Hanno condiviso le mie parole

venerdì 29 agosto 2014

IL GIOCOLIERE


 La confusione e l’incertezza di quei giorni erano fortissime. Si sentiva come se un serpentello velenosissimo stesse tranquillamente avvolto intorno al suo collo e, appena appena attento, in qualunque momento, ad un suo gesto non concesso, avrebbe mortalmente morso.
Questa è la sottomissione?  La risposta non le piaceva. Non le piaceva sentirsi costretta, non le piaceva muoversi su un palcoscenico mai percorso, senza copione, ma con l’ordine di ricordare le battute. Aveva sbagliato commedia? Sembrava di si. Spinta a forza in un ruolo vero, di quelli che s’incollano addosso e di cui non puoi spogliarti quando vai a dormire. La notte non è sollievo, e il giorno nuovo ha con se le ansie del suo ieri. Respirare è faticoso, pensare è  far rotolare avanti un macigno squadrato, muoversi è annaspare fra tenaci ragnatele.Eppure era piacevole, dannatamente piacevole. Un letto di zucchero nel quale riposare. Ogni tentativo di raggiungere la comodità è un tormento di granelli dolci a torturare il corpo e a saziare il gusto. E l’anima? Dove si appoggia l’anima attenta a guardare? Sul ramo più lontano e alto, per paura di sparire tra le onde. Le battute…….si Padrone. Vuoi il piacere Padrone? Sono ai tuoi ordini Padrone.
Battute usate, conosciute, ma nuove. Nuove nel loro suono, vere. Niente corde, pinze e strumenti. Questo aspetto non l’aveva considerato. Come se sotto quelle luci, in mezzo alla vita, nella disattenzione dello sguardo di ognuno, lei dovesse recitare un ruolo che conosceva benissimo, per averlo vissuto sempre. Ma recitare…..questa era la differenza….sapendo di aver scelto  un personaggio da cui staccarsi, da cui fuggire, di cui aver timore. E recitare senza aver firmato un contratto, senza percepire un compenso, senza nutrirsi, senza dissetarsi, senza riposarsi mai. Vuoi dire che stai strisciando ai miei piedi? Si…… Si cosa?……Si….Cosa vuoi che dica dopo il si? Si, Padrone?
Si dillo…..Si Padrone. Dimmi anche il resto……Si Padrone, sto strisciando ai tuoi piedi, nel modo più umile che mai abbia concepito, e non concepito. Tu sai che io godo nel sentirti così……Si lo so….
Quella ultima battuta, umilmente vera, umilmente reale.
Mi stai dicendo che farai tutto ciò che io dirò?……Si, lo farò.
Era la prima volta che questo era vero, le altre volte, affermandolo, sapeva che avrebbe posto limiti, o che sarebbero stati rispettati. Ora no. Era vero e basta. Le altre volte, con le altre persone. Ora, questo Padrone, così amato e avaro d’amore, ora e sempre, aveva il controllo assoluto. E l’amore? Quello che con grande generosità si prodiga in fiori e frutta, in corse e giochi, in carezze e ninne nanne? A che serviva? Una volta aveva detto…..Tu non sei Master per gioco, lo sei nella vita.
E sempre aveva detto….Io non gioco, tutto questo per me non è un gioco. Qualcosa in questi suoni apparentemente accordati strideva. Un’orchestra che suona in perfetta armonia un motivo che non ti piace….tanto sforzo e hai sbagliato pagina….un colpo di vento ha fatto volare lontano lo spartito che tu hai composto. E ora cosa faccio di me?  Questa musica mi piace…..
Venerdì ci vedremo………..Si. Questo veniva dopo un altro ordine, nel quale non ci sarebbe stato quel venerdi. Andava bene il primo, andava bene il secondo. Più nessuna possibilità di replica, più nessuna seppur lontana polemica. Una volta lui le aveva detto……Non sei ancora abbastanza umile…. Era vero…allora era vero…..si sentiva in diritto di chiedere, qualcosa per sé.
Nel silenzio della notte, nella calma di una città che si scrolla via dai capelli e dai vestiti la pioggia appena caduta, nella calma della sua attesa, scriveva. Sotto alle righe l’immagine che qualche giorno prima aveva usato come sfondo sul monitor. Il viso, gli occhi, il gesto in cui si era fissata erano nascosti, solo la scritta che aveva inserito era visibile.
Mistress or slave? Ovvia la risposta. Sempre stata ovvia? Forse si.
Le calze a rete azzurre, il vestitino di jeans, i passi della giornata, veloci e sicuri tra sguardi catturati. Tutto scoloriva.
La pioggia di quella sera, dirompente e forte, aveva lavato via il colore, dagli abiti, dai capelli, dall’anima.
Non ho più la carta salvezza, il jolly da usare, la parola chiave, il passaggio segreto.
Non li ho mai avuti. E’ così? Si. L’aveva capito nel momento in cui cercandoli, si era accorta che lo scrigno era vuoto.
Già usati? No mai esistiti. Una sigaretta fumata con calma. Sto scrivendo del presente….come posso raccontare di ciò che ancora non è avvenuto? Attimo per attimo, assaporando i gusti di quei giorni, confrontandoli con il passato, con il futuro.
Un paradosso temporale? Una sonora risata, nel cuore.  Fuori aveva ripreso a piovere. Questo per ricordarmi che la pioggia non ha ancora finito di bagnarmi. Ancora indietro, a quella sera intirizzita, al tentativo di capire, alla sua disfatta.
Alla memoria dei fatti, a momenti di poesia e calore. Ho bisogno di bere, di mangiare, di sole, di corde, di frustate.
Si stupiva di quei pensieri.  Ho bisogno di dolore, di umiliazione, di buio, di sorrisi maliziosi.
Mi sembra di essere tornata indietro. No. Sono chiusa nel cerchio. Ho congiunto l’inizio con la fine e le mie mani si sono fuse nel suo compiersi. E il mio primo Master ha passato il testimone all’ultimo, mentre io mi illudevo di camminare avanti. E’ troppo tardi, devo riposare un po’, prima che arrivi l’alba. Ma anche quella notte era un cerchio, un anello di fumo, tanto fragile quanto consistente, da infilare al dito. Protagonista, slave, sposa di un principe per niente azzurro.
Quello che nel suo castello aveva stanze di tortura, quello che non le avrebbe mai provato la scarpina, quello che non l’avrebbe baciata per risvegliare, quello che quando riesci a restare sveglia nel buio si rivela orco, diavolo con tre capelli d’oro, dio del mare, drago fiammeggiante.
Quello che nei suoi sogni la spingeva a salire sulla scalinata, che lui troneggiava, travestito da demone, zoccoli e corna. Quello a cui lei girava le spalle nel tentativo di sottrarsi. Quello a cui lei offriva la sua miglior parte. Quello a cui lei porgeva tutto. Quante delle sue ansie racchiuse qui, quanti piaceri. Io venerdi sera ho una cena, posso essere da te dopo.
Bene, sarai da me dopo la mezzanotte. Immaginava sin da ora quella notte. La sua volontà di usarla, di possederla, di servirsene.  Che ne farò di me ora? Scrivo di bambini e di sogni, di fiori e ruscelli, scrivo di primavera. Ma davvero la mia parola chiave non esiste?
Andrò nel bosco questa notte, scaverò sotto ogni pietra, forse che sia nascosta là. Come quella volta, da piccola, quando aveva condotto sempre in vantaggio, una caccia al tesoro, e l’ulitmo traguardo, il premio finale, con tanta volontà conquistato, era una manciata di fagioli. E nemmeno magici, e nemmeno sufficienti per un piatto di minestra. Cosa se ne fa una bambina di una manciata di legumi secchi? Li tiene in mano, sorpresa, cercando di capire l’ironia del momento. E del suo creatore. Hai visto qualcuno in questi giorni?…..No Hai intenzione di farlo?……No ……Perché mi fai queste domande? Una frase pronunciata quando ancora si sentiva in diritto di chiedere. Fai troppe domande……Si, ma tu conosci già le mie risposte. Questo per dire che si sentiva sua, e lo dichiarava, lo gridava. In un momento nel quale non lo desiderava più. E quando aveva potuto pensare ciò?
Mai.
Ancora indietro con la mente, ancora avanti.
L’altalena si muoveva lenta, piccolo lo spazio per dondolare, poco il tempo trascorso. Ci conosciamo da così poco tempo, e ho ripercorso la mia vita. Nel suo dolore, nella sua luce. Il cerchio tracciato in terra con il gesso, un cerchio magico, un gioco da bambini. Un attimo in più al suo interno e non posso più uscirne. Il gesso è rimasto fuori, lontano dalle mani.
Chinata e protesa, non ci arrivo…….non ci arrivo!!! La palla rossa, quella mille volte spinta contro il muro, e mille volte tornata indietro. Palla pallina…..ora solo palleggiata a terra, lo sguardo chino, il dovere di non sbagliare. La punizione per ogni sbaglio….. Sei troppo ribelle…….sembrava una frase di sua madre. Che avesse ragione lei? Terribile il pensiero. Sorrideva con il cuore. Sorrideva palleggiando quella sfera rossa, rovente fra le mani, una enorme caramella appena preparata, odore dolcissimo ad ogni colpo. Le treccine, le calzettine, i pensieri furbi. Ancora indietro con i ricordi. Una fuga? Un ritorno? Un desiderio? E l’odore dell’erba appena tagliata, da portare con sé, in quella città del suo rientro. Ma quanti anni sono passati?, Quanti non si sono mossi? Le calze a rete, la bocca dolce. Spento il pc, seduta in bagno, l’acqua aperta per non interrompere il rumore della pioggia, ripensava. A tutte le cose fatte con lui. Quelle cose che mai aveva voluto esprimere con i termini inglesi che le identificavano. Molto belle, molto eccitanti, profondamente intime, difficili da realizzare. Gli aveva detto una volta….ma questa è un’altra storia.

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