Hanno condiviso le mie parole

domenica 29 gennaio 2012

LIA

Una foto, solo una foto, senza una parola di commento o di presentazione. La sua foto nella mia email, quasi fosse stata una sfida o la dimostrazione del suo voler rispondere al mio gioco di provocazione. Avevo conosciuto Lia in una stanza di una chat qualunque, una sera di noia bestiale, dopo una giornata dove tutto era andato storto, quelle mattine che sembrano partite con il piede sbagliato. Poi il suo intervento a sorpresa nello schermo. Ironizzava con il mio nick, come se fosse argomento per un battibecco. La foto Lia me l’aveva mandata qualche giorno più tardi, dopo sere passate a parlare per ore come se ci si conoscesse da qualche tempo, no, peggio, come se si avesse la spudoratezza di volerlo fare, quasi a voler smascherare l’altro, a carpirne l’intimo a sentirsi pelle su pelle. La foto non portava nessuna parola di accompagnamento e raccontava di una donna piacevole ritratta al mare d'inverno con un sorriso melanconico come di chi non ha nulla da offrire al fotografo, come se fosse stata una posa naturale ma mancasse qualcosa. Le dissi: sei sospesa in quella foto! Sospesa, come se fosse rimasto incompiuto qualcosa, come se quei capelli biondi che erano mossi dal vento volessero raccontare di più, come se gli occhi socchiusi nascondessero la tristezza, come se si fosse perso qualcosa e non si riesce a ritrovare. Sospesa. Lia si meravigliò di quel mio appunto. Sì era vero, mi disse poi, si sentiva sospesa, come se cercasse e non trovasse, come se si offrisse per qualcosa che nemmeno lei sapeva. Sospesa tra cielo e terra tra volere e potere, tra desiderio e rinuncia. C’è una frase che mi torna spesso alla mente, una frase che era tipica del mio professore di Ginnasio. “Quando le parole hanno la forza del dialogo sono capaci di azioni nobili e coraggiose”. Era questo il dialogare con Lia, la forza del dialogo, spontaneo, amichevole con delle sfumature sensuali come chi si sta cercando ed ha la consapevolezza di aver trovato. La foto era la degna conclusione dei dialoghi e siccome ne rappresentava la forza era senza parole. Nessuna parola, come se le racchiudesse tutte in uno spazio minimo. La mia risposta fu altrettanto silenziosa: solo il mio numero di cellulare. Un mese dopo eravamo uno di fronte all’altro in un bar del centro per prendere un aperitivo. La foto non rendeva quello che Lia era “de visu”, non rendeva merito alla sua sensualità ed alla sua femminilità. Un vestito di seta leggerissimo bianco, impalpabile, a sfiorarlo sembrava stringere il nulla, due sottili spalline lo sorreggevano ed univano insieme eleganza e sensualità. Intorno alla vita c’era una cintura stranissima, una sorta di corda in seta bianca passata più volte intorno ai fianchi. Una chiusura di bronzo lucente completava quell’accessorio che mi incuriosiva. Un corpo modellato, una bocca che sorrideva e che sembrava regalare autentici momenti di serenità, di gioia. Parole soffiate, sorrisi, sguardi che sembravano raccontare un mondo intero, parole ingoiate, bevute come se si fosse assetati nel deserto. Hai fame? Un po’… Vogliamo andare a mangiare qualcosa per il pranzo? Sì, volentieri… Il posto era quello che preferivo, una vecchia casa colonica dove era stato ricavato un ristorante alla buona ma dalle pietanze cucinate con grande passione accompagnate da splendidi vini. Un posto che regalava la tranquillità e che permetteva di parlare nella penombra delle sale. Osservavo Lia, la scrutavo come se fosse un desiderio, come se volessi riconoscere il lei quel desiderio che avevo sempre accarezzato. Una donna che sapeva starti accanto, che era capace di esserti vicino e farti sentire la sua presenza, discreta ma al tempo stesso forte e concreta. Facciamo due passi? C’è un posto bellissimo che vorrei farti vedere. Fuori della casa colonica iniziava un prato sconfinato che sembrava avvolgere la collina. Camminavamo senza fretta l’uno accanto all’altro. Poi lei quasi a sorprendermi si tolse le scarpe, camminando a piedi nudi. La osservavo e lei sorrideva quasi a chiedermi il permesso per quel gesto. Sembrava danzare sull’erba quasi ad evitare i fiori per non sciuparli, per lasciarli intatti. Arrivammo fino al crinale della collina fermandoci sotto un grande albero frondoso che regalava ombra e frescura. Mi tolsi la giacca e l’adagiai in terra. Non vorrai mica sederti sull’erba con quel vestito bianco….. Desideravo quella donna e la cosa sorprendente era sentire il suo desiderio negli occhi, di vederla con il piacere addosso. Era accaldata, le labbra appena umide e senza il rosso dell'inizio dell'incontro e che sembravano chiedere… Un bacio, un bacio che univa quelle parole che ci eravamo detti fino ad un istante prima. Le mani che accarezzavano i sui capelli, che correvano piano sul suo collo, che scendevano a cercare la sua pelle, a carpire il suo piacere. Che cosa è il desiderio? Che cosa è il piacere? Cosa è la sensualità dei gesti? E’ l’insieme, è la congiunzione di emozioni che si accavallano e si fronteggiano che si rincorrono e si superano, aspettando che l’altro ritorni al suo fianco se mai restasse indietro, è scoperta di quello che la mente offre all’altra mente, è consapevolezza di volere e di dare al tempo stesso. Dare e ricevere senza misurare il sapore di quanto dato e quanto avuto. Avevamo parlato spesso di piacere con Lia, avevo stuzzicato più volte la sua fantasia quasi a volerla conoscere a carpire il piacere dentro di lei. Mai avere fretta, mai rinunciare al tempo, mai dimenticare quella che è l’attesa come se il piacere si costruisse lentamente, con piccoli passi che portano all’estasi. Lei si scioglieva piano tra le mie braccia, come se fosse miele che ti lascia la bocca di un sapore dolce. Io mi scioglievo dentro di lei come se l’attesa fosse ineludibile, come se fosse traguardo lontano. Due corpi che sembravano un’unica forma. E restare in silenzio come se l’andare avanti avesse cancellato l’emozione dell’istante. Restammo in quell’estasi dell’abbandono per chissà quanto tempo, sembrava un’eternità o forse era passato un solo minuto. Devo andare… Perché? Perché tutto questo non ha senso… tu la tua vita, io la mia? Ha senso tutto questo Lorenzo? Resteremmo feriti tutti e due e nessuno ci leccherà le ferite, lo sai benissimo. Stiamo toccando il cielo con un dito, ma domani non potremmo fare a meno l’uno dell’altra. Questo ti fa paura, Lia? No, non mi fa paura, ne ho semplicemente il terrore. Si alzo dalla mia giacca e si appoggiò all’albero, quasi a voler prendere le distanze da me. Non era fuggire, era misurare le mie reazioni, era come una sorta di sfida nascosta come per vedere la mia risposta. In piedi di fronte a lei, la guardavo senza nessuna parola, la sfioravo con la sguardo, la baciavo con la mente. Le mani accarezzavano i suoi fianchi, ne sentivano la forma, quasi a volerli modellare. Le bocche di nuovo serrate in un bacio senza fine, la lingua che cercava la sua, che l’avvolgeva, la succhiava, l’accarezzava. Penetrava la sua bocca come se anticipasse quel desiderio che avevamo costruito. Era l’apice di quel desiderio, era l’aprire lo scrigno della passione, del piacere che da pensato diventava reale. Le mani vibravano insieme alla sua pelle, dare e ricevere piacere come se fosse la trasmigrazione della sensualità. Le mani che sciolgono quella strana cintura di seta, la snodano dai suoi fianchi…. Come se fosse un trofeo, no, meglio, come se fosse uno strumento inimmaginabile forza e potenza in chi sa usarla. Quella cintura come una corda, come se il destino avesse predisposto tutto. La seta impalpabile che strige le sue mani, passata intorno all’albero come se la rendesse prigioniera per sempre. Cosa vuoi fare Lorenzo, cosa vuoi fare? Tenerti prigioniera, Lia, non lasciarti fuggire, tenerti qui con me…. I nodi non sono stretti, lo sai puoi fuggire se vuoi, ma puoi considerare quei nodi come se fossero impossibili, come se il piacere stesso li tenesse serrati. Per tutta risposta la sua bocca corse a rincorrere la mia, come se il desiderio si fosse sopito all’improvviso, come se si fosse destato il piacere e gridasse di averne ancora. Ora era la sua lingua che cercava la mia, ora era la sua che entrava con forza nella mia bocca che la voleva. Le mie mani slacciavano i piccoli bottoni del suo vestito fino alla vita, stringevano piano i suoi seni, potevano sentire i suoi capezzoli ergersi, vibrare. Giocare con i suoi seni, tenerli stretti e poi lasciarli liberi, imprigionarli ancora fino a liberarli da quel sottile vestito di seta, vederli uscire fuori come se chiedessero di respirare, come se volessero mostrarsi nella loro perfezione, in quel candore di donna. Un gioco senza fine, lei imprigionata all’albero, le sue braccia immobili come se fosse l’abbandono, la resa… il vestito che sale piano, si alza per scoprire il suo corpo, lo lascia ammirare… Le mani si fanno invadenti, celeri, vogliose di dare piacere, scoprono ogni centimetro del corpo, lo controllano, le desiderano, se ne impossessano. Il corpo che vibra di piacere, che lo attende che lo cerca, come se fosse dannato. Bocche che si cercano, che si vogliono, parole che sembrano allungare il passo di danza del piacere. Il miele, quel miele che sentivo dalla sua lingua. Aspetta Lia, ho una piccola sorpresa… I suoi occhi interrogano, chiedono spiegazioni ma sono abbandonati, una resa incondizionata…. Una bustina di miele, di quelle bustine che si usano al bar per dolcificare il caffè, o che si tengono i tasca come se fosse una caramella da succhiare. Il vestito aperto sopra il suo seno, schiuma impalpabile, i seni che sembrano gridare come se chiedessero di essere presi, di avere mille attenzioni. Una goccia di miele che cola sul suo seno, colpisce il capezzolo, sembra avvolgerlo, la lingua che rincorre quella goccia che ne assapora la dolcezza che continua avida a succhiare, come se il capezzolo fosse mangiato piano, come se fosse cibo per quella bocca che non si ferma fino a quando non resta traccia di quella goccia di ambrosia. Il corpo di Lia che sembra impazzire, impossibilitato a muoversi ed offerto al piacere, il corpo che freme, come se fosse scosso da brividi di piacere, di follia. Un’altra goccia e di nuovo quella lingua che ne va alla caccia, ora con più calma, quasi a voler sentire i fremiti, come a misurarli. Ed una goccia ancora fino a sentire il desiderio che vuole esplodere. E poi le ultime gocce per la bocca, la sua bocca che si apre come per ricevere la vita, il soffio vitale che permette il respiro, il miele che cola come un filo sottilissimo che sembra ornare le labbra, la lingua. Il filo sottile che tiene legata la mano del bambino all'aquilone, sottile ed invisibile ma che ne costituisce l'unione. E tornare ad essere avido, quasi vorace di quel piacere, andarselo a riprendere come se fosse stato donato e proprio per questo con una valenza e con una forza maggiore. Il miele, il miele che ricopriva il suo seno, la sua bocca, le dita che passavano sulle sue labbra e che raccoglievano gli ultimi sapori per dividerli tra le due bocche affamate di desiderio. Restammo stretti l’uno all’altra, le mie braccia che la avvolgevano, le sue legate intorno a quell’albero, immobili come a voler ascoltare il rumore silenzioso del nostro piacere, soli in quell’attimo di sospensione tra cielo e terra, in un prato fiorito che sembrava brillare di una luce propria, stretti in un piacere che avevamo desiderato, voluto, cercato e trovato. Uno accanto all’altro, in un’estasi invidiabile, in un momento unico ed irripetibile di quella passione che era stato non desiderio, non passione ma semplicemente amore. Quello che sarebbe accaduto poi nessuno dei due voleva saperlo, consapevoli della forza che avevano scoperto insieme. Domani non sarebbe stato diverso, non poteva essere diverso perchè quel miele era come se fosse stato legame di sangue tra due corpi che sapevano donarsi e prendersi. Lia non era più sospesa era il momento stesso della vita, l’essenza che era consapevole di essere viva.

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