivai nella camera che aveva scelto per noi un’ora prima di lui. Dopo una lunga doccia bollente mi vestii come mi aveva chiesto e rimasi in attesa, domandandomi ancora una volta perché mai quel desiderio improvviso di vederci in una stanza d’albergo e non a casa sua come sempre.
Mi trovò sdraiata sul letto con indosso solo le autoreggenti e un bustino nero, tacchi a spillo altissimi e nessun ornamento.
“Fatti guardare” mi disse porgendomi la mano. Mi alzai in piedi e rimasi in silenzio sotto il suo sguardo: era come se non lo avessi mai visto prima. Mi aveva fatto promettere che sarei stata in silenzio e che dalle mie labbra non sarebbe uscito un solo gemito, mi aveva fatto promettere che non mi sarei sottratta a qualunque cosa avesse deciso di farmi. Ed io avevo accolto quella novità nel nostro rapporto come una sorta di gioco, gli avevo detto “sì” più per curiosità che per convinzione.
Eppure adesso l’uomo che mi stava dinnanzi mi era estraneo. Conosciuto, amato ed eppure estraneo. Ammantato di un’autorità che non gli avevo mai riconosciuto prima.
Mi porse un elastico e mi chiese di legare i capelli. Lo guardai con un disappunto: gli erano sempre piaciuti sciolti.
“Sarà più comodo” mi disse in risposta alla mia silenziosa domanda.
Non sapendo che altro fare legai i capelli e rimasi immobile. Nulla mi aveva chiesto lui e nulla osai chiedere io.
Si spogliò in silenzio e si portò alle mie spalle. Mi baciò il collo lentamente, poggiando le sue labbra su ogni centimetro di pelle disponibile. Le sue mani vagavano sul mio corpo, le dita giocavano coi merletti che avevo indosso, insinuandosi tra essi, afferrando i seni, stringendoli piano, pizzicandone le piccole estremità rosate già turgide di piacere…
Chiusi gli occhi lasciandomi trasportare da quelle carezze che nel tempo avevo imparato ad amare. La sua straordinaria delicatezza era sempre stata rassicurante e accogliente ed io, circondata dal calore del suo corpo, mi sentivo a Casa.
Quando quelle suadenti carezze giunsero al clitoride, tormentandolo delicatamente con piccoli cerchi lenti e cadenzati, non riuscì più a reggermi in piedi e mi abbandonai contro il suo corpo sicura del fatto che mi avrebbe  impedito di cadere.
E lui mi sostenne prontamente con un braccio ma senza per questo rinunciare al dolce tormento che mi stava infliggendo.
Sollevò il mio viso verso di lui e mi baciò dolcemente le labbra.
“Sei bagnata” disse sorridendo  “La mia piccola deliziosa bambina è già pronta per iniziare a giocare vero?”
Mi ritrovai con il busto riverso sul tavolo, le gambe aperte, le terga e il sesso oscenamente esposti. Stranamente non mi vergognavo di quella posa per me così innaturale. Essere lì era essere lì per lui, per assecondare il suo volere. E se era questo che voleva da me, io avrei saputo mettere da parte la mia vergogna.
Per lui. Perché lui lo aveva chiesto. Perché io lo volevo.
Si abbassò quel tanto da consentirgli di avere il mio sesso alla portata delle sue labbra e lo baciò. Mi baciava con misurata lentezza, la lingua che si insinuava decisa e sapiente tra i petali del mio fiore cercando, gustando, assaporando…
Accarezzando con dolcezza le terga le sue mani si spostarono sui miei fianchi, le dita a pizzicare nuovamente i capezzoli nascosti sotto il pizzo. Quante volte avevamo giocato così? Conoscevo il piacere che le sue dita avrebbero donato sfiorando il mio corpo, sapevo quali fremiti avrebbero scatenato in me, come avrei gioito ed infine goduto delle lente attenzioni che esse mi riservavano… cosa c’era di diverso dunque? In che cosa “questa” sera avrebbe dovuto essere diversa dalle altre? Senza poterlo guardare in viso la mente era divisa tra il piacere che il corpo le comunicava e la curiosità di scoprire il prossimo passo di quel viaggio che con lui aveva iniziato.
“Promettimi di ubbidire Elena. Non voglio un fiato da te venerdì sera, nemmeno una parola. Voglio avere il controllo completo del tuo corpo Elena… Lo permetterai? Mi permetterai di usarti come io desidero?” …Perché?... Perché?...
Il primo morso arrivò sulle mie terga inatteso e violento, costringendomi e sussultare sia dalla sorpresa che dal dolore. E non si fermò al primo...
Faceva male. Faceva male …ed io ho promesso di restare ferma e immobile… alla fine fui costretta io stessa a mordermi le labbra per evitare di gridare. Era un delirio: volevo scappare, fuggire… e sapevo di non poterlo fare, di non volerlo fare.
Eppure, se la sua bocca impartiva dolore, le sue mani dispensavano piacere. Le sue dita stringevano  il clitoride con delicatezza,  lo circondavano, lo stuzzicavano… dolore e piacere nello stesso tempo… era dunque possibile?
Persa in quelle mille sensazioni, fu come impazzire: se una parte di me avrebbe voluto urlare per il dolore che provava, avrebbe voluto dire basta e supplicare il suo carnefice di interrompere quella lenta tortura, un’altra me che mi albergava dentro e della quale non avevo mai avuto coscienza riusciva a pensare solo una cosa… “Continua! Continua e non ti fermare, ti supplico!”
Piacere e dolore insieme, la volontà di restare immobile ed il desiderio di fuggire. Cosa diavolo ci fai qui Elena? Silenziose lacrime rigarono il mio volto. Se di dolore o di liberazione non sono in grado di dirlo.
Contratto, il corpo era teso come un arco pronto a scoccare la sua freccia, come se già attendesse il prossimo morso, chiedendosi quando quei denti aguzzi avrebbero nuovamente affondato nella sua carne.
Il dolore era troppo forte e troppo intenso per consentirmi di rilassarmi… eppure le sue mani mi regalavano un piacere infinito! La bocca dava dolore al corpo, al “fuori” di me… e le sue dita scavavano nel mio essere, nel mio “centro”, cercando e donandomi un piacere sapiente e antico. Era come ritrovare il mio essere Donna tra le sue mani, affidarmi al mio opposto per ritrovare me stessa.
…Il primo orgasmo… …il secondo… …il terzo… Intorno solo silenzio e la mia anima che lentamente si risvegliava dal suo sonno ed entrava in ascolto di se stessa. Lacrime e delizia… dolore e piacere… era dunque questo ciò che Roberto aveva deciso di farmi scoprire?
Quando infine decise di prendermi anche le lacrime erano ormai cessate: ero caduta in un oblio ovattato, la mente in completo ascolto del corpo… sorpresa, stupita, incredula…
Entrò con dolcezza nel mio essere, come faceva sempre.
Non mi ero spostata da quel tavolo e continuavo a non vedere il suo volto, ma erano di nuovo i giochi che conoscevo, era di nuovo il mio amore che tornava da me: Roberto con la sua dolcezza, la sua attenzione…
Mi prendeva Roberto, prendeva il mio essere: senza afferrarmi, senza sottrarre nulla. Era sentire la sua energia, essere una sola cosa, insieme.
Sollevai la testa con l’intenzione di voltarmi per poter guardare la luce nei suoi occhi ma…
No, si limitò a dire.
La sua mano sul mio capo fu come una nevicata in pieno agosto. No. Punto. Dunque non mi sarebbe stato concesso guardare i suoi occhi mentre il suo corpo prendeva piacere del mio. Cosa diavolo ci fai qui Elena? Vattene! Eppure quella mano che con fermezza teneva il mio volto incollato al piano del tavolo era gentile. La pressione delle dita sul viso erano quasi una carezza. Non era essere imprigionata, era semmai un essere tenuta. Con fermezza ma senza costrizione. Mi sorpresi nello scoprire le mie sensazioni: riversa su un tavolo di una qualsiasi stanza di un qualsiasi albergo… le gambe aperte ed il sesso usato, preso, goduto… la schiena e il volto tenuti fermi da una mano imponente e allo stesso tempo dolce… stavo bene.
Stavo bene con me stessa e con il mio corpo, stavo bene con Roberto e con il suo prendermi così, ubbidiente e docile.
Si divertì a giocare con i miei capelli, tirò quella coda che mi aveva imposto e lo sentii sorridere mentre la usava per solleticarmi la schiena. Giocava Roberto… prendeva il mio corpo, lo usava… e nello stesso tempo ci giocava…
Lasciò scivolare un dito tra le mie labbra e mi scoprii lieta di poterlo accogliere nella bocca. Aveva il sapore del mio piacere e non seppi resistere alla tentazione di gustarlo lentamente raccogliendolo con la lingua, succhiandolo dalle sue dita allo stesso ritmo con cui lui lo prendeva da me cavandolo dal mio essere, lasciando che  inondasse il suo sesso.
L’altra mano non aveva smesso di tormentare il clitoride… gli orgasmi continuavano a susseguirsi in una lunga catena di sensazioni conosciute e allo stesso tempo nuove. Non era solo il corpo a fare l’amore, era la mente tutta ad essere posseduta dal mio amante. Ed io mi sentivo completamente abbandonata tra le sue mani in un’estasi gioiosa e rassicurante: Roberto mi amava. Giocava con me, mi usava persino, ma mi amava. Potevo sentirlo in tutto ciò che faceva, nel piacere che mi donava e che non lesinava, il quelle mani forti e decise che tuttavia nulla costringevano e nulla afferravano… mi lasciai cullare dal ritmo delle sue spinte, abbandonandomi su quel tavolo come fosse il più accomodante dei letti.
Si fermò esattamente un attimo prima che io raggiungessi l’ennesimo orgasmo e mi sentii quasi tradita da quella mancanza di “attenzione”. Roberto, il mio Roberto sempre così premuroso e attento al mio piacere, ora me lo negava?
Mi aiutò a sollevarmi e accarezzandomi il viso mi disse: Non sarà più così semplice mia dolce bambina. Il tuo piacere è troppo intenso, troppo repentino. Non basterà più il desiderio, il piacere… dovrai imparare a meritarlo mia dolce.
Lo guardai sorpresa e decisamente confusa. Cosa mai poteva voler dire con “meritare il piacere”?
Mi condusse verso il letto sdraiandosi sopra di me. Lo accolsi con un dolce abbraccio, il corpo che già pregustava il momento in cui gli sarebbe nuovamente appartenuto. Lo cercavo Roberto, cercavo il suo essere e il suo sesso su quel letto ancora intatto. Lo volevo, lo desideravo, desideravo il piacere che sapeva donarmi. Desideravo il modo in cui sapeva prendermi, quel suo entrare dolcemente e quelle sue spinte che diventavano sempre più intense, voraci quasi. Lo desideravo dentro di me. Nel mio corpo, nella mia anima… Dentro…
Ma nessun mare venne a bagnare le mie spiagge infuocate.
Roberto si sollevò allontanandosi da me e guardandomi dritto negli occhi con voce imperiosa mi disse: apri le gambe Elena, voglio vedere il  desiderio con cui mi aspetta la mia Puttana.
Quelle parole mi colpirono con la violenza di un uragano.
Puttana? E da quando ero diventata una Puttana per Roberto, per il mio amore? Era così che mi vedeva dunque? Questo ciò che di me pensava?
Cosa ci fai qui Elena? Vattene per la miseria! Alzati da questo maledetto letto e vattene! …E invece rimasi immobile e zitta, perché era questo ciò che avevo promesso. Lui sorrise alla ribellione mista a muta accondiscendenza che leggeva nei miei occhi… accondiscendenza che malgrado la sorpresa e la delusione non potevo ne nascondergli né tanto meno negare a me stessa. Mi odiavo… in quel momento mi odiavo profondamente. Per non sapere… per non volere… dire no.
Aprì le mie gambe usando entrambe le mani e facendo leva sulle ginocchia le piegò fino a farle sfiorare i seni. Le tenne così, aperte ed immobili, mentre con la bocca tornava a cercare il mio sesso. Voltai la testa per non guardare, non volevo vedere quel suo modo di assaporare la mia pelle con tutti e cinque i sensi… quegli occhi pieni di luce, quasi estasiati dinnanzi ciò che tanto adoravano… i respiri lenti e profondi, come per bere l’essenza che emanava da quelle piccole e carnose labbra… il suo volto che le sfiorava, accarezzandole quasi… ed infine le sue labbra che si posavano sulle mie baciandole con dolcezza… ed il rumore sordo e sensuale della sua lingua che lenta si inabissava dentro me…
Continuavo a non voler sentire il corpo. Il viso orgogliosamente voltato, mi ostinavo a non concedere a me stessa il piacere che la sua bocca donava. E adesso cos’altro farà? Magari mi pagherà anche? Ma che razza di pervertito sta dimostrando di essere?! Come ho potuto essere così tanto stupida? Come?! Un rabbia improvvisa si impossessò di me. Puttana… lui mi baciava in modi che adoravo ed io riuscivo a pensare solo a quella stramaledetta parola: Puttana… La Mia Puttana.
La tua Puttana un corno! Ho promesso il silenzio e l’obbedienza, non avrai altro da me stasera. Non avrai altro da me mai più!!!
Fiera della mia decisione abbandonai ogni resistenza, se gli avessi tolto la soddisfazione di vedermi furiosa e ribelle si sarebbe stancato in fretta di quel suo giochino. E appena fossi stata libera…
Ma Roberto non si stancò. Sotto l’incessante assedio delle sue labbra fu il mio stesso corpo a tradirmi… e mi ritrovai costretta a  capitolare non solo di fronte a lui ma anche di fronte a me stessa. Fremevo al tocco di quella lingua che scavava, frugava, si insinuava dentro me… fremevo sotto quei denti che afferravano le piccole labbra, le tiravano, le mordevano… fremevo quando usava le sue mani per bagnare il clitoride del mio stesso piacere… Fremevo e non potevo negarlo. Sentivo il mio corpo inarcarsi, sentivo le mie braccia protrarsi verso di lui, le unghie ad arpionare le sue spalle, il desiderio ardente di poter liberare le gambe dalla sua stretta, per poter sollevare il bacino e poter essere io ad offrirgli il mio sesso… io ad offrire me stessa affinchè egli potesse usarmi e darmi piacere. E darsi piacere… Eccoti qui Elena, guardati. Guarda ciò che sei. Ascolta ciò che senti. Non sei dunque una Puttana? Non sei forse la Sua Puttana ora? Il tuo corpo chiede di lui… lui ti bacia e tu vuoi di più, vuoi il piacere intenso e senza fine, vuoi essere presa e posseduta… Vuoi essere scopata Elena, ammettilo! E’ questo che vuoi ora. I baci non ti bastano, tu vuoi essere scopata!
Io volevo essere scopata. Questa era la realtà. E non ero dunque una Puttana? E non ero infine la Sua Puttana?
Nell’attimo stesso in cui l’anima si abbandonava a questa nuova consapevolezza, la mente ribelle e battagliera sentiva di doverla rifiutare. La Sua Puttana… sua!!!... NO! Appartengo a me stessa, a me stessa soltanto. Non gli permetterò di prendermi così, di tenermi in suo potere così. Lui mi baciava, entrava in me con le dita, con la lingua… mi prendeva, disponeva di me mentre io combattevo una guerra silenziosa contro me stessa, divisa tra l’accettare ciò che l’anima sentiva e l’assecondare ciò che la ragione gridava.
Fu la ragione a prendere il sopravvento. In ciò che in quel momento mi parve di poter definire “un attimo di lucidità” allontanai il suo volto dal mio sesso con decisione, usando entrambe le mani: non volevo gridare quel piacere che stava arrivando forte e intenso, così intenso da farmi girare la testa e da togliermi il respiro. Sarebbe stato come dirgli sì, sarebbe stato come ammettere di essere La Sua Puttana.
Non puoi Elena, non puoi… è cedergli l’anima, non lo capisci?
Rimasi per un attimo con gli occhi chiusi, le mani sul capo nel vano tentativo di impedire alla stanza di girare. Quanto tempo era che non arrivavo al limite estremo così con un orgasmo?
Quando rientrai abbastanza in me per poter ragionare di nuovo mi ritrovai un paio di occhi verdi puntati addosso con uno sguardo interrogativo.
- Cos’è che fai fatto Elena? Erano mani che negavano quelle? -
La mia determinazione di un istante prima parve svanire in un soffio. La delusione che gli leggevo negli occhi era talmente grande che mi si spezzò il cuore. Ma come avevo potuto infrangere così la mia promessa? E per cosa poi, stupido orgoglio? Mi ci sentivo… Puttana… lo sapevo e ci combattevo contro ugualmente. E per cosa? Per non assecondare l’uomo che amavo? Per non voler appartenere all’uomo che amavo? Non appartenere all’uomo che amavo? Ero sua tanto quanto lui era mio o no? Lo ero. E dunque? Da chi fuggivo, da lui o da me stessa? La confusione era grande dentro me. Emozioni diverse e contrapposte lottavano senza sosta ed io non sapevo, non riuscivo, a comprendere cosa volessi realmente.
- Io… – e non sapevo e non so tuttora da dove mi uscirono quelle parole – io credo di… penso che… - un lungo respiro, un attimo di pausa, i suoi occhi dentro ai miei ed infine lo dissi, dissi ciò che sentivo dentro – io merito di essere punita perché non ho ubbidito ai tuoi voleri mio signore – ma che diavolo stai dicendo Elena, sei impazzita?
Per un attimo parve quasi sorpreso nell’udire quelle parole… e poi  una dolcezza infinita si impadronì dei suoi occhi – hai ragione mia piccola dolce Puttana – disse accarezzandomi il volto - meriti di essere punita –
Mi spogliò del bustino di pizzo e si chinò a baciare i miei seni con tenerezza. Si allontanò solo per un istante, solo il tempo di tornare con qualcosa di piccolo tra le mani.
- Queste faranno male – la voce ridotta a un roco sussurro nel mio orecchio – ma so che le sopporterai in silenzio perché è la punizione che tu stessa hai chiesto mia dolce Puttana -
Sentii un dolore lancinante al capezzolo destro, talmente forte da togliere il respiro. Non riuscii a non inarcare il corpo e né tanto meno a trattenere un acuto gemito. Riaprii gli occhi e guardai il mio seno: saldamente piantata sul mio capezzolo c’era una molletta. Una semplice, normalissima, comunissima molletta.
- Oggi saranno quattro, per i tuoi seni e per le tue piccole labbra Elena. Resterai immobile e sopporterai il dolore della punizione, così come hai chiesto di fare. Comprendi vero?  Comprendi al necessità di ricevere dolore per aver disubbidito a un comando? -
Comprendevo. Comprendevo la delusione che avevo letto nei suoi occhi e soprattutto comprendevo la meschinità con cui fino a quel momento avevo nascosto il mio Essere a me stessa. Accettavo quella punizione più per me stessa che per Roberto. Più per il fatto di non aver saputo riconoscere e accettare la mia natura di Puttana che per il desiderio di fare ammenda per aver disubbidito a un ordine. Volevo punire me stessa accettando l’umiliazione di lasciare che mi punissero.
Lo guardai mente posizionava la seconda molletta sull’altro capezzolo. Sussultai per il dolore, ma questa volta strinsi i denti e non permisi a un solo gemito di uscire dalle mie labbra.
Tremai come una foglia quando  posizionò le ultime due mollette sulle piccole labbra.
Restò a guardarmi per un tempo che mi parve infinito. Il suo sguardo correva dai quei seni torturati a quel sesso così innaturalmente aperto, forzato e l’approvazione che leggevo nei suoi occhi mi ripagava del dolore che sopportavo, di quelle mollettine tirate senza tregua dalle sue mani e dei piccoli morsi che afferravano la mia carne costringendomi a contorcermi come se fossi preda di una visione da incubo.
Chiusi gli occhi entrando in ascolto di me stessa: non sentivo più quella divisione che tanto mi aveva dilaniato momenti prima. Era come se mente e corpo fossero diventati un tutt’uno… ciò che il corpo sentiva come dolore, la mente lo percepiva invece come piacere intenso e profondo… un connubio di sensazioni capace di portare alla pazzia. Pazzia… era questo ci che sentivo? Mente e corpo insieme… il corpo completamente annullato dal dolore, la mente completamente annullata dal piacere… era come esistere e non esistere al tempo stesso, paradiso e inferno insieme.
- E’ il tuo dolore mia piccola Puttana – disse Roberto baciandomi le labbra – è il dolore che diventa piacere… è come impazzire vero? -
Una ad una mi tolse le mollette. Faceva male, faceva molto più male toglierle che riceverle. Eppure per un istante mi sentii persa senza le mie mollette …e da quando erano diventate mie?... era come se mi avesse tolto qualcosa di prezioso, una cosa appena conosciuta e già diventata irrinunciabile.
- Le riavrai mia dolce, le riavrai presto – promise.
Lasciando scorrere le mani sul mio corpo mi voltò prona e prese ad accarezzarmi la schiena. Dopo qualche istante sentii lo scatto di un accendino e un familiare odore di cera pervase la stanza.
Guardai Roberto senza capire… - Le mollette erano la punizione che avevi chiesto Elena, la punizione per il gesto che hai compiuto. La candela è per aver chiesto la punizione, perché hai usato la voce per farlo. Ricordi la tua promessa? Non un fiato… -
Era vero, avevo mancato non una bensì due volte e nemmeno me n’ero resa conto.
Gli occhi persi nella fiamma della candela avvertii un improvviso senso di terrore farsi strada dentro me, un’emozione nuova e difficile da spiegare. Non era paura dell’uso che Roberto avrebbe fatto della candela, perché dentro il cuore sentivo che mai mi avrebbe arrecato intenzionalmente un dolore insopportabile o peggio ancora permanente. Non era paura per il corpo. No, era paura per l’anima quella che sentivo. Nello spazio di un istante una nuova consapevolezza invase il mio essere, una consapevolezza talmente intensa da essere dilaniante: la prima punizione l’avevo chiesta, questa mi veniva imposta. Mi veniva imposta e io la stavo non solo accettando ma anche accogliendo. La naturale conseguenza di questo mio agire era unica, inequivocabile e irreversibile: abbandonavo il controllo di me stessa per cederlo a Roberto.
Adesso Elena, adesso si che gli stai davvero cedendo l’anima!
Ero davvero disposta a farlo?
La prima goccia cadde inesorabile sulla mia schiena ed io non mi mossi di una virgola da dove mi trovavo…
Sì, ero dunque disposta a cedere la mia anima a Roberto.
E lo accettavo, finalmente riuscivo ad accettarlo.
…E fu di nuovo come scendere negli abissi della mia anima…
Le calde gocce sembravano dilaniare la mia carne, cadevano piccole e veloci e ciascuna di esse avvolgeva il mio corpo col suo calore, lo scorticava, lo consumava…
Ed io scendevo e scendevo sempre più in profondità dentro me stessa… immagini di ricordi confusi riaffioravano da chissà dove seguendo il ritmo della cera che colava sul mio corpo.
Attendevo quelle gocce, attendevo quel desiderio di voler fuggire dinanzi al dolore e quella ferrea volontà di voler restare, di voler essere presente nell’attimo in cui esse mi avrebbero portato il dolore a cui agognavo. Volere… non volere…
Volere… non volere… era ciò che accadeva anche alla mente, desiderio di scendere più in profondità, di sentire ciò che il dolore portava, e la paura di guardare oltre. La paura di guardare oltre quel muro d’ombra che ciascuno ha nella sua mente.
Non andare oltre Elena, così ti spezzerai…
- Va tutto bene amore? Vuoi che smetta? – la voce di Roberto era davvero preoccupata…
 - No – dissi soltanto – continua fino a quando TU non deciderai di smettere, starò qui senza fuggire –
Ero come in trance…
Un’altra goccia e un’altra ancora… e dentro me il muro d’ombra era sempre più vicino. Cosa c’era dietro? Cos’avrei trovato dall’altra parte?
Un’altra goccia e un altro sussulto... e sentii spezzarsi qualcosa dentro, catene forse… e il muro d’ombra che avevo davanti agli occhi si dissolse nel vento.
Incapace di dare un nome a ciò che sentivo, incapace di comprendere ciò che era accaduto, scoppiai a piangere.
Faceva male, faceva più male delle mollette e della cera ed eppure era bello come volare. Era come avere le ali e ritrovarsi a volare.
Roberto spense la candela e si sdraiò accanto a me. Mi abbracciò con dolcezza e mi baciò il volto rigato dalle lacrime.
- Ora sei libera mia dolce anima, libera di vivere ciò che sei. E’ stato tanto terribile? -
La mia riposta fu una serie interminabile di singhiozzi. Permettendomi di abbandonarmi a lui Roberto aveva spezzato catene nell’anima di cui nemmeno ero a conoscenza. Accettare la mia vera natura ed aver avuto il coraggio di affidarmi a lui per incanalare le mie energie mi aveva portato il più grande dei doni: la Consapevolezza di ciò che io stessa ero.
Facemmo l’amore con lenta dolcezza, quasi a voler bere la pelle, a voler dissetare l’anima prima ancora del corpo. Era come ritrovarsi dopo secoli di lontananza, fu come conoscersi per la prima volta. Lasciai che usasse il mio corpo in ogni modo possibile, come mai avevo fatto prima… non mi risparmiai e non gli risparmiai nulla.
E lui parlava e parlava, riempiva l’amore di desideri e fantasie. Mi parlò di corde che attendevano di legare il mio corpo e di bende pronte a coprire i miei occhi… e di miele, dolce nettare che avrebbe gustato sul mio corpo.
E della Sua Puttana, la sua splendida Puttana che sola avrebbe saputo donargli un piacere infinito. La sua splendida Puttana che quel piacere avrebbe imparato a risvegliarlo ogni volta più forte e intenso… lo avrebbe alimentato col suo stesso piacere… lo avrebbe accolto e custodito dentro se stessa…
Gli appartenevo, ero sua nel corpo e nella mente. Legata alla sua anima  appartenevo al mio signore come una perla appartiene al mare. Non avevo più bisogno di lottare contro me stessa e non avevo più paura di scendere nelle profondità della mia anima: appartenendo a Roberto appartenevo a me stessa. E Roberto avrebbe avuto cura di me e della mia anima, sempre.
Le ore erano trascorse veloci ed era giunto il momento di uscire dal nostro regno incantato e di tornare alla vita di sempre. Ma sarebbe più stata la stessa? Mentre mi rivestivo Roberto tornò a baciarmi il collo, le mani a cercarmi ancora e ancora…
- Ah, la mia dolce splendida Puttana – mi disse sorridendo – che mi combini bambina? Neanche il tempo di finire e già vuoi ricominciare? Guarda qui come sei bagnata... di nuovo! -
Ridendo mi buttò nuovamente sul letto, mi cinse per le spalle e mi prese così, tenendomi stretta contro il suo corpo.
- Voglio saperti sempre così da oggi in poi Elena. La strada è lunga ma tu imparerai a percorrerla… ma oggi voglio sapere che sarai sempre così, sempre pronta ad esaudire i desideri e le voglie del tuo padrone, in qualsiasi momento. Lo farai per me? Lo farai mia dolce Puttana? -
Mentre accoglievo il suo piacere dentro il mio corpo, dalle mie labbra uscì quell’unica parola che per tutta la vita avevo disperatamente cercato: sì.

COLPISCIMI ANCORA



Colpiscimi ancora Amore mio
Non fermarti, sono qui,tutta tua,amore
Solo per te
Colpiscimi ancora,non sento dolore,
Consumiamo questa cena, la Nostra
senza dissipare un  solo attimo di ardore
Non fermarti,fallo ancora.
E se mi lamento,fallo con più vigore...
ah...si...così...non ti fermare...
se mi graffi non mi fai male...
e se mi mordi non è dispiacere...
metti le mani sul mio culo....Se ti piace sculacciare??
Quello che voglio è farti godere
Sarà una stronzata, o forse un vizio
Ma tu meraviglioso, almeno Tu...che mi ami
basta carezze... quelle le posso ricevere da chiunque.

SONO FILI DI MIELE



La tua presenza in un soffio di vento caldo. Dolce sapore ignoto. Lame di sole fra le fessure della persiana lambiscono il salone. Divampa il rossore sulle guance schive mentre sussurri lievi solleticano la mia fantasia. Rosso il divano dove scivola la mia pelle. Nuda. Lieve essenza di vaniglia. In una posa felina attendo. Te. Ti avvicini con un segreto fra le mani. E lì fra le tue mani si concentra la mia curiosità. La mia attesa. La mia voglia. Stenditi. Tieni gli occhi chiusi. Piccolo gatto orgoglioso disobbedisco per un attimo. Mi allungo verso te gattonando. Solo per morderti. Sul collo. Cattiva e languida. Aggressiva e morbida. Per poi assecondare le tue richieste. Col tuo sapore in bocca. Provocante e disarmata. Immobile davanti a te. Solo per te. Ti sento prendere in mano il tuo segreto. Usarlo lentamente su di me. Mi accarezzi la fronte scostando i capelli. Li porti in dietro col tuo palmo. Sento sul viso un liquido vischioso. Questa è la tua benda. L'istinto mi direbbe di scostare il capo. Eppure resto ferma mentre tranquillizzandomi sussurri ancora al mio orecchio. Dolci parole. Parole di... miele. Serro forte gli occhi. Mentre le ciglia restano intrappolate nella mia benda liquida. Raccogli il miele con la lingua. Dolce. Senza fretta. Lento. Sento la tua carezza umida sulle palpebre. Ed è una sensazione nuova. Sapida. Liberi le mie iridi da quella trappola di vischio perchè possa vederti. Osservarti ancora mentre versi altro miele sul mio seno. Calda sensazione. Il liquido ambrato avvolge avidamente il mio capezzolo mentre ingordo tenti di portarlo via con le labbra. Con la punta della lingua. Assapori il miele. Il mio seno. La mia pelle per te. Ingordo dei miei gemiti non smetti. Riponi il miele cercandone da me. Lo avverti con le dita blandire i petali del mio fiore. Stuzzichi il mio piacere. Solleticando le mie voglie. Assapori i miagolii che impregnano l'aria già densa di miele e di vaniglia. Raccogli con la lingua il mio piacere liquido. Ti lascio essere padrone del mio corpo. Lento e avido raccogli ogni goccia che stilla da me. Accarezzandomi. Respirandomi.
E sono su di te mentre mi entri dentro. Profondamente dentro. Scivolando nel mio intimo. Penetrando la mia anima. Godendo dei miei gemiti. Morbida mi chino su di te. Flessuosa. Languida. Timida ti bacio sulle labbra. Lento bacio. Bacio morbido. Profondo. Carico. Ti accarezzo. Cerco le tue mani per stringerle mentre mi prendi insaziabile. Indomabile. Frenetico. Vieni. Sento il tuo piacere liquido accompagnato da un lento sospiro. Mi accascio sfinita sul tuo petto. Mi scosto stendendomi affianco a te. Respiro. L’aria è intrisa di noi. Di miele. Sapori che si mescolano. Profumi che si fondono. Ci avvolgono.