Hanno condiviso le mie parole

lunedì 30 gennaio 2012

ERI LI'


Stavi distesa ai piedi del letto, rannicchiata come un cagnolino, i tuoi corti capelli rossi scompigliati. Ed io, svegliandomi quella mattina, ti guardavo, stupito quasi, della tua presenza li. Tutto era accaduto il giorno precedente, mentre attraversavo l'incrocio di fronte al mio ufficio. Seduta al tavolino del bar, c'eri tu in compagnia di una donna di molti anni più grande di te. Tua madre? Troppo grande per te. O forse eri tu che dimostravi molto meno dei tuoi anni. Eravate totalmente prese in una discussione a senso unico, nel senso che era Lei sola che discuteva. Tu con il capo chino subivi totalmente le sue parole. Non avevi la benché minima voglia, ne la possibilità, di ribattere o esprimere le tue idee in merito. Non mi interessava affatto l'argomento e i motivi della vostra conversazione, ma ero attratto morbosamente dall'espressione afflitta e, contemporaneamente, estasiata che avevi. Stavi, realmente, godendo per la violenta sgridata che stavi subendo. Lei era tutta presa dalle proprie parole ed invettive contro di te, che non si accorgeva di quanto ti stava provocando piacere con il suo atteggiamento da "strega cattiva". L'esatto contrario di quelle che erano le sue intenzioni. Avevo l'assoluta certezza che, qualsiasi cosa fosse successa a causa tua, si sarebbe ripetuta, l'avresti fatto nuovamente, solo per l'estasi della successiva punizione. Perché saresti stata punita di nuovo, anche solo con un nuovo veemente rimprovero. E in me esplodeva la consapevolezza di aver trovato La Mia Anima Gemella. L'altra metà del cerchio dei miei desideri. La tessera che avrebbe, unica ed irripetibile, completato il mio puzzle di due pezzi. Era li, attraversata la strada, seduta con le gambe serrate, i pugni stretti, le spalle incassate, lo sguardo basso, ma con un'aura estatica di puro godimento intorno, era li davanti a me la Schiava Perfetta. Dovevo averti, strapparti a quella arpia. Ero io che dovevo punirti, in maniera sublime, inflessibile e totale. Io e nessun altro. D'impeto percorsi i pochi passi che mi separavano da te, in tempo per fermare la mano della donna che, esasperata dal tuo mutismo stava per colpirti con un violento ceffone. Ho letto la disperata delusione nei tuoi occhi per quel dolore di cui ti privavo. Se avessi potuto mi avresti arso vivo con quello sguardo. Ma solo per un istante, poi hai riabbassato rapidamente lo sguardo, verso la punta dei tuo ginocchi che, solo ora potevo vedere, portavano i segni di lunghi, torturanti, percorsi. 
"No, questo non lo tollero- dissi quasi urlando, dritto sul viso della tua torturatrice -Qualsiasi cosa abbia fatto, non le permetterò di colpire questa ragazzina". Ricordo la risata satanica che usci da quelle aride labbra.
"Non si impicci lei. E sappia che questa che lei chiama ragazzina nei suoi ventitré anni di vita ha combinato sempre danni, ma adesso ha superato ogni limite e merita ben di peggio che ceffoni e percosse. Sempre possano servire a qualcosa, con lei. Demonio". Un tuffo al cuore. Ventitré anni, molti meno di quelli del mio perduto figlio, e più di quanto avevo supposto vedendoti da lontano.
"Con che autorità - continuai - si permette di colpirla?" E non ebbi tempo di dire altro. Come un lampo ti eri già alzata e, spinta a terra la sedia, stavi scappando. Ti stavo perdendo. Non potevo perderti. Ti sono corso dietro senza voltarmi. Non volevo tu avessi il tempo di mettere troppa strada tra noi. I miei anni mi impedivano un lungo inseguimento e . . , ma non ho avuto la necessità di correre molto. Sei inciampata contro la siepe del bar e sei caduta rovinosamente a terra, dopo poche decine di passi. Ero su di te, ti ho afferrato per le ascelle e ti ho tirato su. Pesavi pochissimo, eri uno scricciolo. Solo mentre mi sono voltato, cercando di farti da scudo contro le ire dell'arpia, mi sono accorto che nessuno ci aveva seguiti, tantomeno Lei. Era scomparsa. E solo pochi turisti seduti ai tavolini ci stavano degnando di un disinteressato sguardo. Ero frastornato, mentre tu non facevi niente per divincolarti e scappare. Ti sei limitata ad irrigidirti, in piedi, lo sguardo basso, in una goffa imitazione dell'attenti. 
"Mi scusi" Hai soffiato via tra le labbra. 
"Non doveva prendersela per me, meritavo di essere punita. Dovevo esserlo."
C'era un accenno di rimprovero in quest'ultima frase, quasi ti avessi privata dell'atteso dolore, meritato e desiderato. Tra le frasi di circostanza e gesti di rassicurante paterno affetto, mi stavo guardando attorno alla ricerca di quella donna. Sparita. Come sparita era l'attenzione che avevano avuto per noi i presenti. Nel rumore del traffico, in quell'angolo di una città che non sentivo ancora mia, era come se stessimo vivendo in una bolla di non tempo, di irrealtà. In un istante che solo noi due potevamo conoscere. La mano stretta ancora sulla tua spalla, non ti ho chiesto alcunché e mi sono diretto con te al mio fianco verso il mio ufficio dove, rannicchiata su di una poltrona mi hai raccontato la tua storia. Della tua educazione rigida e del tuo perenne desiderio di fare ciò che le regole ti imponevano di non fare. Il solo immaginare le punizioni che eri stata costretta a subire mi faceva andare in estasi. L'impudico mostrarmi sul tuo corpo i segni lasciati nel tempo dai tuoi educatori, mi stava provocando un'erezione violenta ed inaspettata. Quando poi hai parlato della donna con cui ti avevo veduta al bar e l'hai definita "stronza megera", non ho resistito, ho finito io per lei e ti ho colpita con un sonoro ceffone. Con le mie cinque dita stampate sul volto, mi hai guardato con stupore e gioia mescolati in volto. Hai assalito la mia mano ed hai iniziato a baciarla. Mescolando ai tuoi baci parole confuse e sommesse, ripetute smozzicate in una specie di litania di ringraziamento. "Era ciò che desideravo" "grazie mio signore" "non merito questo dono". Questo è ciò che mi pare di aver udito i quel parlottio caotico. Sei letteralmente crollata ai miei piedi baciandomi le scarpe implorando la giusta punizione (ma qual era la colpa?).  Ma mai ti ho sentita parlare di pentimento da parte tua. Era la conferma che ciò che avevi 'commesso' era stato da te premeditato al solo scopo di essere per quello punita. Da chiunque. O forse . . . 
Ancora non ricordo cosa sia accaduto, quel pomeriggio, del mio lavoro. So che, mentre disdicevo appuntamenti e riunioni per quel giorno, te ne stavi raggomitolata ai piedi del divano. Senza che un gemito o altro verso che non il tuo respiro affannoso, uscisse dal tuo corpo. Ricordo di averti accompagnata sotto la mia spalla in ascensore, giù nel garage dove sei entrata, sgusciata, sul sedile della mia macchina e li sei rimasta in silenzio a guardare i miei gesti, come a memorizzare con ossessione ogni mia azione.
Giunti a casa ti ho aperto la porta e ti ho lasciata entrare, libera, come si fa con un nuovo cucciolo che portiamo per la prima volta in casa e lo lasciamo percorrere, incuriosito, gli spazi che saranno suoi, nuovi e sconosciuti. E così ti sei comportata, andando di stanza in stanza a perlustrare ogni angolo e ogni singolo mobile. Cercandomi, di tanto in tanto, con gli occhi per vedere dove fossi e cercando di capire cosa pensassi. Cosa volevo e cosa non volevo tu facessi. Stavi esplorando in Nostri limiti. Fisici e mentali. Dove sarebbe iniziato il confine tra il corretto, il lecito e il punibile?
"In bagno, lavati e cambiati" mentre ti preparavo le poche cose volevo tu indossassi per me. Semplice biancheria di cotone, infantile sotto una goffa tuta, troppo grande per te. Niente di sensuale ed eccitante, bastava la tua presenza li, in quella casa, per farlo. Ero sempre più certo di aver trovato, miracolosamente, la mia Schiava Perfetta. Ciò che accadde nella serata e nella notte importa ben poco. L'unica cosa che importa è che quella volta faticai ad addormentarmi. La consapevolezza di te tra le pieghe di un informe piumino, su una piccola branda ai piedi del mio letto, mi dava un'inquietudine mai provata prima. Con una domanda finii per addormentarmi: se io ero il tuo dominante Padrone, perché mi sentivo succube del desiderio stesso di dominarti? Tu, tanto debole e inerme, eri la Schiava o la reale Padrona di quel gioco irreale?

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