Hanno condiviso le mie parole

venerdì 17 febbraio 2012

GIOCHI AUDACI



«Lei mi insegnerà ad avere fantasie?» chiese a Roland.
Questi scoppiò a ridere.
«Le fantasie sono dentro di te; non le hai ancora identificate. Sono sicuro che una grande parte della tua sensualità non è mai stata sollecitata».
«Lei la risveglierà?» chiese Jade, stringendoglisi teneramente contro.
«Puoi darmi del tu, sai?».
«Preferisco il 'lei'. La rende più misterioso, più lontano. Così ogni volta che mi tocca è come se fosse la prima».
«Be', questo giochetto, questo di darmi del lei, è una fantasia».
Dopo che fu servito il pasto la notte calò molto in fretta. Roland prese una rivista e Jade si alzò per andare alla toletta. Quando ne uscì l'uomo d'affari aspettava in piedi sul corridoio. Benché fosse corpulento e piuttosto calvo, la pelle compatta e liscia e la bocca carnosa gli conferivano un certo fascino. Jade gli sorrise.
«Va in Perù?», le chiese lui.
«No, mi fermo nel Costa Rica. E lei?».
«Sono peruviano, abito a Lima. Lei parla spagnolo?».
«No, solo inglese».
In quel momento l'hostess passò nel corridoio e Jade si premette più del dovuto contro il peruviano. Le parve di avvertire un'erezione. Ad un tratto le uscirono dalle labbra parole che non avrebbe mai creduto di potere rivolgere a uno sconosciuto.
«Hai voglia di me?».
L'uomo tese le braccia verso la sua vita e la palpeggiò nervosamente.
«Dillo se hai voglia», ripeté lei.
«Molta voglia».
Jade riaprì la porta che aveva appena chiuso e attirò il peruviano nella toeletta. Lui la abbracciò, le infilò la mano sotto il vestito e strappò gli slips di seta che caddero a terra; poi si aprì la patta e la penetrò.
Jade rimase immobile mentre il sesso le si muoveva dentro, e pensò a Ronald. Gli avrebbe detto del respiro ansante dello sconosciuto, delle gocce di sudore che gli colavano sul volto, del movimento sussultante dei suoi fianchi. Il desiderio dell'uomo che ora la stava possedendo avrebbe attizzato quello di Roland. Lo sconosciuto emise un grugnito da boscaiolo e godette. Si riallacciò i pantaloni senza dire una parola e se ne andò immediatamente.
Jade ritornò al suo posto, quasi più eccitata di quanto non lo fosse prima di darsi all'uomo d'affari. Roland, che stava ancora leggendo, le posò teneramente una mano sulla coscia. Lei la prese e se la fece scivolare fino sopra il clitoride turgido. Roland alzò gli occhi.
«Stiamo diventando molto impudichi», disse scherzosamente. « E dove mai Jade ha perso le sue mutandine?».
Jade gli porse il triangolino di seta lacerata, e gli indicò l'uomo d'affari che stava fissando risolutamente il sedile davanti a sé.
«Fai presto a imparare», commentò Roland.
Mentre lei gli raccontava la sua avventura, Roland le sollevò la gonna e scoprì il pube rasato. Jade sapeva che, nonostante l'aria distaccata, il peruviano vedeva tutto con la coda dell'occhio. Roland infilò l'indice nella fenditura ancora piena dello sperma dello sconosciuto, e gliela accarezzò delicatamente, sfiorandola appena. Jade si arcuò, restando in silenzio.
«Continua a parlare», le ordinò Roland, «dammi dei particolari. Come era il suo sesso?».
«Grosso e corto», balbettò Jade, premendo il bacino contro la mano di Roland. «Si muoveva appena dentro di me. Ha goduto quasi subito».
«E tu?».
«Io non ho goduto. Accarezzami più forte, per favore ».
I GIOCHI PIU' AUDACI di Emanuelle Arsan

PENSIERI BASTARDI


Le anime raccontano se stesse
e lo fanno sempre senza vergogna
perchè esse vivono senza pudore,
non lo conoscono e non lo cercano
ma quando si inizia a vestire l'anima di vergogna e di pregiudizi, allora l'hai già trasformata in corpo.

SILLABE





E sai perchè io sono orgogliosa di lui?
Perchè lui mi ama ed io appartengo a lui...
io sono la sua donna....
Tu sei la sua donna?
Si.... lo sono!
No dolcezza, tu non sei la sua donna,
sei semplicemente la sua slave, semplicemente la sua slave
tu non dividerai con lui i sentimenti,
ma solo il suo piacere e verrà da te quando lui vorrà e tu sarai ad aspettarlo,
non lo vedrai arrivare quando lo chiederai tu, ma quando lui ne avrà semplicemente il desiderio.
Non fare confusuone.
Tu non sei la sua donna.... una donna si ama,
una slave si possiede e basta.

martedì 14 febbraio 2012

PAROLE

                                                       foto FABIO FORAPAN    modella MIMI FRIDA KERMHAN

Mi piace sempre di più scoprire come sei. Accorgermi piano di come ti presenti a me, di come ti racconti. E sempre di più mi sembra così strano il nostro modo di affidarci e tramandarci i pensieri. Come se fossimo diari dell’altro, capaci di ospitare nelle proprie pagine gli umori, i pensieri, le intimità che a volte vogliamo tenere nascoste anche a noi stessi. Mi piace guidarti, spronarti, accoglierti nelle mie pagine, come se fosse un abbraccio sensuale e tenero, come se le mie parole potessero cullarti e darti sicurezza. Ho avuto il timore che tu fossi stanca di tutto ciò, con la repentina decisione di chiudere, prima che la macchia della confidenza possa allargarsi senza più contorni, senza più un suo limite. Potrei capirlo e sai che sono abituato a farlo. Abituato a veder fuggire le persone senza dover domandare un vero perché. Scelte, sono solo scelte, dettate dall’intimo, a volte dalla ragione, a volte dall’impulso, dalla personale sensibilità. Spiegarle non servirebbe. Non contano mai le cause, ma gli effetti di una situazione. Scoprire le cause può essere importante, ma non poter contrastare gli effetti è doloroso e ti getta a dosso una sorta di mistica impotenza. Sai bene che non chiederei i perché. Sai bene che non mi opporrei. Basterebbe che tu dica: “basta così, mio dolce amico. E’ giunto il tempo di salutarci!”. Comprenderei benissimo i motivi, li accetterei, perché credo che tutto questo è insito in questa nostra storia. Sai che a volta mi chiedo cosa sia tutto questo? Amicizia? Sensualità, erotismo? Voglia di conoscere l’altro e se stessi? Desiderio? Non lo so. Ogni volta che ci provo a chiederlo a me stesso mi accorgo che dovrei aggiungere un nuovo tassello a questa corrispondenza. E’ innegabile che il desideri verso di te sia forte. Non ho una tua voto, nemmeno una tua descrizione sommaria, tanto per poter immaginare. Ma so le tue emozioni, rivivo il tuo piacere, come sai donarlo, come sai gustarlo, come desideri impossessarti del tuo piacere. Non ho mai visto il colore dei tuoi occhi, ed eppure immagino come siano nel pianto, non mi hai mai detto del colore dei tuoi capelli, ed eppure mi basta chiudere gli occhi per sentirli frusciare sottili tra le mie dita. Particolari del tuo corpo che riesco a conoscere solo leggendo le tue parole, immaginando la tua pelle, la sua reazione alle carezze ed ai baci, al fremito che può dipingerla. Mi chiedo: serve conoscerla? Serve sapere quali sono i suoi pensieri ora? No, non serve. Lo straordinario tra noi è questo. Conoscersi così profondamente senza mai essersi sentiti, senza mai essersi visti ed eppure ci accorgiamo di esserci raccontati emozioni intime che forse nemmeno a noi stessi siamo capaci di confidare in maniera così genuina e prepotente.
Tu hai paura di me, come io ho paura di te. Tu hai paura di quello che potrebbe accadere se solo allentassimo appena di un po’ i freni in questa discesa pericolosa. Lo so bene anche io che sarebbe poi difficile sfuggire a te, se solo concedessi di più alla mia fantasia. E’ bello sentirti, sentirti viva, sentirti fremere per un’emozione, vedertela addosso, amo la confidenza intima alla quale non vuoi rinunciare. Lo sai sarebbe facile esagerare, dirti come sarebbe sensuale poterti avere, sentire come tu ti doneresti a me. Sarebbe facile, fin troppo facile. Tu stessa sai come accadrebbe, la sensualità che sprigionerebbe dalle nostre bocche, come faremmo a gara per provocare il piacere nell’altro, felici di vederglielo appiccicato addosso. Senza respiro, senza riposo. Come i nostri corpi trasuderebbe il piacere, dolce come miele, che stordirebbe i sensi e la passione, per attenuarla una volta consumata e riaccenderla subito dopo, senza dare tempo al cuore ed alla mente di potersi riprendere. Potremmo parlarne per ore e potremmo scoprire che l’eccitazione cresce smisurata nel solo desiderarlo. Non puoi immaginare quante volte ho desiderato la tua pelle, la tua bocca, le tue labbra da sposare con le mie, sapere la fattezza del tuo seno per poterlo osservare come si farebbe estasiati davanti ad un’opera d’arte. E dire che è splendido mentre mi sfida a chiedere il piacere. Lo immagino, lo vivo, quel momento. Ho immaginato mille volte come tu chiederesti di sentire il mio piacere che sale dentro di te fino a scoppiare nel tuo ventre, fino a vederti cibare avida ed appassionata di quel piacere. Dirti mille volte sarebbe poco, sarebbe troppo poco. Ma forse il bello del desiderio è proprio sognarlo, bramarlo e non poterlo avere, come se le cose che immagino con te possa un giorno tramutarle e viverle con altre persone, come se attraverso di te io possa capire ed ascoltare il piacere. Ascoltare il piacere di una donna. Guardarla nel suo piacere ed innamorarsi di quello che affiora nei suoi occhi, sul suo viso. Leggere la passione, la felicità, l’appagamento di quello che è stato il donare un sogno. So che ami quanto me il desiderio, so che sai spingerti fino al limite più lontano e saper aspettare. Il piacere è questo: sapere che esiste, tentarlo e potervi rinunciare. Come nel fare l’amore. Provocarlo in una donna e trattenerlo, come per renderlo ancora più grande, come per dilatarlo in una dimensione senza fine. Renderlo per lei unico, sentirla gridare nel piacere, sentire come invocherebbe dalle tue mani il piacere, come sarebbe piacevole accarezzarlo, impossessarsi di lui, fremere senza fine in quel momento in cui poi ti sarà concesso. E sentire il ventre che sembra scoppiare, crescere di desiderio, il sesso che si tende in ogni suo centimetro, come per chiedere esso stesso la fine di quel piacevole tormento. Svuotarsi di colpo, graffiare il piacere, tuffarsi dentro di lui come se fosse il mare dell’oblio. Ho immaginato mille volte tutto questo ed ho sperato che dall’altra parte l’eccitazione causata dalle mie parole fosse così grande da scatenare la fantasia. Da essere lievito per mille altre fantasie, collante per il proprio piacere, simbiosi per la propria emozione. 
Non ti lascerò mai ad abbandonarti da sola, ma sai bene che stai camminando, che stiamo camminando sul filo di un rasoio. E’ bello e pericoloso, ma adoro farlo con te. Sai cosa mi manca più di tutto? Il tuo piacere. Sentirlo, sapere che sono riuscito a donartelo. Sapere che riesci a raggiungerlo solo con il pensiero, che diventa di carne quando immagini le mie parole, quando vai a ricercarle, a leggerle. Ed immagino la tua eccitazione, così come sento carica di desiderio la mia. Poter leggere un giorno le parole che sto desiderando: ho trovato il mio piacere attraverso di te. Da pazzi vero? Sì, da pazzi, ma non posso chiedere nulla di più alla sorte, alla mia curiosità, al mio desiderio. 
Parole che chiamano parole, eccitazione che chiama eccitazione, piacere che chiama piacere. Una catena senza fine che tu stai inanellando insieme a me. 
Sto cercando di rimettere insieme i pezzi di una storia che sta passando. Lei sta tornando piano a cercarmi. Non capisco il perché e non voglio nemmeno chiederlo ai miei pensieri. Lascio aperta la porta ed aspetto. Con lei ho sempre lasciato una porta aperta per farla fuggire. Majka lo diceva spesso: sei straordinario perché mi dai sempre il modo di poter fuggire, di lasciare tutto. Non mi costringi mai, mi guidi a farlo e fai sempre bene attenzione perché vi sia una via di fuga. Ora la porta aperta non è per fuggire ma per rientrare. Ci siamo sentiti appena ieri. L’ho sentita diversa, più tranquilla, meno presa dai suoi mille problemi. 
Sei raffreddata? Si sente che non stai bene?…. Oh non è nulla, ma spero che mi venga presto l’influenza così potrò stare a casa, riposo assoluto, senza che nessuno mi cerchi, mi chiami, senza fare nulla. Solo dormire e stare da sola. 
Una sorta di gioco. Conosco fin troppo bene Majka per capire cosa ha da dirmi. 
Vorrei solo che ci sia qualcuno a prendersi cura di me, mentre sono malata. Che pensi a tutto. Il pranzo, la cena, rassettare, cucinare, stirare. Io che sono malata e lui che fa questo per me. Lui, non lei. Un lui non una lei. 
Per me è stato naturale dirle che lo avrei voluto fare. Che avrei avuto il desiderio di prendermi cura di lei. Le ho chiesto di lasciarmelo fare e ne è nata un dialogo che sembrava frutto del rapporto tra padre e figlia, ma che in realtà nascondeva il sentimento amore, quello che tutti noi vorremmo riconoscere negli occhi dell’altro. 
Minestrina…. Sì, la voglio. 
Con le stelline….. Sì con le stelline ed il brodo leggero. 
E poi il Formaggino "Mio"….. sì. Sì. Intero però, da mangiare un pezzettino per volta. 
E poi per secondo ti preparerei il prosciutto avvolto piano piano nei grissini… sì il prosciutto, cotto, girato piano nel grissino.
E la mela per finire…. Mi piacerebbe fartela grattugiata, come si fa per i bambini. Sì, che bello anche la mela cotta, sì la voglio. 
E poi, siccome sei stata brava, anche un pezzettino di cioccolato….. Sì, anche il cioccolato. 
Majka sembrava una bambina. Viziata come te. 
(a proposito mi piacciono le bambine viziate…. anche se per onore maschilista le preferisco più viziose che viziate…. ehehehehe). 
La sua voce era rilassata, calma, serena. E’ stato un attimo: appena il tempo di sentire la sua debolezza e dirle che io la aspetterò, che voglio aspettarla. Puoi immaginare le parole che ne sono seguite da parte mia. Amo le parole ed amo i significati che racchiudono. Poi ho sentito lei piangere. Un pianto silenzioso ma comprensibile all’orecchio di chi sa ascoltare. Ho lasciato che Majka si sfogasse. Ho lasciato che si cullasse con la mia voce e che svuotasse le sue pene, i dolori che non ammette e che non vuole confessare. 
A volte rinunciamo alle cose, anche a quelle più belle per vigliaccheria, a volte per estremo atto di coraggio. Forse consapevoli di soffrire oggi ma di non morirci dal dolore poi appena domani. Capita. Capita rinunciare per scelta, per volontà misurata e soppesata. 
So che difficilmente Majka rientrerà da quella porta che io ho lasciata aperta. Forse ella stessa sta chiedendosi quanto io saprò resistere nel pensarla e nell’accettarla con il pensiero. Poi, lo sa, arriverà un uragano, magari una semplice folata di vento che mi porterà via ed allora resteranno solo i ricordi, prima vivi, accesi, forti e poi sbiaditi…. Allora saremo guariti entrambi. 
Vedi, parlo della mia storia ed ogni tanto mi affaccio nella tua. Sono felice che con Antonio possa andare così bene. E sono felice che segui i miei consigli. No, non chiamiamoli consigli. In un certo senso non possiamo dire che siano consigli. I consigli si seguono mal volentieri e sono quasi sempre antipatici, perché chi li propone lo fa con una sorta di autorità che non ammette l’essere discussa. Diciamo che è un po’ raccontare da uomo, ciò che un uomo spesso sente e pensa. Mettiamola così, più accettabile. Non pensare mai che la storia debba. Se vogliamo avere non possiamo mai dirci debbo. Tu hai Antonio. Lo senti, senti la sua voce. Sai quanto è grande il suo desiderio, come sa provocare il piacere la sua voce, come riesce a farti fremere. Cosa è un giorno di fronte ad una vita? Una minuscola parte del tutto. Tu accontenti di un giorno e vorresti rinunciare a tutta la vita? E’ doloroso dover rinunciare. Ricordi cosa dicevo prima. A volte si rinuncia per vigliaccheria, a volte per coraggio. Nell’uno o nell’altro caso, il risultato non cambia. Si fugge comunque. Non lasciarlo fuggire, non metterlo mai di fronte ad una scelta. Sarebbe banale e nemmeno una ragazzina viziata sarebbe felice di questo. Lascia che sia lui a fondersi in te, lascia che il suo essere si trasformi piano, lascia che egli stesso si modelli e si plasmi su di te. Non metterti mai in antitesi con lei. I ricordi, i legami di sangue sono troppo profondi per poterli scalzare in un solo colpo. Vero, tu potresti dirmi: e se tra due anni saremmo sempre a questo punto? Cosa dovrei dire allora. Non cambierebbe nulla. Non le cause ma l’effetto. E’ vero il dolore sarebbe più forte, insopportabile e malediresti mille volte il giorno che tu hai evitato di metterlo spalle al muro e dire: scegli, o lei o me! Ma in amore il soffrire è nel gioco delle parti. Quattro le possibilità: o soffro io, o soffri tu, o soffriamo insieme… oppure non soffre nessuno. Sembra un giochetto per ragazzi, no. Ma purtroppo è così. Sdrammatizza sempre, sii sempre pronta ad accoglierlo con passione e con amore tra le tue braccia. Lo so, te lo sei chiesta spesso. E se fosse solo passione? Se fosse solo stradesiderio? Cambierebbe qualcosa nel tuo modo di amare? Nulla. Quando amiamo, e su questo lo sai che siamo molto simili, lo facciamo con tutto noi stessi. Non amiamo ammezzati, risicando il sentimento. L’importante è amare, se poi non dovessimo essere corrisposti, sai benissimo che saremmo pronti a soffrire e vivere di ricordi, ricordi gelosi da tenerci stretti. Vivila la tua storia, con coraggio e lascia sempre una via di uscita. Non è la costrizione che incatena, ma la libertà. E' la libertà che ti rende schiavo di una persona. 
Sei adorabile Giulia e le tue lettere sono sempre piacevoli, intriganti, sensuali. Profumi di piacere e di erotismo. Non cambiare, almeno tu, se puoi. Il destino, dice il detto, l’uomo se lo costruisce con le proprie mani. Ma è pur vero che il destino stesso è abile giocatore e sa vedere dove mettere mano e quando aggiungere. Che il mio piacere possa accompagnarti sempre, Giulia.

SILLABE


non cercavo un abbraccio fatto di carne ma il calore di un anima che sapesse ascoltare la mia...non cercavo labbra avvenenti ma occhi che sapessero leggere i miei silenzi...non cercavo un corpo goloso ma un respiro che avesse il mio stesso ritmo...non cercavo un cuore ma un universo dove ritrovare il mio

PIOGGIA


Ore 8.30, fermata 15. Oggi voglio che sia la mia giornata, mi prendo un giorno tutto per me, ne ho bisogno visto le vicissitudini dei giorni precedenti, mi faccio un giro in centro sola e mi dedico al nulla. Fermata piena di gente, comincia a fare freddo, l’inverno è proprio arrivato, sono uscita senza ombrello chissà se pioverà. Ecco, perfetto, temporale in arrivo e pioggia a dirotto, all’improvviso un tuono squarcia il cielo e scende l’acquazzone. Da manuale, tutti a correre sotto le pensiline, cerco di ripararmi anch’io anche se mi piace la pioggia che scende e i temporali mi elettrizzano. Sorrido tra me e me.. forse anzi palesemente , qualcuno mi guarda e chissà che sta pensando. Arrivato, si sale, è già pieno , mi metto al centro al grande finestrino, mi piace guardare fuori, mi sento euforica, elettrizzata, sarà il temporale? Fermata 21 , ad ogni sosta guardo chi sale e chi scende sono una curiosa impenitente ma ora forse più per riflesso condizionato che altro, sto per immergermi nei miei pensieri quando qualcuno attrae irrimediabilmente la mia attenzione. E di chi sono questi profondi occhi neri che mi stanno venendo incontro? Non riesco a smettere di guardare quell’uomo un po’ fuoriposto con il suo cappotto elegante e lo stile di altri tempi che avanza alla ricerca di un vitale spazio. Mi guarda, forse si sentiva osservato, elettricità nell’aria.. se continua a guardarmi così … Abbasso lo sguardo,credo di essere persino arrossita, l’ipotesi mi imbarazza ulteriormente, rialzo lo sguardo un attimo e un sorriso sornione si affaccia su quella meraviglia, sta forse godendo del mio imbarazzo? Strano però, in genere sostengo gli sguardi tranquillamente, beh più che guardarti però lui sembra sprofondarti dentro. Cerco di distrarmi ma non riesco a non chiedermi chissà com’è il profumo della sua pelle, quasi ,quasi mi avvicino e lo annuso, mi viene da ridere, mi stringo nel cappotto e guardo fuori. Piove… Ok tentativo inutile per non pensarci, neanche non avessi mai visto un uomo prima, certo che lui ne sembra l’essenza, uhm chissà che sapore ha. Alzo gli occhi lo cerco , dov’è finito, non sarà mica sceso?Sto per mordermi le labbra con un pizzico di dispiacere quando sento una presenza dietro di me, è lui lo sento.. oddio lo sento, magari.. mi volto lentamente… E’ lui.. e mi guarda con quegli occhi così profondi che sembra dirmi ..lo so ..lo so che sei già mia. Che impertinente, mi volto con disappunto ma chi si crede di essere ? Beh forse quello che è. Ma sì, pensiamo ad altro. E’ si, comincia proprio a fare freddo, sono vestita troppo leggera ho le gambe congelate stamattina il vento sembrava entrarmi da sotto la gonna per sferzare sulla mia pelle e nuda e poi questo perizoma è troppo piccolo ma mi piace così tanto.. Ah come vorrei essere in un posto caldo, vediamo, dove? Al mare? In un caldo chalet di montagna? Una bella sala da the? Un qualsiasi posto con questo splendido esemplare di maschio che sta cominciando a strisciarsi contro di me? Contro di me? Oddio e ora che faccio?mi sposto, ci sto, mi giro, gli dico no.. devo essere pazza non l’ho mai visto prima. Arretro lentamente e mi premo contro di lui. Inebriante il suo profumo, sento il suo fiato caldo sul collo, ma questo cavolo d’autobus non frena mai bruscamente? Non serve, mi sfiora la mano, contatto di pelle.. mi viene un brivido. Mi accarezza i capelli, li lascia mi prende il mento costringendomi a guardarlo e con quegli occhi micidiali mi dice di seguirlo. ‘Vieni’ Solo una parola, con un potere devastante dentro di me, ho i brividi sento di non riuscire a sottrarmi sarà un fachiro? Non importa, sono inspiegabilmente eccitata, impaurita stordita dal suo profumo. Mi prende per mano mi tira dietro di sé e scendiamo alla prima fermata. Piove, siamo senza ombrello ma io non sento nulla se non questo calore che sento infiammarmi il corpo, non una parola sono i passi sulla strada. Devo essermi bevuta il cervello, seguire un uomo che non conosco e chissà dove mi sta portando, se fosse uno psicopatico?no, sarei pazza se non lo seguissi, se non accondiscendessi a questo primordiale istinto e non seguissi il suo odore. Si ferma all’improvviso davanti ad un portone, cerca le chiavi, non una parola, io sono ferma, immobile, fissa su di lui come non esiste altro, un minuto e siamo dentro. 
Non una parola, mi prende per mano mi porta attraverso un lungo corridoio, pochi scalini, un’altra porta, rumore di chiavi ,il cuore mi scoppia, la chiave entra, gira la serratura la porta si apre, noi siamo dentro. Luce soffusa non un attimo per rendermi conto di nulla, mi preme contro il muro, le sue mani sono dappertutto la sua lingua ovunque, non ragiono più lo voglio, voglio essere sua. Ora. Si ferma di colpo si allontana un po’, comincia spogliarsi e mi guarda. Faccio per avvicinarmi, mi allontana, faccio per parlare, mi zittisce con un bacio.. lungo, languido, bagnato. Vorrei premermi contro di lui vorrei leccarlo, vorrei succhiarlo, vorrei assaggiarlo. Mi allontana. Sono confusa non capisco, lo guardo interrogativo, un passo deciso e sono nuovamente contro la parete. Mi blocca i polsi in alto comincia a leccarmi il collo , piccoli morsi, mi farà morire così, faccio per muovermi non me lo permette lo lascio fare come avvolta da fili invisibili rimango completamente immobile. Si scosta un istante mi slaccia il cappotto, le sue mani sulle mie gambe, mi accarezza il bordo dell’autoreggente, brividi.. si ferma, lo tira, lo lascia, corre sul perizoma meno di un sec e sono nuda. Si scosta e mi guarda. Sono imbarazzata eccitata, si avvicina .. ‘non muoverti’ mi dice. Si inginocchia tre le mie gambe sento le sue dita allargarmi e la sua lingua voracemente si nutrirsi di me. No, non mi sta leccando, mi sta divorando, prende tra i denti il mio clitoride che sembra impazzire e lo stringe, sussulto, mi sta facendo male, resto immobile e lui pure con il mio mondo tra i denti. Tremo. Lo lascia, comincia a succhiarlo e leccarlo lentamente, le sue dita si insinuano dentro di me, una due, tre, sempre più forte, sempre più in fondo, vorrei urlargli di prendermi ma non posso neppure muovermi. Vibro. Si ferma di colpo si scosta. Adesso lo ammazzerei. Ho voglia di succhiarglielo, mi avvicino, mi allontana, una, due volte, ma che fa? ’Ti prego.’ sento le parole uscire da me come non mi appartengano sono solo eccitata non sento altro. ‘No ‘ secco il suo rifiuto Mi viene quasi da piangere non capisco. Abbasso gli occhi, un istante, si avvicina lentamente mi sfiora le labbra con un dito mi bacia profondamente, la sua lingua mi penetra e mi invade golosa. Riconosco i miei umori, la mia eccitazione e questo mi stordisce ancora di più. Vestito, non mi permette neppure di avvicinarmi, perché? Lo voglio. Si ferma mi guarda, mi gira velocemente, le sue mani sulle mie contro la parte, si striscia a me, sento il suo turgore, neppure il tempo di respirare, sento le sue mani sulla mia carne, entrano ovunque, gemo, mi striscio contro di lui come una gatta in calore, mi sta facendo morire. Si ferma, una pausa lenta un eternità e lo sento entrare profondamente nelle mie viscere. Non capisco più nulla, è l’apoteosi, si muove velocemente dentro di me, si ferma, rallenta, riprende dolcemente, e spinge, spinge sempre di più, sto per urlare, per gridargli contro il mio piacere, lo sento gemere sento le sue contrazioni, sto per godere, mi escono parole senza senso, gemiti, parole soffocate e godo.. tremendamente, mentre lo sento riempirmi e premersi ancora di più dentro di me. Gode.. il suo corpo freme il suo respiro soffocato si fa più forte i suoi gemiti sono urla, gode.. e si accascia contro di me. Rimaniamo così, incapaci di pensare, parlare, interrompere. Lo sento scivolare giù da me, si scosta ,mi accarezza, si ricompone. Sono ancora stordita. Mi rivesto, lo guardo, mi bacia dolcemente. I nostri occhi si fondono.. Grazie mi dice.. grazie gli dico… Un sorriso e sono fuori da quella porta, fuori da quel paradiso. Sento una profonda gratitudine per …per…?!…?!? Ma come si chiama ? non gliel’ho neppure chiesto. Non importa, i suoi occhi rimarranno scolpiti nella mia mente più di mille lettere a dar coro a mille parole. 
Justine, agosto 2005

SILLABE


A volte vorrei essere nella tua mente quando mi pensi, quando capisci che sono pronta ad accoglierti, quando pensi che mi accarezzo con la morbidezza delle parole, quando immagini quanto mi possa scuotere l'irriverenza dei tuoi desideri , quando sai che entri nel profondo togliendomi il fiato con un infinito e violento atto d’amore, quando mi guardi inondarmi del tuo piacere che sai volere tutto per me, quando voglio che tu mi rapisca anima e corpo senza una fine possibile.…

foto FABIO FORAPAN  modella MIMI FRIDA KERMHAN

domenica 12 febbraio 2012

SMS



Il cellulare mi ha avvisato illuminandosi dell'arrivo di un sms. E' il suo numero. Lo riconosco.
"Ti voglio senza mutandine. Metti la gonna". E' un ordine perentorio. Ed io mi sento già umida. Rifletto qualche momento se soddisfarlo oppure sfidarlo per ottenere una piacevole punizione. Ma l'idea mi piace e decido di ubbidire. Metto quindi una gonna non troppo corta ma che dietro ha uno spacco piuttosto alto e non infilo le mutandine. Prendo l'autobus per raggiungere il luogo dell'incontro, come ogni volta. E' pieno di gente a quest'ora e siamo tutti pressati. Mi infastidisce un po' tutta questa gente intorno, ma tutto sommato non ci faccio caso, poichè i miei pensieri sono concentrati nel cercare di indovinare il motivo del suo ordine.
Ad un tratto sento una mano sui miei glutei. Non li sfiora appena, li afferra a palmo pieno premendo leggermente. Arrossisco violentemente, ma non ho il coraggio di reagire. Come faccio adesso?
Afferra i miei fianchi e li stringe con forza facendo premere il mio culo contro il suo bacino. Sento la sua poderosa erezione premermi contro le natiche. Ora non ho più paura. Sono eccitata.
Mi ritrovo ad assecondare il dondolio dell'autobus sfregandomi contro di lui. 
Mi sussurra in un orecchio: "Lo vedi che sei una lurida troia?"... 
Avvampo. E sento le mie cosce bagnarsi...
La sua mano si insinua nel mio spacco, la sento risalire lungo l'interno della gamba, fino a solleticarmi le labbra con la nocca del pollice.
Socchiudo gli occhi e mi mordo il labbro. 
E' pieno di gente intorno. Non posso farmi notare e non voglio che lui smetta. 
"Senti quanto è bagnata la tua figa, Alice, lo senti?". Faccio un impercettibile segno di assenso con la testa. E' un sussurro, eppure temo che qualcuno intorno stia ascoltando. Oppure ne sono eccitata. Comunque sia non mi ribello.
Lo soddisfa questa mia sottomissione, il mio essere soggiogata al suo volere.
La sua mano si è ormai fatta strada e sento le sue dita insinuarsi dentro di me con facilità. Quasi scivolandovi dentro. I miei muscoli si contraggono di piacere intorno alla sua mano.
Un dito si muove a titillare il mio clitoride, mentre le altre si muovono in modo non simultaneo dentro di me. Mi sento mancare e mi appoggio con la schiena contro di lui per non cadere.
Il movimento della sua mano si fa più costante. Sono sopraffatta dal piacere eppure non posso lasciarmi andare. Tutto questo mi frustra e mi eccita contemporaneamente. Lui è cosciente del mio piacere che aumenta al suo tocco. "Godi per me, puttana, godi per me...".
I muscoli della mia vagina si contraggono ritmici contro le sue dita, il mio corpo è scosso da un orgasmo che cerco invano di contenere. 
Sfila con delicatezza la mano dall'interno delle mie gambe e mi abbraccia a sostenermi. Appoggio morbidamente la testa alla sua spalla. "Brava, Alice, brava...".
So che è soddisfatto, per ora, ma non tarderà di esigere il suo piacere. 
"Scendi alla prossima fermata" mi ordina. E' fatto così. Dalla dolcezza agli ordini risoluti. Dalla tenerezza alla durezza. Sa che mi eccita e mi esalta. 
L'autobus ferma la sua corsa e, all'apertura delle porte, scendo dal mezzo. 
"Ora seguimi".
Faccio segno di sì con la testa e lo seguo incuriosita. Non conosco questa zona della città. 
Attraversa un cancello che delimita l'ingresso di un parco pubblico e non si ferma. Non si volta nemmeno a controllare che io gli sia dietro, non so dire se perché sappia riconoscere il rumore dei miei passi o perché è totalmente sicuro della mia devozione. 
Prende un sentiero a passo deciso e si addentra più in fondo al parco. La gente intorno è sempre meno. Il rumore sempre più lontano. Come se non fossimo più parte della città.
Rallenta, si guarda intorno e poi mi afferra per il polso. "Vieni!".
Mi trascina dietro una siepe dove c'è un piccolo manto erboso poco esposto a sguardi indiscreti.
Mi guarda negli occhi. "Ti voglio. Qui. Adesso." 
Mi sento sciogliere per il calore delle sue parole.
Mi afferra i capelli, li spinge contro la nuca e preme la sua bocca sulla mia. Adoro quando mi bacia. La sua lingua sa portarmi in estasi. Premo tutto il mio corpo contro il suo, voglio che senta quanto lo desidero. Appoggio la mia mano sulla patta dei jeans e sento il suo cazzo duro sotto le mie dita. 
Emetto un gemito di piacere e lo massaggio attraverso la stoffa. Sento il suo corpo reagire alle mie carezze e questo mi dona un esaltante senso di potere.
Slaccio i pantaloni e con trepidazione li abbasso insieme ai suoi boxer inginocchiandomi di fronte a lui. Il suo cazzo è sollevato ad angolo retto di fronte al mio viso. Lo guardo maliziosa mentre, accompagnandola con la mano, accolgo la cappella fra le mie labbra. 
Lui socchiude gli occhi per godersi la sensazione. Io disegno spirali con la lingua.
Le mie mani accarezzano l'asta e le palle, mentre la lingua gioca con la punta del suo cazzo. 
Afferra la mia testa con le mani e accompagna il mio movimento ritmico. "Succhia, Dolcezza, succhia...." .
La mia mano destra continua a muoversi a cadenze regolari sul suo uccello, mentre la mia lingua scende a stuzzicare i testicoli. Li lecco, li succhio soddisfatta dai suoni di piacere che lo sento emettere.
"Ora basta, Alice, non essere ingorda. Voglio scoparti!". Sorrido provocante. 
Lui si inginocchia, mi sfila la maglia e comincia a toccarmi attraverso il reggiseno. Estrae i seni dalle coppe e strizza leggermente i capezzoli fra le dita. Poi, sostenendoli, li solleva verso la sua bocca sussurrando "Le tue tette mi fanno impazzire..." per poi cominciare a succhiarne famelico i capezzoli a turno. Con le mani accarezzo i suoi capelli mentre rovescio la testa indietro per far sporgere ancora di più i seni verso la sua bocca.
La voluttà della sua lingua sulle mie tette mi fa impazzire ma lui interrompe nuovamente il gioco per farmi adagiare supina sul prato. Mi solleva la gonna sui fianchi senza fatica, poi mi allarga le ginocchia piuttosto rude. Sono completamente esposta al suo sguardo. Lui fa un ghigno di potere, poi affonda il suo volto fra le mie cosce. Mi sfugge un gridolino di sorpresa. La sua lingua dischiude le mie labbra senza difficoltà, poi sale un po' a giocare con il mio clitoride gonfio di desiderio. Lo succhia e lo mordicchia piano. Poi scende nuovamente a penetrarmi con la sua lingua. "Sei buona, tesoro... squisita..." e nasconde nuovamente il volto tra le mie gambe. I miei umori sono sul suo volto ed io mugolo di godimento.
Tutto ad un tratto si solleva e appoggia le mie caviglie sulle sue spalle per poi affondare il suo cazzo completamente dentro di me, in un solo colpo deciso.
Ride un po' della mia espressione sorpresa, poi il suo volto torna a farsi famelico. Comincia a muovere il bacino con forza, sbattendo il suo inguine contro il mio. La mia figa umida permette al suo cazzo di muoversi agevolmente dentro e fuori, dentro e fuori...
Sento l'orgasmo montare e spingo il bacino per rendere la penetrazione più profonda poi, facendole scivolare dalle sue spalle, gli cingo i fianchi con le mie gambe. 
Afferro le sue spalle, puntellando le dita con le unghie nella sua pelle. "Così, ti prego, così..."...
Il mio orgasmo arriva pochi attimi prima del suo, i nostri corpi si muovono egoisti e generosi per prolungare il piacere, vogliosi di mischiare i nostri umori come in un loro esclusivo e nuovo amplesso....
francy la strega, 2006

VERRA' UNO SCONOSCIUTO

"Signorina" dice una voce dietro di me. "Permettete una parola?" Mi volto, e scopro che alla voce gradevole posso associare un volto che lo è altrettanto, ed un corpo ben vestito. Indossa un completo che, intuisco dalle rifiniture e dal pregio del taglio tanto perfetto da modellarsi sulla sua figura senza una grinza men che utile, dev'essere di sartoria: è grigio, leggero, adatto alla giornata di mezza primavera, ed è indossato su una camicia d'un colore che dal celeste pallido vira al lavanda, e completato da un paio di elegantissime scarpe di pelle vegetale.
"Ma certo" rispondo sfilandomi i guanti di cotone leggero che uso per guidare. Forse fraintendendo il mio gesto, egli si china e, prendendomi una mano fra le sue, finge di carezzare con le labbra, in un baciamano perfetto, il dorso del mio palmo. Noto che, mentre rialza la schiena, mi sottopone ad un discretissimo esame, e ne sorrido. Vorrei fare una piroetta, tanto mi sento a mio agio con addosso i miei abiti preferiti: una giacca color corda, di lino, con deliziosi bottoni di legno; una camicia bianca sulla quale ho annodato un foulard leggerissimo, donatomi dal mio più caro amico, d'un beige rosato che illumina - se non sono io che m'illudo - l'incarnato del mio volto, ed una gonna dalle migliaia di piegoline che al minimo soffio di vento si alza, allegra, in uno sbuffo d'un rosa tenerissimo. Le mie scarpe, con tacchi di pochi centimetri sono color camoscio, e sono in morbidissima vipla. Siamo vicini alla mia automobile, e per un breve momento, immagino di dover costituire un'immagine bizzarra così vestita, accanto ad una macchina che svela senza pudori la sua età. Imbarazzata, comincio a giustificarmi: " Adoro quest'auto. Ha molti anni, e lo si vede, ma in nessuna auto di tipo moderno ho mai trovato tanta cura del dettaglio, tanta…" Annaspo, completamente a corto di argomentazioni, e l'unica cosa che mi viene in mente é il rivenditore, un signore dall'aria buffa e florida, che nel venderla aveva sentenziato: "La compri pure. Ma non penso che troverà il coraggio di portarla in giro." C'ero riuscita, invece. Animata dal mio macabro, e per i più incomprensibile, umorismo, avevo anche cercato, per diverso tempo, una cuffietta da indossare come casco, ed un paio di occhialoni da automobilista dei primi del secolo: e sebbene fossi riuscita a trovare questi ultimi, ai quali un ottico gentilissimo e perplesso aveva sostituito le lenti, non avevo mai trovato una cuffietta che non fosse in cuoio ed avevo perciò rinunciato a far scuotere, per l'ennesima volta, la testa alla gente del mio piccolo paese. Mi viene in soccorso: "Quest'auto… Le si addice." Sorrido, incerta. E' un complimento, o un modo gentile per dirmi che sono strana tanto quanto l'auto?
"Grazie" dico gelidamente. Attendo in silenzio che dica qualcosa. Per quale ragione mi aveva fermata? E chi diamine era? Non mi sembrava di conoscerlo.
"Permettetemi di presentarmi" dice, forse consapevole del sospetto con cui ora guardo alla sua persona.
"Sono Alderico, Vostro nuovo vicino di casa e Vostro, permettetemi, Ammiratore."
"Un Ammiratore." Ripeto sorpresa, assaporando la parola mio malgrado.
"Ho letto e riletto il Vostro bellissimo libro d'esordio, "I più bei fiori di monte" e spesso ho pianto." Tace improvvisamente, come se temesse d'aver detto troppo.
"Ho pianto anch'io, scrivendolo." Lo rassicuro. Mi guarda. Ha dei bellissimi occhi color erba, i capelli castani e lisci ed un volto magro. Sento, con immediatezza, che potrei amarlo.  Gli sorrido, ma non senza rendermi conto di non sapere più di quanto sapessi prima.
"Avreste piacere a visitare la mia serra?" E' un invito che mi sorge spontaneo, senza pensarci, ed Alderico accetta altrettanto rapidamente, sorpreso e lieto, sembra, della proposta che gli consente di starmi accanto ancora un poco.  Ma proprio mentre stiamo avviandoci, squilla il telefono che tiene in tasca: un suono sgradevole, metallico e fuori posto nella giornata soleggiata. Alderico sembra sorpreso, e scambia qualche parola con un interlocutore invisibile, prima di voltarsi verso di me a conversazione terminata: dice che se ne duole, ma un impegno improvviso lo chiama altrove. Osservando il mio sconcerto, che non maschero, mi domanda con il telefono spento in mano: "Forse non siete abituata?" 
"E' questa la ragione per cui non accetterò mai d'averne uno." Spiego con tranquilità. "Che mi si raggiunga in casa, nel mio studio: con la posta elettronica o con il fax, lo accetto. E' un ragionevole compromesso fra l'esigenza di contattarmi ed il mio bisogno di privacy. Ma essere raggiunta in qualunque luogo, in qualunque momento, sono certa che inquinerebbe anche la più serena delle mie passeggiate."
"Il mio agente" termino sorridendo" sarebbe anche disposto a regalarmene una decina, purchè accettassi di tenerne sempre acceso almeno uno." Alderico s'illumina di comprensione, e sorride, ma la necessità di tenere fede al suo impegno lo spinge a salutarmi.
"Arrivederci" mormoro sorridendo. "Tornate pure quando volete, sarete sempre il benvenuto."

Tornò il giorno dopo, accompagnato da una composizione di gardenie bianche e rose di color rosa, con un sorriso timido ed un fare di scusa.
"Non ho resistito" disse con garbo " ed ho anticipato i tempi. Spero di non disturbare…" Non disturbava.
Sedutosi in una poltroncina di vimini, aggiustatesi le pieghe dei pantaloni, senza dar mostra d'osservarmi, mi guardò disporre i fiori. Attese serenamente che attendessi ai miei compiti, e quando infine mi fui seduta accanto a lui, coccolando una tazza di the in attesa che perdesse un po' del suo calore, mi guardò e disse: "Questa notte non sono riuscito a dormire."
"Qualcosa che mi riguarda" sussurrai, e non c'era che l'ombra di una nota interrogativa nella mia voce. Si passò la mano fra i capelli, che erano fini e leggeri: sembrava che la minima brezza avrebbe potuto scompigliarglieli, gettando il caos nella sua ordinata capigliatura. E parve esitare. Vestirsi d'incertezza e pudore sotto il mio sguardo. Scosse le spalle, e fu con quel movimento che diede l'avvio ad uno dei discorsi più strani che io abbia mai udito.
"Questa notte " disse "non ho dormito perché leggevo. Leggevo e rileggevo. Ed ero sempre più turbato. Leggevo… " La sua voce si abbassò tanto che quasi stentai a decifrare le parole "un Vostro racconto. "Fiori d'amamelide". Sorrisi con aria di sufficienza, e mi alzai in piedi.  Che seccatura. Sembrava che non volessero proprio consentirmelo. Ero una ragazza, e scrivevo racconti pieni di sesso che più non si poteva: e allora? Dichiaravo forse, in questo modo, d'essere disponibile? Perché dovevano credere che la mia fosse una ricerca, quando non era che un'espressione della mia creatività?
Dissi, decisa: "Si è fatto tardi." Non volevo aggiungere altro.  Ma non volevo neppure essere scortese: solo troncare quel qualunque approccio amoroso che stava per nascere.
"I Vostri fiori sono meravigliosi."
"Signorina" disse Alderico alzatosi in piedi "Non Vi avrei mai importunata se non fosse stato per una ragione. Una ragione…" Parve perdere l'ardore all'improvviso, come si fosse reso conto della propria insistenza e ne fosse sconcertato. 
"Una ragione?"
"Una ragione cui Voi non crederete" sostenne, e non fu tanto la sua scarna ed insolita argomentazione ad interessarmi, quanto lo scoraggiamento che diede alle sue parole l'abito della verità.
"Può darsi che non Vi creda" sostenni "Ma può anche darsi il contrario. Ciò che è certo è che potrei morire questa stessa notte per la curiosità." Feci una smorfietta vezzosa. Adoravo prendermi gioco, senza malizia, del mio prossimo. Incarnare la sdolcinata del tempo che fu, regalare un soffio di passato pieno di malìa, tessere un sogno per me e per chi mi ascoltava, in cui il passato s'incarnava nel presente, palpitante e vivo, come se il Tempo non fosse trascorso che invano. Come se un petalo di papavero che sta cadendo, già rassegnato al fato che lo renderà scolorito e morto, improvvisamente potesse tornare a suggere la linfa e risplendere quieto al sole, nel suo rosseggiante fiammare.
"Sarà diventato freddo, ormai, il Vostro the." Lo disse con voce tornata normale, ed io compresi che tentava di riportarmi vicino all'atmosfera che s'era creata prima che mi alzassi in piedi. Mi sedetti composta, con la schiena ben eretta, e bevvi un sorso di the.
Ero disposta ad ascoltarlo. Con cautela, guardando le mani con cui cingeva il ginocchio della gamba ti: stanca, poggiava sull'altra, iniziò il suo discorso. 
"Vi è mai accaduto di avere un qualche episodio insolito, qualcosa che Vi faccia dubitare della conoscenza e del concetto stesso di realtà?" Se non sgranai gli occhi fu per mero autocontrollo.
Si schiarì la voce. "Non guardatemi così, Vi prego. Ancora non ho perso la ragione. E' solo… Ehm. Vi dicevo del Vostro racconto. Voi raccontate una storia che io ho vissuto. Nello stesso modo che raccontate, facendo le stesse cose." Ciò è insolito " interloquii. "Non ricordo quale poeta abbia detto: "Nulla c'è di nuovo qui sulla terra, ma guai agli amanti che non sanno trovare in un bacio un fiore nuovo."
Alderico sorrise. "Eluard, Paul Eluard. Ma non era proprio così, la frase."
Un po' piccata, dissi: "Non ho mai sentito una citazione che non fosse, almeno in parte, errata." 
Poggiai con foga la tazza ormai vuota sul tavolino basso che ci stava davanti e diedi mostra d'essere più interessata ai pochi pelucchi presenti sul mio completo pantalone che alla sua persona.
"Siete molto suscettibile" disse, come se parlasse del tempo. 
"Più di quel che potete immaginare." risposi con rabbia.
Soffrivo di queste collere, così infantili e repentine, così sciocche a volte, eppure non riuscivo a dominarle. In men che non si dica mi accendevo d'ira… C'era stato, tanto tempo prima, un uomo che aveva saputo come intervenire. Come domare queste mie piccole collere… Ma poi quell'uomo era uscito dalla mia vita, ed il mio carattere, già non facile, s'era incupito ancora.
"Come stavo dicendo" riprese Alderico "io ho vissuto ciò che avete scritto. E questo è strano. Benché sia vero che i gesti della passione sono gli stessi da quando l'uomo esiste, è improbabile che due coppie d'amanti esplorino l'amore carnale con gli stessi ritmi, le stesse esperienze e con la medesima successione." E tacque, come se mi avesse appena rivelato il segreto della giovinezza eterna, ed attendesse da me un entusiastico commento. Avevo una gran voglia di dirgli: "E allora?"
Invece aspettai. Sorrisi educatamente, e aspettai.  Prima che potessi impedirlo, però, vedendo quanto il suo silenzio si protraeva, al folletto sarcastico che abitava dentro di me venne la tentazione di parlare, e disse:
"Vi siete addormentato o siete soltanto morto?" 
Alderico inarcò un sopracciglio. Ero certa  che fosse tutt'altro che abituato a siffatti comportamenti… E fu forse per questo, o per un minuscolo movimento tra le stelle, inudibile ed invisibile, ma comunque influenzante gli animi più aperti, che invece di ritirarmi in buon ordine in un comportamento più convenzionale, decisi di premere la tavoletta della provocazione.  Simulai un educato sbadiglio. "E' tutto?" domandai con la voce arrocchita da un falso sonno.
"Sì." Disse Alderico con il gelo nella voce, e si alzò come per congedarsi.
"Sapete, me lo avevano detto che avete un carattere impossibile. Chissà perché, leggendo quanto avete scritto, ne avevo ricavato un'impressione differente."
Mi squadrò e aggiunse "Buona giornata". Non avessi colto nel suo atteggiamento una nota di delusione, non lo avrei richiamato. Al diavolo, avrei detto. Ma c'era stata, ed io non ero capace, e non avevo voglia, di fingere di non averla udita.  
"Alderico?" lo chiamai piano, senza troppa convinzione.
Egli non sembrò avermi sentito: aprì la porta finestra apprestandosi a varcarne la soglia, quando io con voce sonora lo richiamai.
"Alderico" dissi "Vi chiedo scusa."
Egli si voltò. Potevo leggergli l'incertezza sul volto: sarebbe stato bene accettare le mie scuse e rientrare o andarsene? 
Si fermò. Si fermò e mi guardò.
"Vi chiedo scusa" ripetei "a volte non so proprio cosa..."
Ero mortificata. Lo ero realmente, non era una posa.  Ci guardammo. Se Alderico non sapeva cosa fare, in quel momento io non dovevo esser molto brillante perché l'unica cosa che riuscii a dire fu: "Per favore rientrate e sedetevi." Lo dissi come un ordine, ma era una preghiera. Squillò il telefono, togliendoci dall'imbarazzo. Andai a rispondere pensando all'errore commesso, pensando alla persona offesa, pensando che avrei fatto bene a levarmelo di torno ed a non rivederlo mai più. Dopo essermi adeguatamente scusata, si intende.  
Quando tornai nella stanza Alderico era seduto esattamente come l'avevo lasciato, e sembrava attratto da una piccola scultura poggiata sul tavolino da caffè. Grata, gli domandai se l'apprezzasse. 
"Si, trovo che sia molto originale." disse con la voce più normale che gli riuscì di tirar fuori.  
Beh, dissi io con il sorriso nella voce, Vi ringrazio. L'ho fatta io. Benché pochi ne siano a conoscenza, la mia prima passione, il mio primo amore, fu la scultura e non la scrittura. Questo non significa che io sia abile anche in questo campo...  
Parlammo così per un po', di tutto e di niente, nutrendoci di chiacchiere mondane facili e leggere da gestire e all'improvviso ci guardammo.  
Fui io, senza troppo riflettere, a squarciare la fragile atmosfera cordiale che si era instaurata.
"Alderico" abbassai la voce, quasi volessi significargli che il tempo delle celie era terminato "di cosa stavate parlandomi poco fa?"
Sorpreso e forse ancora un po' in collera, Alderico quasi fece cadere la tazza che finalmente stava accostando alle labbra.  
"Non è destino che beva questo the." Sfoderò un sorriso sornione. "Non è vero?"
Scossi le spalle. "Sarà freddo ormai... ma se proprio é una misera tazza di the, ciò che volete da questa visita..." Lasciai la frase in sospeso ed egli mi guardò, di nuovo, con un'espressione insolita.
"Vi ha mai detto nessuno" esitò un attimo "che siete insolente, quando vi ci mettete?"
Lo guardai in quegli occhi troppo verdi. Con freddezza. Ed egli stette al gioco: invece che voltarsi, invece che volgere altrove lo sguardo mi fissò di rimando.
Cercai di non battere ciglio. Se era questo il suo gioco, mi dissi che gliel'avrei fatta vedere io.
Ma non ressi. Ammetterlo mi scoccia, però fui io e non lui a cedere all'insopprimibile stimolo a chiudere le palpebre per un istante.
Quando riaprii gli occhi, Alderico aveva smesso di fissarmi.
Parlò con voce piana, lenta.
"Sono stato innamorato della stessa persona per oltre quattordici anni…"  
Voltò gli occhi verso sinistra, ricordando.
"E non è stato un cammino su rose. Benchè l'amassi perdutamente, mia moglie mi tradiva. …Ho impiegato del tempo per persuadermene, perché tutto in me rifiutava questa possibilità. Eppure, alla fine ne ho dovuto prendere atto. Non vorrei giustificarla, nel dirVi che ritengo di avere la mia parte di colpe. Comunque con mia moglie è tutto finito, e legalmente. Quello che vorrei dirVi è che da quando avevo scoperto i suoi tradimenti, io ho iniziato a coltivare passioni… " Esitò, in cerca del termine giusto. "Passioni insolite, sì. Le stesse che avete descritto nel racconto di cui Vi accennavo."
"Ma questa non è una cosa positiva " dissi io, d'impeto. 
"Voi state dicendomi d'esserVi avvicinato al sadomasochismo per rabbia, sostanzialmente. Come reazione ai tradimenti di vostra moglie."
"No no, non proprio." Alderico parve volere arretrare con tutta la poltrona di fronte al mio dissenso.
Lo guardai con fermezza.
"Permettetemi" dissi "una breve spiegazione su quello che dovrebbe essere il sadomasochismo.
Un gioco fra adulti, consenzienti e liberi nelle proprie decisioni. Un gioco con ruoli - ma ne esistono forse senza? - prefissati, un gioco con infinite varianti che non possono mai prescindere da poche regole di base e queste sono: la salvaguardia della propria ed altrui salute; la volontà di rendere il gioco soddisfacente per tutti i componenti del gioco, sia pure con il dovuto rispetto per le convenienze dettate dai ruoli ed infine, ma forse è la regola primaria, a motivare un simile gioco dovrebbe essere la volontà di divertimento, scevra del tutto da altre considerazioni!"
Non potevo impedire alla mia indignazione di traboccare. Ma certo, capita ovunque d'incontrare gente che perverte anche la migliore delle idee, ma a me non era mai capitato prima, e non mi aspettavo che il sadomasochismo potesse essere associato a qualcosa di tanto scorretto. Ora non lo trovavo più tanto gradevole, l'uomo che avevo davanti. Anzi. Ammise, con umiltà che parve autentica, di non sapere molto di questi argomenti.
"Non c'è problema" recuperai un sorriso: non sia mai che io infierisca su un vinto "sono ben poche le persone che ne hanno una visione corretta, libera da considerazioni moraleggianti di bassa lega e da informazioni errate."
Ci guardammo senza parlare. Lo trovavo ancora bello: sapevo che avrebbe potuto dire qualunque cosa, anche la più sciocca delle sciocchezze, e questo non avrebbe mutato il mio apprezzamento del suo aspetto. La piega delle labbra, quella piccola ruga che segnalava l'apparire sovente d'un sorriso cinico, ora nascosto, lo sguardo limpido: tutto in lui rispondeva a quelli che sono i miei canoni estetici.
Alderico allungò una mano, guardandomi, e la posò vicinissima alla mia, pur senza toccarmi.
M'infastidì: gli uomini sono così, dissi a me stessa.
"E' perché abbiamo parlato di questi argomenti che vi sentite libero di farmi un'avance?" Cercai di mettere nella voce quanta più alterigia possibile. 
Alderico prese un'aria da mascalzone che mi sorprese. Apparve quel sorriso di cui avevo intuito l'esistenza.
"No." disse con voce lenta "è perché siete bella."
Bella! Gli avrei spento una sigaretta sul petto, tanto ero infastidita dal sentirmi lusingata dalla sua menzogna.
"Non sono bella" dissi mostrando un'aria bellicosa che non sentivo " e non sono neanche un tipo, come molte brutte usano dire." Presa dalla foga mi alzai in piedi. Ma appena lo feci mi resi conto all'improvviso che non volevo che mi guardasse, non volevo offrigli un'altra opportunità per vedermi meglio, e non potevo neppure risedermi. Mi sentivo sconvolta e prossima alle lacrime, come mi sento sempre quando si parla del mio aspetto. Io ero stata bella, perlomeno ai miei occhi, ma poi crescendo quella bellezza l'avevo smarrita e ne ero rimasta vanamente in cerca. In cerca sì, ma mai nelle parole degli uomini, che sapevo forzate dal bisogno di lusingare.
Si alzò in piedi anche Alderico, e non lessi alcuna minaccia nel suo avvicinarsi.
"Signorina" disse "Signorina…" lo ripeté, come preso da uno stordimento che lo stupiva.
Si avvicinò ancora, ed io, incerta, non feci alcuna mossa per scansarmi.
"Lasciatevi abbracciare" mormorò.
Chiusi gli occhi e mi abbandonai. Sentivo che il mascara aveva preso a colarmi sulle guance, viaggiando insieme alle lacrime che non riuscivo più a trattenere. Alderico aveva un buon profumo: come di legno morto e sottobosco. Non tentò di baciarmi, e fu una mossa giusta, lo credo oggi come allora; si limitò a stringermi piano, senza dire nulla, ed io non gli resistetti, anche se non lo abbracciai a mia volta.
"Non sono bella" dissi testarda, ma lo dissi senza forza, ed egli se ne accorse. "Shhh" rispose soltanto, e mi accarezzò i capelli.
Non so perché, ma quando lo guardai in viso ebbi una specie di rivelazione: lo avevo già visto, Alderico. Lo conoscevo già. E lo conoscete anche voi, non raccontatemi storie.
Alderico è il fidanzato per eccellenza. Fine, d'aspetto pulito e maniere gentili.
Galante, è quel tipo d'uomo che ti porta in gita sul lago proprio quando le foglie assumono la cupezza dell'oro e la passione dei rubini, e quando la barca è vicina al posto in cui il panorama è migliore (se n'è accertato, prima di portarvici, compiendo un sopralluogo accurato) lascia andare i remi e tira fuori una scatolina vellutata: una scatolina così piccola, che mai potrà contenere? Il cuore vi batte forte mentre l'aprite e ammirate l'anello che ha scelto per voi. Alderico vi guarda. Abbassa la voce, emozionato, e vi domanda se volete sposarlo. Passeranno due anni prima che vada a letto con vostra sorella, vostra madre o, il cielo non voglia, con la vostra migliore amica? Lo scostai. Se proprio voleva andare a letto con mia sorella, avrebbe dovuto pazientare un bel po', visto che doveva ancora nascere!
"Scusatemi" mormorai, ma ero così indignata che volevo dirgli  "Sparatevi", e quindi immagino di non aver usato un tono convincente. Mi voltai verso lo specchio, fingendo di ravviarmi i capelli, e così scoprii di avere tutta la faccia rigata dal mascara. Cercai di asciugarmi con un fazzolettino, ma spalmai il mascara anziché asportarlo e mi innervosii. "Bella no?" Quasi strillai, e lo guardai nello specchio, tentando freneticamente di pulirmi. Alderico mi guardò come se mi ritenesse pazza, e non disse nulla.
M'imposi di calmarmi. Un respiro profondo, due, tre, senza farmene accorgere.
A furia di sfregare m'ero levata anche il fondotinta e la cipria, ma non del tutto, e così avevo la pelle a chiazze: il rosso dell'imbarazzo con il grigio rosa della mia carnagione mescolato al rosa-dorato del fondotinta. Fa lo stesso, mi dissi con furia. Che mi veda come realmente sono, m'incitai, anche se di solito non ho la pelle a chiazze di tre diversi colori. Mi voltai, recuperando un sorriso.
"Immagino che vorrete un altro the" dissi. Non sapevo cosa dire, perciò dissi la prima cosa che mi venne in mente.
"Vorrete scherzare" rispose Alderico. Pareva stupefatto dalla mia offerta. 
E dopo un momento: "Vi siete sporcata la camicetta".
Abbassai lo sguardo e non vidi altro che il bianco sparato del tessuto. "Qui" disse Alderico, e si avvicinò come per mostrarmi la macchia invisibile. Arretrai… Ma non per paura. Arretrai guardandolo. 
Arretrai e aspettai. Arretrai di un altro passo e mi trovai contro il mobile. 
"Voglio soltanto mostravi" disse Alderico con una voce da giovane demone ed un sorriso diabolico " dove vi siete sporcata…"
"Davvero?" Cercai di sollevare un sopracciglio. Mi è sempre piaciuto quel gesto altero, quella muta manifestazione di scetticismo, ma non sono mai stata in grado di farla.
Lo attesi a pié fermo, mentre Alderico si fermava ad un passo esatto da me. 
"Vi siete sporcata" disse, "qui, proprio qui." E. nel dirlo mi puntò contro le labbra il dito indice.
Mi guardò la bocca, come se desiderasse baciarmi, ed io mi sentii sciogliere.
Mi passò il dito sulle labbra, ed io non potei fare a meno di pensare che ci mancava questa: ora mi avrebbe fatto sbavare pure il rossetto, l'unico cosmetico ad essere rimasto intatto.
"Mi piacete" sussurrò alle mie labbra, così vicino a me che percepii l'alito alla mentha di una caramella che doveva avere consumato prima di venire da me.
"Anche voi" sussurrai, e chiusi gli occhi.
Aspettai un bacio che non venne, per alcuni istanti, e poi riaprii gli occhi, più infastidita che turbata, realizzando che mentre il mio gesto di offerta era così palese, lui non lo aveva colto, e certo volontariamente. Era ancora vicinissimo, ed io non mi mossi. Ci guardammo senza dire nulla per un tempo che mi parve eterno, e poi Alderico si scostò. Sembrava che volesse cedermi il passo, perciò, un poco imbarazzata e tuttavia eccitata, mi mossi alla volta della poltrona, su cui mi sedetti.
"C'era qualcosa che volevate dirmi. No?" Misi nello sguardo la mia richiesta: che si comportasse in maniera normale, per favore, che di emozioni me ne aveva già date da bastarmi per un anno intero. Alderico non rispose subito. Si sedette di fronte a me, si ravviò i capelli, si guardò intorno come se vedesse la stanza per la prima volta e poi mi sorrise. Sorrisi a mia volta, ma senza sapere bene perché. Sorrise ancora, senza smettere di fissarmi. Così, come due gatti intorno al fuoco, stemmo a sorriderci finchè non mi venne da ridere. Era tutto talmente stupido, talmente imbarazzante! "Perché ridete?" chiese Alderico, ed aveva una sorta di durezza nella voce, come se fosse incollerito dalla mia reazione. Non riuscii a rispondere. Come potevo? Ridevo senza potermi fermare, a crepapelle.
"Non mi piace che si rida di me" disse con severità, ed io cercai di spiegare che no, per l'amor del cielo, non era di lui che ridevo… Ma non potevo farlo. Soffro di una patologia ancora non studiata, a causa della quale il riso si autoalimenta, e quanto più rido quanto più mi viene da ridere. 
"Signorina" disse Alderico, alzandosi in piedi. C'era un che di autoritario, nel suo atteggiamento, che mi fece ridere ancora più forte. E se ad un certo punto del mio ridere egli improvvisamente fosse morto, forse ugualmente non avrei potuto fermarmi.
"Meritereste una frustata. Più d'una, anzi."
Fu il potere implicito in questa frase a farmi azzittire di colpo: mi sentii piccola piccola sotto il suo sguardo, e non riuscii a mettere insieme uno straccio di risposta. Frasi confuse, frammenti di frasi, mi danzavano in testa: come vi permettete, una frustata, dei del cielo, frustarmi, chi siete per dirmi una cosa del genere, siete impazzito, frustare, me? Ma dalla mia bocca no, non usciva suono. Deglutii senza poter impedire che si vedesse. Alderico, sempre in piedi di fronte a me, mi osservava. Oggi penso che egli in realtà stava valutando se non l'avesse detta troppo grossa, ma a me allora quella possibilità non venne in mente, e se gli eventi sono poi andati come sono andati, fu anche per questa cialtrona incomprensione oltre che per altro.
"Sì" ripeté nel silenzio della stanza."Vi prenderei a frustate."
Che cosa, ditemi, che cosa è possibile replicare ad una frase del genere? Soprattutto se sentite una reazione inequivocabile nel vostro corpo, (esistono parole magiche per ciascuno di noi…) e se siete preda di un imbarazzo così intenso da impedirvi quasi di muovervi? Una parte di me, una parte invisibile, si era alzata dalla poltrona in cui giacevo e lo fronteggiava, ma quella parte non aveva forza sufficiente per trainarmi con sé e dare voce alla sua collera. E poi la parte di me immobile non voleva neppure replicare… Dicevo a me stessa: suvvia, muoviti, dì qualcosa! Ma avevo smarrito il collegamento tra i pensieri e le parole e perciò lo fissavo come se fossi ottusa, o come se non capissi più, improvvisamente, la mia stessa lingua… Mi sorrise, guardandomi. Sembrava capire in che impaccio mi trovassi, e forse non ci voleva poi molto…
"Vi frusterò" disse, passando dalla possibilità di un'azione alla minaccia dell'azione stessa, "ma non oggi." Guardò l'orologio e poi tornò a guardare me. Si chinò sulla mia mano, dando mostra di un esagerato rispetto (immagino che se si fosse fatto prendere la mano mi avrebbe anche fatto un inchino) e mi salutò. E quando fu uscito dalla stanza, per qualche istante mi sembrò che aleggiasse ancora davanti a me la minaccia della frusta. 
Ma l'avevo udita davvero?

Non lo vidi per tre giorni. Ed in quei tre giorni mi sembrò fosse mancata la luce del sole. Persino la cura delle piante, che di solito per me era così rilassante non sortiva alcun effetto. Non percepivo più l'odore dell'aria, il sapore dei fiori, la luce discreta delle stelle. E intanto occhieggiavo, affettando un'aria impegnata, nel giardino del vicino, cercando la sua presenza e  fingendo di occuparmi delle spinose rose e delle malevoli euphorbia, la cui lattea essudazione sempre m'intimoriva. Non si vedeva nessuno, se non una signora di mezza età che veniva al mattino ad arieggiare i tappeti e, supponevo, a tenere in ordine la casa. Non aveva alcuna somiglianza con lui, perciò immaginavo dovesse trattarsi di una domestica. A volte mi dicevo, severamente: tu non ti ridurrai a chiedere sue notizie. Ma era come se parlassi ad una sorella scapestrata e distratta, che sapeva bene quanta indulgenza desiderassi concederle. E perciò facevo le prove davanti allo specchio:
"Scusi signora… Buongiorno, sono la vicina. Ha visto che bella giornata? Sì, speriamo che duri…  Questo sole ha fatto aprire molti fiori, qui nel mio giardino." Ciarlavo così per un pezzo, per poi infilare a tradimento la domanda: "Sa mica quando tornerà il Signor Alderico?" Mettevo nella voce quanta più indifferenza possibile, perché nelle mie intenzioni doveva sembrare che avessi semplicemente voglia di fare due chiacchiere, come se parlassi di facezie. Ma non ebbi bisogno, per fortuna, d'intavolare bizzarri dialoghi con la sconosciuta, perché prima che ne trovassi il coraggio Alderico tornò. Lo vidi dalla porta finestra che si affacciava sul suo portico: stava per entrare in casa, ed indossava un abito severo, da lavoro, accompagnato da una valigetta diplomatica. Aveva un'aria elegante, distinta, e mi piacque. (Sento il bisogno di sottolineare che stavo guardando del tutto casualmente verso la sua casa… Del tutto casualmente.) Mi ritrassi in fretta perché non mi notasse, e d'improvviso decisi che avevo bisogno di cambiarmi. D'impulso e senza nessuna ragione, certo. Perché, a voi non è mai capitato? Volevo essere elegante anch'io. Perciò mi struccai e rifeci da capo il maquillage, curando in particolare la bocca, che sapevo bella, e gli occhi, che di qualche trucco cosmetico avevano decisamente bisogno, essendo leggermente gonfi per le molte notti insonni. Indossai una blusa color caffè e pantaloni bianchi, e scarpe dal tacco alto che mi alzavano di qualche centimetro. Mi spazzolai i capelli, che in quel periodo erano tinti di nero, e mi feci una smorfia allo specchio: potevo essere abile fin che mi pareva, nell'arte del maquilage, che tanto era la materia prima a non permettere al lavoro finito di essere giudicato gradevole. Ma non permisi alla mia amarezza di frenarmi… Mi guardai intorno e misi a posto quel poco che non lo era, più per occupare il tempo che per reale necessità d'ordine. Sapevo che Alderico sarebbe arrivato. Se avevo interpretato nel modo giusto tutto il metalinguaggio della visita precedente, Alderico si sarebbe presentato il più presto possibile… Si presentò infatti. Ma non prima di un'ora, e l'Alderico che mi trovai davanti era ancora diverso dai due Alderico che avevo incontrato: questa volta indossava dei pantaloni di fustagno verde scuro ed un maglione chiaro, leggero, sopra una camicia. Sembrava un abbigliamento da tempo libero, e non seppi se sentirmene indispettita, io che mi ero vestita tutta elegante, o contenta, perché dopotutto se quello era il suo tempo libero e lui aveva piacere di impegnarlo con me… Lo vidi venire verso la mia casa (stavo di nuovo, del tutto casualmente, guardando verso la sua) attraversando il pezzo di terreno che avevamo in comune, e quindi non fui sorpresa quando sentii bussare alla porta. Finsi di non averlo sentito, così da costringerlo a bussare di nuovo, ma lui non mi diede la soddisfazione e disse, con voce neppure tanto alta, come se sapesse di essere udito: "Non siete in casa, oggi?"
Mordendomi le labbra, andai alla porta. Non sorrisi al suo sorriso, ma risposi al suo saluto. Già era riuscito ad infastidirmi prima ancora di entrare. Mi porse un pacco, dicendo d'averlo preso per me, ed io immaginai che si trattasse di qualche souvenir preso nel corso di quello che doveva essere stato un viaggio d'affari. Ci guardammo un momento sulla soglia. Stava a me chiedergli se voleva entrare… Lo sapevamo entrambi. E allora mi venne un'idea.  Mi appoggiai allo stipite, come se fossi la persona più rilassata del mondo, e dissi:
"Avete visto che bella giornata?"
Alderico rispose educatamente, guardandosi intorno, ma come se fosse un po' sconcertato dalla mia domanda.
"Una bella giornata, davvero."
E ci guardammo di nuovo, entrambi in silenzio. Decisi lì per lì che piuttosto che farlo entrare mi sarei impiccata. Al diavolo questo cafone che si permetteva di scomparire per tre giorni senza avvisare… Non che a me importassero i suoi movimenti, comunque. Era per un discorso di costumanza, dissi a me stessa, che me la prendevo tanto. Per amor della forma. Alderico parve rendersi conto che non avrei detto altro neppure se mi avessero pagata e spostò il peso da un piede all'altro, come se fosse leggermente a disagio.
"Sono stato in viaggio, per lavoro."
"Davvero?" Feci la faccia più stupita del mondo. Era stato via? Incredibile. Ed io che non me n'ero accorta. Le cose che succedono al giorno d'oggi…
Forse si attendeva che gli chiedessi dov'era stato, ma io non lo feci.
Passò qualche altro istante di imbarazzante mutismo, poi lui mi chiese se fossi di cattivo umore.
"Io? E perché mai?"
Guardai lontano, oltre Alderico. 
"Forse" disse Alderico con un pizzico di incertezza " perché qualcuno è stato via…" e mi guardò negli occhi.
Io non replicai. Una statua. Silente e immobile.
"Ma era un viaggio preparato da tempo, inevitabile." Mi resi conto che stava cominciando a giustificarsi e lo interruppi.
"Non mi dovete alcuna spiegazione" dissi con voce secca, e capii che non lo volevo più fra i piedi.
"Vi ringrazio del dono." dissi, e aprii la porta alle mie spalle, ma senza volgergli la schiena.
"Qualcosa vi ha offeso?"
"No" mentii. Lo salutai con freddezza, assolutamente controllata, ma non potei impedirmi di sbattere la porta.
Cafone, maleducato, incivile, declinai infuriata, ma senza strillare. Ero così arrabbiata che avrei fatto a pezzi il suo regalo, ma prima volevo vederlo. Certo era qualche dozzinale cosuccia presa all'aeroporto, più per noia che per altro, rimunginai mentre aprivo il pacco. Scartai la carta con gesti nervosi e vidi luccicare qualcosa di nero. Sembrò, ad una primissima occhiata, un lungo serpente. Era invece una frusta.
Una frusta.

Il giorno dopo, seduta alla mia scrivania, non riuscii a scrivere che poche, stentate parole. In luogo della mia prosa sciolta, accompagnata da idee su idee che insorgevano man mano che scrivevo, mi ritrovavo a fissare la stessa frase come se le parole non avessero un senso ed io non avessi che da contemplare le forme essenziali dei caratteri. L'immagine della frusta mi tornava davanti, senza che ci pensassi consapevolmente, riempiendomi di confusione. Una frusta. Mi aveva regalato… Una frusta. Era come se non riuscissi a persuadermene. C'era una frusta in casa mia, ed io mi comportavo come se potesse prendere vita da un momento all'altro. Da quando avevo aperto il pacco non l'avevo più toccata, né guardata. L'avevo lasciata là, sul tavolo della sala da pranzo, ed una parte di me sosteneva che, se fossi tornata a guardarla, avrei scoperto al suo posto un profumo da due soldi, o comunque un regalaccio da aeroporto. E allora perché provavo un senso di timore solo al pensiero di accostarmi nuovamente a quel pacco? E' difficile spiegare il tipo di paura che m'incuteva. Perché era una paura affascinata, una paura che mi faceva stringere le gambe, una paura conturbante. Mi veniva in mente all'improvviso, quando meno me lo aspettavo: c'è una frusta di là. E tutte le volte, tutte le volte, sentivo che una parte del mio corpo si contraeva. Alla fine mi stufai. Stabilito che non sarei riuscita a scrivere, decisi di farmi un bagno caldo. Avevo voglia di rilassarmi un poco: avrei messo un po' di musica, alzato il riscaldamento, e mi sarei goduta una mezz'ora di felice tregua. Stavo scegliendo gli abiti che avrei indossato dopo il bagno, quando squillò il campanello all'ingresso. Strano, considerai ad alta voce, non aspetto nessuno. Mi affrettai giù per le scale ed alla porta trovai un fattorino: aveva un enorme mazzo di rose bianche, a gambo lungo, ed un viso brufoloso e gentile. Gli diedi una mancia e lo salutai, ma senza neanche rientrare in casa cercai il biglietto: ero così nervosa.  Nel biglietto c'era una sola frase: "Avete gradito il mio regalo?" ed una firma, Vostro Alderico. Guardai verso la sua casa, quasi mi sentissi i suoi occhi addosso, ma non vidi nient'altro che la facciata di finestre rilucenti al sole del mattino. Sembrava ridessero.
"Non vorrei" stava dicendo l'uomo davanti a me "avervi offesa in qualche modo. Riconosco di essere stato un poco precipitoso, un poco azzardato…"
"Ma no" dissi io. "Mi conoscete forse neppure da due settimane, e mi regalate una frusta. Quando festeggeremo l'anno di conoscenza non oso immaginare cosa mi regalerete!" Mi era molto facile fingermi infastidita. In parte perché un pò infastidita lo ero davvero.  Che razza d'uomo avevo davanti a me? Sembrava deciso, determinato, poi perdeva il coraggio e diventava romantico, poi tornava audace e mi regalava una frusta, salvo precipitarsi a scusarsene… Una girandola d'uomo. 
"Alderico, Alderico" dissi scoraggiata "proprio non riesco a capirvi. E' come se mi sfuggisse qualcosa di essenziale." Mi alzai dalla sedia di vimini e cominciai a passeggiare. Il giardino  era un tripudio di fiori, una festa per gli occhi e per l'anima, ma in quel momento io non vi badavo.
"Vi comportate in un modo…" Non potei impedire alla mia frustrazione di trapelare "sembrate…"
Non trovavo le parole. Era come se si fossero nascoste tra i fiori.
"Incerto. Forse è questa è la parola che state cercando. Ma sono incerto! Se io non sono un modello di coerenza comportamentale, non è che voi lo siate! Un momento prima sorridete ed un momento dopo siete accigliata, e che il diavolo mi porti se riesco a capirci qualcosa…"
Non potevo non notare la veridicità delle sue parole. Era vero, ero fatta proprio così, spinosa e umorale come nessun'altra. Mi prese una strana rabbia. "Beh" dissi io " non mi va che sezioniate così il mio comportamento. Se vi piaccio sono così, e se non vi piaccio… Nessuno vi obbliga a restare." 
Cercai di controllarmi, ma lo avrei preso a pietre e lo fissai irosamente. Ero sicura che si sarebbe alzato e se ne sarebbe andato.
"No." La voce era di nuovo calma. "Mi piacete. Siete solo… Un poco bisbetica. Ma se non sbaglio, in casa c'è il giusto rimedio…" Mi guardò di sottecchi, con uno strano sorriso, ed io mi sentii rimescolare. L'immagine della frusta mi apparve davanti, in tutta la sua minacciosità.
Sentii che le gambe mi si facevano di pietra.
"Che ne direste di offrirmi un the, Signorina?"
C'era qualcosa, qualcosa nella sua voce, nel suo tono… Qualcosa che nella mia vita non c'era più da tanto tempo, e che mi fece sentire una vampata improvvisa di calore.
"Volete…" Mi accorsi, con imbarazzo, che mi tremava la voce. Mi schiarii la gola e ritentai. "Volete che vi porti un the?"
"No. Voglio che m'invitiate in casa"
Ecco, l'aveva detto. Qualunque cosa sarebbe successa ora, non saremmo mai più potuti tornare indietro.
Mi avvicinai al tavolo. Avevo le gambe stranamente incerte, e la sensazione che sarei potuta cadere a terra da un momento all'altro, perciò mi sedetti quasi di schianto. Avevo in testa un'incoerente insalata di parole. E, per qualche misteriosa ragione, qualsiasi cosa attraeva la mia attenzione. Il volo di una mosca. Il disegno del ferro battuto del tavolino, uno strano ghirigoro goticheggiante che mai prima mi era sembrato degno di tanta curiosità. Il riflesso del sole pomeridiano sul vetro della porta finestra… Qualsiasi cosa, eccetto l'uomo che, tranquillamente seduto, aspettava in silenzio una mia risposta. Passò un autocarro, che improvvisamente strombazzò, ed io sussultai. Mi vergognai del mio sussulto, che palesava il mio stato di disagio, e desiderai con tutto il cuore di poter scomparire. Ma sussultai ancora più forte quando Alderico, alzatosi e messosi alle mie spalle, toccò i miei capelli. Mi venne improvvisamente difficile deglutire e mi accorsi che se ne accorse, perché mi toccò la gola. Dov'era, ora che ne avevo tanto bisogno, la mia spavalderia da due soldi? Mi accarezzò i capelli, lentamente, senza dire una parola. Credo che il suo gesto volesse avere un valore sedante.  E funzionò.  Piano piano ripresi a respirare e a rilassarmi, mentre un mantra che avevo creato lì per lì operava la sua magia: non succederà niente che io non voglia, niente che io non voglia… Se ne accorse anche Alderico, che disse solo una parola: "Andiamo?"
Sembrava che m'invitasse ad una gita nel parco. La stessa morbidezza nel tono di un fidanzato ansioso di rendermi contenta… Mi alzai come in trance, e mi diressi verso la porta finestra pensando che non stava accadendo realmente, che ero ancora seduta nella poltroncina e che di lì ad un momento lo avrei mandato via, con una scusa, una scusa qualunque… Incespicai nel tappeto e per poco non caddi malamente. Alderico mi prese per un braccio, come per aiutarmi, ma la sua era una presa ferrea, e non mi mollò quando ripresi l'equilibrio. Mi strattonò quasi, per farmi voltare, e mi baciò. Fu un bacio aspro, che mi sorprese, e mi fece gemere nella sua bocca senza che potessi trattenermi.
"Lo volete" disse "lo volete quanto lo voglio io. Ammettetelo." m'ingiunse. Poiché non parlavo, parlò lui. "Morite dalla voglia, tanto quanto io muoio dalla voglia di vedervi contorcere…"
"E supplicare" aggiunse quasi rabbiosamente. Mi scattò dentro qualcosa. "Sì" quasi gridai. "Ne ho voglia anch'io. Nella mia vita non ho incontrato altro che parolai, affabulatori da due soldi capaci di dominare solo a parole… " 
"Pagherei per trovare un uomo! Un uomo vero!" Volevo offenderlo, ferirlo in qualche modo. "Un uomo che sia più uomo di me!"
Abbassò la voce fin che fu quasi un sibilo. "Temo che l'abbiate trovato. Temo proprio che l'abbiate trovato" ripeté senza enfasi. Io lo guardai e mi domandai quanto potevo prenderlo sul serio, Alderico la girandola. Avevo voglia di sputargli sul viso qualche frase graffiante… Ma non per provocarlo, solo per ferirlo. Non me ne diede il tempo. Aprì la porta per me, spingendola e facendosi da parte. Voleva cedermi il passo, e che facesse il galante in quella circostanza mi parve paradossale. Stava per prendermi a frustate, forse fino alle mie lacrime, però intanto mi cedeva il passo… Osservavo la stanza come se provenissi da un altro pianeta: che forma strana avevano le due poltrone, l'una di fronte all'altra, sulle quali giorni prima eravamo seduti a combattere una guerra verbale fatta di schermaglie e sottigliezze… Le due poltrone, gonfie e morbide, il tappeto berbero, l'elegante lampada da lettura. Era la mia casa, quella casa, eppure la guardavo come se appartenesse a qualcun altro, ed io per la prima volta vi mettessi piede. Non sapevo più cosa fare. Rimasi lì, ferma, impiantata nel suolo, radicata quanto un albero, resa tale dalla preoccupazione e dalla paura per ciò che stava per avvenire.
"Vorreste sedervi un momento?" Me lo chiese come se il padrone di casa fosse lui, e da ospite perfetto desiderasse accertarsi che tutti i suoi invitati stessero bene e fossero confortevolmente a loro agio.
Ma poi aggiunse qualcosa che m'indusse a credere che fosse preoccupato per me.
"Siete bianca, bianca come un cencio."
"Sono solo un po' spaventata" dissi con una voce spettrale.
"Non cambierà nulla se ci siederemo un istante…" propose con voce accomodante.
Più che sedermi mi piegai, nodosamente. Un ramo di legno avrebbe avuto maggiore flessuosità.
"Allora, dov'è che l'avete messa?" "In cantina, nella pattumiera, nel pozzo in giardino?" Capii che cercava di dire delle spiritosaggini, per mettermi a mio agio. E decisi di essere sincera.
"Vi sorprenderà, ma non sono mai riuscita a… A toccarla. L'ho lasciata sul tavolo, dove ho aperto il pacco, ed è ancora appoggiata sulla carta da regalo con cui era avvolta."
"Ma non posso crederci! E come mai?"
"Ne avevo paura." Ora parlavo con tono più sciolto, ero più rilassata e riuscii persino a sorridere.
 "Paura" mormorò Alderico. E lasciò quella parola sospesa tra noi.
Una sensazione di paura stava nascendomi dentro proprio in quel momento. La sosta sulle poltrone non doveva ingannarmi, dissi a me stessa. Era una manovra diversiva, non una rinuncia. Era tanto determinato a frustarmi quanto lo era stato poco prima… Parve leggermi nel pensiero.
"Non ho intenzione di frustarvi." La chiarezza senza pudore delle sue parole mi colse di sorpresa, e mi sentii avvampare.
"Non qui. Forse non ci avete riflettuto… Se provassi ad usare la frusta qui dentro, come minimo farei rovinare a terra la lampada, tirerei giù tutte le vostre deliziose tazzine esposte sui pensili, e lacererei le tende!" Rise di gusto. "Non potete credermi tanto disgraziato…"
Mi sentii improvvisamente molto stupida. Come avevo fatto a non pensarci. Gli sarebbe bastato tirarla su, per rompere qualcosa…
"Avete riposato abbastanza. Andate a prenderla." Sembrò un amico che m'incoraggiasse a fare qualcosa di spiacevole ma necessario. 
Ed io, con una naturalezza che mi sorprese, ma che non poteva non venire dalla rassicurazione che avevo appena udito, che lì la frusta non l'avrebbe mai usata, mi alzai e andai nella stanza accanto. La frusta era ancora lì. Non s'era mossa, dunque, e non aveva iniziato a strisciare per casa… Quando feci per prenderla mi accorsi del tremito nelle mie mani, allora sollevai la carta da regalo per i lembi e la portai nel salone come se fosse dentro una cesta. Poggiai l'involto sul tavolino che stava fra le due poltrone e rimasi in piedi, incerta.
"Volevo soltanto farvene sentire l'odore. Dico sul serio. Chinatevi e annusatela."
Ovviamente non feci nulla del genere. Lo fissai sconcertata.
"Non volete? Non è indispensabile." Sprizzava indifferenza da tutti i pori.
"Era per insegnarvi, se posso permettermi la presunzione di avere qualcosa da insegnarvi… Volevo farvi conoscere un odore che non avrete più l'opportunità di annusare. L'odore di una frusta nuova, mai utilizzata. Man mano che la userò cambierà odore, incorporando al suo naturale quello del vostro sudore. L'odore della vostra paura. Delle essenze che avrete spalmato sulla pelle. Delle vostre secrezioni."
"Sicura" disse tutto sorridente "che non volete annusarla? E' un'opportunità unica."
"No grazie" riuscii a rispondere. Ci misi una punta di sussiego, ma proprio una punta, perché più di tanto non me lo consentiva il disagio della situazione.
                 
La giornata era fresca, appena ravvivata dal calore tiepido del sole marzolino. Per tutta la strada tenni i vetri alzati ed il riscaldamento acceso: forse mi ero vestita troppo leggera, consideravo.Forse sarei dovuta tornare a casa e cambiarmi, forse, vestita così, ero inappropriata… Mi tenni compagnia per un bel tratto di strada con le scuse che si presentavano una dietro l'altra, con inesauribile varietà, tutte funzionali allo scopo di farmi tornare a casa. Al sicuro. Poi mi concentrai sulla guida. Rischiavo di perdermi nell'intrico di stradine del vecchio paesino medioevale. Alderico mi aveva dato istruzioni precise, per iscritto, ma io faticavo a capire la sua grafia e per ben due volte dovetti importunare ignari passanti con richieste d'informazioni per trovare il tal riferimento e la tal piazzola. Alla fine, dopo tutto quel girovagare, scorsi la meridiana di pietra che segnava il termine ultimo della mia ricerca. Scesi dalla macchina e mi fermai ad osservarla. Mi erano sempre piaciute, le meridiane. Strumenti complessi ideati dall'uomo nel suo sempre vano sforzo di segmentare e controllare il tempo che fugge. Forse mi aspettavo che Alderico mi giungesse alle spalle, come un malfattore sulla sua preda, ma così non fu ed io mi guardai intorno. La strada era chiaramente privata, e non c'era posteggiato nessun altro veicolo oltre al mio. Si scorgeva una casa, al termine di un lungo viale diritto, nel quale qualcuno, molti anni prima, aveva avuto il buon senso di piantare dei Tigli, che ora erano maestosi. Era una casa vecchia, e grande. Niente a che vedere con la casa, accanto alla mia, di Alderico, come con quelle che ci circondavano nel quartiere residenziale in cui vivevamo. Che erano invece giovani, e parlavano senza pudore di denaro, riservatezza e ricercatezza. Il posto emanava tranquillità, e pensai che in Estate doveva essere meraviglioso: con tutti quegli alberi in fiore, l'aria doveva avere un profumo dolce e inebriante. Il cancello era aperto, ed io mi domandai se dovessi avviarmi così, semplicemente. E se la casa non fosse stata quella giusta? Rimasi a sostare davanti al cancello aperto, indecisa. Non riuscivo a decidere cosa fare. E non posso non pensare che, in quella mia indecisione d'allora, giocasse un ruolo determinante la consapevolezza di quanto sarebbe avvenuto.
"Non intendete entrare?"
La voce, stranamente metallica, era inconfondibilmente quella di Alderico. Proveniva da un citofono, incassato nella colonna a fianco del cancello, della cui esistenza mi accorsi nello stesso istante in cui sentii la voce.
Mi avvicinai e sussurrai: "Forse no. Forse andrò a fare un giro…" Mi era precipitata addosso, all'improvviso, una strana allegrezza. Mi sentivo leggera, quasi felice. Ridacchiai persino, rendendomi conto di quanto ero stata spiritosa. La voce di Alderico. "Vengo a prendervi." E un suono metallico, acuto e breve. Clic. Per qualche misteriosa ragione, del tutto in contrasto con la mia allegria, Alderico era d'umore malinconico. Anche I’ll suo abbigliamento lo testimoniava: nei toni del marrone,  Mentre camminavamo verso la casa disse poche parole, e poi spiegò.
"E' questa casa. Mi fa sempre questo effetto… Forse perché ci vengo di rado."
"A me sembra una casa bellissima." 
Parve compiaciuto.
"Davvero? Beh, non sono molte le persone che direbbero lo stesso." 
Camminammo in silenzio per un pezzo. Mi piaceva quanto vedevo, mi piaceva davvero.
E fui io che, sentendomi un po' nervosa, ruppi il silenzio.
"Pensavate che sarei venuta? Oppure…"
"Non lo sapevo." Ammise onestamente. "Non sapevo cosa pensare. E quando poco fa vi ho vista al cancello… Beh non voglio dire di non aver creduto ai miei occhi, ma… Sono sorpreso, lo confesso. Dal vostro coraggio, soprattutto."
"Oh, ma io sono la persona più scriteriata che conosco" dissi sorridendo."Non è una questione di coraggio, è che proprio non ho giudizio."
Rise alla mia battuta, e camminammo fino all'ingresso della casa. C'era una vecchia fontana circolare, con una base di pietra, ma muta.
"E' un peccato che l'acqua sia ferma." commentò Alderico.
"No, perché? Se l'acqua fosse in movimento sarebbe più fredda, e questa Ninfea non avrebbe potuto offrirci il suo fiore. Inoltre a me piacciono… " Esitai un momento. 
"Queste cose. L'acqua ferma. Il muschio. La fontana di pietra. La casa che mostra la sua età… E' come… Non so spiegarlo, ma è il fascino del Tempo: mi chiama, mi attira a sé, come un ricordo che tenta di emergere, e quasi arriva alla coscienza: ma lì si ferma. Non oltrepassa la soglia del taciuto." Aggiunsi nervosamente: "Pensate che stia delirando?"
"No… Non è questo. Ma è come se cercaste di dirmi qualcosa."
"Forse è così. Ma non so neanche io che cosa… E forse non ha molta importanza." Conclusi seccamente. In che genere di discorsi mi ero imbarcata? Volevo che mi prendesse per matta, forse?
M'inginocchiai e immersi la mano nell'acqua, facendola muovere. 
"Io non lo farei."
Sorrisi. "Lo so bene. Lo so meglio di Voi. L'acqua morta, l'acqua ferma… A proposito, avete mai letto qualcosa di Poe?"
"Poe? No."
Quell'improvvisa rivelazione d'una lacuna, per qualche misteriosa ragione, mi riempì di gioia. C'era dunque un campo nel quale io sapevo più di lui…
"Lo stagno nero. Casa Usher. Davanti alla casa, proprio come qui." Ero enigmatica, ma non me ne curavo.
"Che volete dire, che emergerà qualcosa dallo stagno? Un mostro acquatico, una sorta di Nessy campagnola?"
"Forse" dissi io senza sorridere." Forse emergerà una nuova creazione, una creatura senza passato… Una persona in grado di amare, finalmente."
Lo schizzai con l'acqua, non arrabbiata ma neanche scherzosa. Volevo solo… Bagnarlo, infastidirlo. Ma Alderico si schivò per tempo e l'espressione giocosa che aveva sul viso ci mise ben poco a sciogliersi, quando mi guardò in faccia. Perché io non sorridevo affatto. Proprio no. L'interno della casa era esattamente come me lo aspettavo. Vecchio, arredato con uno stile di cui le riviste d'arredamento neppure conservavano il ricordo, e confortevole. Era quel genere di casa nel quale la sera si ha piacere di rientrare. Non c'era niente che avesse l'aria di essere lì per essere esibito, ogni cosa aveva la sua funzione e la sua ragione d'essere; era una casa vissuta, e mi piaceva. Aveva un tono sobrio e maschile, la stanza in cui Alderico mi portò, nei colori del cuoio e del bordeaux, e lo immaginai senza fatica a leggere antichi libri dimenticati, con il caminetto acceso e la pace nel cuore. Tentai di vedermi accanto a lui, intenta a ricamare ascoltando la musica dei folli anni venti, che era la mia passione, e poi mi venne in mente che i jive l'avrebbero disturbato, distogliendo la sua concentrazione dalla lettura, e mi venne da ridacchiare. Proprio una coppia bene assortita, saremmo stati…Mentre mi guardavo intorno senza mascherare la mia curiosità, ma anche senza sfacciataggine, Alderico prese una bottiglia e due minuscoli bicchieri. S'intuiva che erano vecchi: irregolari nello spessore del vetro, senza fronzoli… Adeguati alla casa, a me, ad Alderico ed a quanto stava nascendo: una relazione amorosa, unica com'è unico e prezioso ogni amore, anche quello cui saremmo tentati di dare scarsa importanza. Se per caso, male agendo, l'avessimo infranto, non avremmo potuto sostituirlo…
"Rosolio. Dovrebbe piacervi."
"Preferisco il liquore all'Assenzio" dissi apposta  " il Maresco o al massimo la Cedrina. Ma se proprio non avete altro…"
"Un liquore di spine non vi andrebbe bene?" Depose la bottiglia e i due bicchieri e si sedette. Io, non invitata a farlo, restai in piedi accanto al basso tavolino. Lo guardai, perplessa.
Mi prendeva in giro?
"Signorina, è da quando Vi conosco, e non credo sia passato un mese, che di Voi non mostrate che i lati peggiori. V'incollerite per niente, avete l'aria di volere far dispetti e divertirvene, e mi domando…" Bevve un piccolo sorso di liquore. "…Se questa non sia una richiesta. Inconscia, forse… Ma comunque una richiesta."
Mi guardò dando fondo al bicchiere, poi lo posò e si alzò.
"Non vi sedete?"
"Non sono abituata a farlo, di mia iniziativa, in casa d'altri. Aspetto che me lo chiedano, di norma."
"E' così che si usa" aggiunsi acidamente.
"Allora" disse con tono paziente, come se parlasse ad un bimbo capriccioso "vi invito almeno a bere."
Ormai ero partita per la tangente. Battei un piede per terra, nervosamente. "Perché, così potrete sedurmi?"
Rise di cuore. "Non penso d'averne bisogno… E comunque questo è un concetto talmente fuori moda, talmente…"
"Fuori moda!" esalai, "Fuori moda!" 
"Sì, fuori moda." Affermò con tranquillità. "Ho spesso pensato che Voi non appartenete a questo tempo. I Vostri gusti, le Vostre idee, il Vostro stile di vita. Non è soltanto fuori moda, è… Obsoleto. Inadeguato."
"Ma state cercando di offendermi?" Ero sconvolta. Che cosa voleva, adesso?
"No. Sto cercando di farVi arrabbiare."
Parlai quasi strillando, senza riflettere "Se non è per sedurmi, e sarebbe una tattica folle, farmi arrabbiare, allora che cosa pensate di ottenere? Cosa credete di fare?" 
Fu solo quando lo vidi alzarsi dalla poltrona che mi crebbe dentro, improvviso e violento, un senso di sgomento. 
Avvicinandosi, non disse che: "Basta adesso." Mi prese ambedue le mani, come per un saluto cerimonioso, ed io, sorpresa, lo lasciai fare. Era di fronte a me, con le mie mani nelle sue mani, tenute delicatamente, ed i miei occhi nei suoi. Lo vidi sorridere gentilmente, quando disse: "Ora andremo nella scuderia." Repentinamente, feci un passo indietro: qualcosa mi aveva messa in guardia.
"Non amo i cavalli… Cioè, li temo un po', non è che non mi piacciano. Ho paura che possano imbizzarrirsi. Una volta, quando ero piccola… " M'interruppe. 
"Me lo racconterete un'altra volta. Siete venuta qui per una ragione ben diversa che raccontarmi della vostra infanzia." Si fece avanti, eliminando quel passo di distanza che avevo introdotto fra noi e di nuovo mi prese le mani.
"Mi presi un tale spavento…" Annaspavo quasi, nelle mie stesse parole.
"Non m'interessa e non ha importanza. Perché i cavalli non ci sono. Ci saremo solo noi due."
Mi sembrava di stare per annegare.
C'era come un rumore, da qualche parte. Un rumore martellante, che mi batteva sulle tempie.
Scossi la testa, chiudendo gli occhi. 
"No, per favore…" Cominciai a dire, ritraendomi, mentre sentivo che il viso mi si faceva terreo.
"Aspettate" disse con la voce più suadente che possiate immaginare "Aspettate a pregarmi, Signorina… Non è ancora tempo." Seppi senza guardarlo che quel sorriso che detestavo ora brillava sulla sua faccia.
Era un sorriso da carogna. I cavalli non c'erano davvero. C'era solo la paglia, ed un odore non propriamente sgradevole, ma neppure del tutto piacevole, per me, a testimoniare della loro presenza, o del loro passaggio, in quel luogo. Era un locale grande, poco illuminato, con tre box su un lato, un passaggio ed una parete nuda. Era uno spazio vuoto, e quel vuoto faceva rimbombare i rumori in un modo che dava pastura alla mia ansia. Le voci perdevano in chiarezza, ed anche le parole più semplici assumevano un suono cupo.
"Questo era il mio posto preferito, da ragazzo. Ho passato ore ed ore qui, in compagnia della mia saura, una dolcissima creatura di nome Ebe. Sono passati tanti anni, ma ogni volta che penso a lei mi sento nello stesso modo: privato di un rapporto importante, di qualcosa di profondo e buono che darei molto perché fosse ancora mio." Gli si era intristita la voce, parlando della sua cavalla defunta. 
"Ebe è un nome insolito, per una cavalla. Ma è stupendo, perché significa giovinezza…" Interloquii.
Tentai d'immaginare un Alderico più giovane, più snello e meno esperto, che balzava in sella alla sua cavalla, ed insieme si allontanavano dalla giovinezza, inconsapevoli di quanto prezioso fosse ogni istante di quel tempo, ma non ci riuscii. Sembrò colto da un'ispirazione improvvisa.
"Vi fermerete, per il fine settimana?"
"Voglio dire, ho notato che non avete portato borse né altro." Sembrò improvvisamente impacciato. Un giovane uomo che m'importuna al supermercato, fingendo di volere un'informazione per attaccare bottone; un giovane che si fa coraggio già certo d'un rifiuto, e per questo reso più audace dalla sua stessa paura.
"Sono in macchina."
"Beh… Bene, bene." Si schiarì la voce e fece qualche passo in direzione dei box. Poi, come se si fosse ricordato improvvisamente della mia presenza, si voltò e mi porse cerimoniosamente il braccio.
L'intera situazione mi sembrava tanto bizzarra che sentivo un forte calore invadermi il volto e non riuscivo a dire una parola. Eravamo in una scuderia, camminavamo sulla paglia in un ambiente fortemente odoroso, ero elegante e carina ed avevo il mio braccio sotto il suo, come una coppia d'anziani cittadini che passeggi nel viale del tramonto, e tuttavia i miei tacchi calpestavano paglia e terriccio, e non ero lì per passeggiare… Volevo dire qualcosa, qualunque cosa, financo declamare una poesia, ma non trovavo il modo di cominciare. Quasi mi storsi una caviglia, non guardando dove andavo e dunque infilando malamente il piede in una piccola buca, ma Alderico mi sorresse.
"E' l'emozione." Disse sottovoce. "Sono emozionato a mia volta." mi confidò.
La piccola passeggiata cui mi aveva invitata era giunta al termine. Di fronte a noi, uno dei box, l'unico cui erano state asportate le mezze porte.
"Prego" disse soltanto, ed io capii che voleva entrassi. Esitai. 
"Ho predisposto, per la vostra comodità, un appoggiabiti ed un vuotatasche. Nulla di minaccioso." Mi sorrise. "Ed ho pensato di usare questo box perché possiate spogliarvi con un poco di intimità. O volete che faccia a strisce il vostro bell'abito?"
"Ma cosa volete dire?" La mia voce s'era alzata, innaturale."Vorreste… Vorreste farlo, ora, così?" 
Mi sembrava inconcepibile. 
"Perché" chiese con meraviglia."C'è forse bisogno d'una qualche preparazione?"
Restai con la lingua inerte, un sasso nella mia bocca. Guardai Alderico e guardai l'interno del box: c'erano davvero le cose che aveva detto, ed il pavimento era pulito, privo di paglia. Provai, improvvisa e fortissima, la voglia di fuggire. Aprii le labbra, come per dire qualcosa, annaspai, ma nessun concetto affiorò dall'interno della mia anima sconvolta, e sentii, nettamente e con un poco di vergogna, che il mio corpo si predisponeva all'amore, scaldandomi l'interno delle cosce. Arrossii e gli voltai le spalle, infilandomi nel vano quasi vuoto. Mi spogliai con impaccio, sperando che non fosse rimasto a fissarmi, e quando rimasi solo con la canotta e la culotte mi fermai. Non sarei riuscita a togliermele neppure se mi avessero pagata per farlo. Mi reinfilai le scarpe e, con il volto ardente, uscii guardando il pavimento. Non fece commenti sulla mia biancheria, con mio sollievo e stupore. Mi porse invece nuovamente il braccio, con naturalezza, ed io grata ne apprezzai il conforto. Avevo un poco di freddo seminuda, ma sapevo che sarebbe passato presto. Facemmo i pochi passi necessari per arrivare al muro nudo e ci fermammo. Egli si voltò verso di me e mi baciò. Mentre mi baciava, mi fece scivolare la culotte a terra, ma smise di baciarmi per levarmi la canotta ed aprirmi il reggiseno, che piegò e posò accanto alla culotte. Mi accorsi di tremare, nuda fra le sue braccia, e apprezzai il calore confortante che emanava. Mi tenne stretta, forse intuendo il mio bisogno di quel momento, bisogno di sentirlo vicino ed a me amico. Poi si scostò. Si spostò e mi guardò: ero completamente nuda di fronte a lui, eccitata e ancora un po' spaventata, ma comunque desiderosa di proseguire. Sorrisi e tentai di tenere le braccia parallele al corpo, anziché incrociarle di fronte al seno o nascondendo le mani dietro la schiena. Mi ordinò di voltarmi contro il muro e di appoggiarmici con le mani, e quelle furono le ultime parole che mi disse. Mi aiutò in silenzio ad assumere una posizione più corretta, con le braccia distese per mettere una certa distanza fra il mio volto ed il muro, e mi fece allargare le gambe premendo sulle pareti interne delle cosce. Era quasi una carezza intima, ed ero nuda, ma egli l'eseguì con scrupolo di clinico intento a visitarmi: attento e gentile, ma anche disinteressato…Infine mi lasciò e arretrò. Sentii che percorreva qualche passo, ma senza che potessi distinguere più nulla: il panico che mi aveva preso mi faceva tremare incontrollabilmente le braccia, ed il battito del mio cuore era un martello che batteva di gran lena. Sentii un sibilo nell'aria, come se la frusta davvero fosse divenuta serpe. 
La serpe cercò il contatto con la mia carne, s'arrotolò intorno alla mia vita, bramosa, mi morse, e finalmente io gridai.
Titolo originale: Verrà uno sconosciuto ed avrà il mio cuore